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Ex Ilva e Piaggio Aerospace stanno vivendo una fase cruciale, in queste settimane potrebbe infatti decidersi il loro futuro. Il Tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza per Acciaierie d’Italia spa. Si tratta di un passaggio che consente di avviare, di fatto, l’amministrazione straordinaria e quindi aprire la strada all'ingresso di privati.

La dichiarazione dell’insolvenza, allo stesso tempo, dovrebbe far scattare un’inchiesta con l’ipotesi di bancarotta sulla gestione e i conti dell’ex Ilva.
Il ministero dell’Economia e delle Finanze, inoltre, potrà concedere «uno o più finanziamenti a titolo oneroso» per un massimo di 5 anni fino a un importo di 320 milioni di euro per il 2024.

Sono state «rafforzate le misure a sostegno della filiera di Acciaierie d’Italia, delle imprese e dei lavoratori dell’indotto. Così si segna una tappa importante nella politica industriale del Paese» ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, annunciando che nel decreto legge sull’ex Ilva «in sede di conversione sono state approvate una serie di proposte emendative che hanno recepito le richieste che ci sono giunte dall’indotto in queste settimane di confronto e di ascolto delle loro esigenze.

E proprio il ministro Urso sarà a Genova la settimana prossima. Dopo aver visitato lo stabilimento di Taranto, sarà in quello di Cornigliano per parlare con sindacati e lavoratori. Di sicuro non si può dire che non segua la situazione e soprattutto che non ci metta la faccia. 

E Urso, anche se non ci sono ancora conferme, potrebbe far visita anche allo stabilimento di Piaggio, l'azienda commissariata dal 2018 ma comunque un'eccellenza a livello mondiale al punto da vantare un portafoglio ordini di 550 milioni. Il tempo per salvarla c'è ancora anche se la sabbia nella clessidra sta finendo. 

Qualche tempo fa Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, aveva ribadito il suo no all'ingresso in Piaggio ma negli ultimi giorni qualcosa sembra muoversi. Lo sperano i lavoratori e lo spera la città. 

 

Lo confesso, nella mia vita ho preso diverse manganellate. La prima non posso dimenticarla: metà anni novanta, Massa, tragitto tra la stazione ferroviaria e lo stadio degli Oliveti. Avevo 16 anni, ero in corteo con gli ultras dello Spezia: dalle traverse laterali spuntavano di tanto in tanto alcuni tifosi locali che cercavano il contatto. La polizia si spazientisce e decide di dare a tutti un lezione: parte la carica, mi trovo nel mezzo, mi giro per salvare il salvabile, il manganello mi centra in pieno la schiena. La botta mi toglie il fiato ma fingo il nulla. A casa, la sera, una lunga striscia viola tra le scapole sarà il ricordo di una giornata turbolenta.

La seconda, se possibile più grottesca, mi capita a Pisa, altra trasferta calcistica: la Questura prende una decisione folle, impone il passaggio dei pulmann dei tifosi nelle vie strette che stanno alle spalle della celebre torre pendente, la stessa zona finita al centro della polemica recente. Qualcuno dei nostri impone all'autista uno stop, ci sono scontri tra varie fazioni e io, solito pirla, ci resto nel mezzo. Una, due, tre mazzate: ancora la schiena, poi la spalla destra. Sul treno del ritorno, poi, incrocio lo sguardo con un volto che riconosco, è quello del poliziotto che mi aveva menato. Ci mettiamo a chiacchierare nello scompartimento, mi faccio mostrare l'oggetto che mi aveva colpito: “Ma è tutto storto”, gli dico scherzando. L'uomo, dal forte accento romano, sta al gioco: “Nun te preoccupà, la prossima volta che lo uso torna dritto”.

La piazza, miei cari lettori, è anche questo. E' terreno di scontro, di tensioni nervose, di scelte improvvise. Pur essendoci rimasto nel mezzo e sentendomi incolpevole, non me ne sono mai lamentato. Ho sempre capito ciò che stava succedendo, anche se la cosa mi aveva procurato dolore. E ho sempre avuto la consapevolezza che il 'reparto celere', ai miei tempi si chiamava così, ha spesso molte colpe ma svolge un compito ingrato.

In questi giorni la questione manganello torna in auge e diventa polemica politica: ci sono andati di mezzo dei ragazzini e la cosa è ovviamente molto triste. Ma quando sono capitate le mie disavventure ero ragazzino anche io. E le ho raccontate apposta, perché chi mi vede oggi, ultraquarantenne tutto azzimato, non penserebbe a me tra quelli che fanno casino in mezzo alla strada. E avrebbe anche ragione, perché io di casino ne facevo poco. Ma gli altri, intorno a me, eccome se ne facevano e da sotto un casco, in mezzo a urla, pietre e bastoni doveva essere molto difficile distinguerci.

Non ho nessuna intenzione di giustificare i comportamenti sbagliati delle forze dell'ordine. Al contrario: trovo che all'interno di uno Stato non ci sia sensazione più spiacevole e preoccupante di non potersi fidare della polizia. E' quindi doveroso che gli inquirenti indaghino sulle responsabilità specifiche dei fatti di Pisa e puniscano in modo esemplare coloro che eventualmente hanno commesso errori o esorbitato dai loro compiti.

Ma arrivare a sostenere che in Italia non si possa manifestare, che sia in gioco il diritto alla parola o all'espressione, non è accettabile.

Manifestazioni di piazza in Italia ce ne sono ogni giorno e la stragrande maggioranza di queste vengono gestite con correttezza e buon senso: gli scontri sono rari e gli episodi che mostrano l'intelligenza degli agenti e dei loro dirigenti non si contano. Qui a Genova ancora ricordiamo con piacere la dirigente del reparto mobile che ordina ai suoi uomini di togliere il casco davanti agli operai dell'Ilva schierati davanti alla Prefettura. Ed è solo uno di tanti episodi.

Chi manifesta, e questo vale per tutti, giovani e meno giovani, deve rispettare delle regole perché lo stesso esercizio dei diritti democratici ne ha: se la polizia chiede di non invadere un piazza, per esempio, ci si deve attenere a questa indicazione. Se si decide di violarla ci si prepari allo scontro.

La polizia schierata in assetto anti sommossa a presidio della piazza dei Cavalieri di Pisa non ha alcuna responsabilità negli attacchi israeliani a Gaza (la manifestazione era legata a questo): gli agenti avevano il solo compito di mantenere l'ordine. Chi vuole violarlo sa che andrà incontro a un problema, indipendentemente dal motivo o dalla sua età.

Vengano puniti i poliziotti che sbagliano ma non si rinunci a imporre delle regole: in piazza non vale tutto ed è bene impararlo. Fin da giovani.

"Genova verticale, vertigine, aria scale", un incipit banale quello di questo commento tratto da un mai banale Giorgio Caproni, il poeta livornese innamorato di Genova tanto da prendere "l'ascensore di Castelletto pel paradiso". Eppure in questo verso c'è tutto, ci sono le creuze e le salite che si arrampicano dal Centro Storico e salgono su per i quartieri, poi ancora su fino alla grande muraglia genovese, quella dei forti e arrivano in cima alle vette dell'alta via dei monti liguri. C'è il 'salir' del genovese, esploratore per eccellenza non solo dei mari vicini e lontani, ma anche delle sue colline e delle sue montagne, una risalita capace di arrivare a insediarsi sempre più in alto, a inerpicarsi fino a Oregina, Struppa, Molassana, Crevari, Sant'Ilario, Murta e quanti altri quartieri che dominano la città. E ci sono tutti quegli impianti verticali che hanno sempre fatto parte del dna della città di Genova, perché accanto alle scalinate e alle mulattiere in mattoni rossi troviamo i quattordici ascensori, le due funicolari e la cremagliera, impianti tutt'oggi in funzione che a partire dal 2024 sono diventati gratuiti per i residenti genovesi. Un patrimonio di cui spesso ignoriamo il valore storico e al tempo stesso la grande avanguardia, un patrimonio che nel secolo scorso era ancora più ampio. 

La Genova delle vallate, ecco "Salir" su Primocanale - IL FORMAT

Difficile per me immaginare la funicolare della Bassa Valbisagno, al servizio dei quartiere collinare di Quezzi, o l'autoguidovia della Guardia che collegava il comune di San Quirico al Santuario della Guardia. Io che alla Guardia ci sono sempre andata in macchina. Ancora più difficile credere alle immagini dell'Esposizione Internazionale del 1914, dove a Genova in dieci mesi venne realizzata l'avveniristica monorotaia Telfer, un trenino avveniristico sul mare che correva da quella che era Piazza di Francia - oggi Piazza della Vittoria - a Molo Giano o pensare che una funivia era già stata realizzata per collegare Carignano con l'area della Foce. Forse è da quel 1914 che si è presa ispirazione per ipotizzare una funivia che colleghi il nuovo Waterfront di Levante con via XX Settembre?

Eppure i genovesi alle loro salite sembrano essere abituati, quasi come degli stambecchi di mare capaci di salire e scendere lungo le vie e i carruggi, senza fiatone. Tanto che se arrivano in città 'piatte' come Milano, possono anche farsi cinque isolati a piedi senza dover prendere un tram o la metropolitana. Una città che cresce e che si apre alle prospettive del turismo, però, è una città che ha bisogno di essere ben collegata, una città capace di accogliere chi arriva per mare, in treno, in aereo o magari anche in macchina (ma che la macchina la lascia nel parcheggio dell'hotel) e di far raggiungere loro tutte le bellezze che la contraddistinguono in maniera agevole. Ecco il perché del progetto della funivia dei forti, progetto che - come ben sottolineato dall'analisi di Franco Manzitti - dovrà andare di pari passo con la riqualificazione dei forti, l'organizzazione della rete sentieristica, la nascita di luoghi di ristoro, aree picnic, panchine, con una gestione che non venga affidata soltanto al buon cuore delle associazioni, de "gli amici di", dei volontari "per la tutela di", che fanno un lavoro straordinario, ma che deve essere supportato, specialmente se si vuole promuovere questi luoghi, senza snaturarli, come mete di trekking, outdoor e luoghi panoramici. 

Se la muraglia cinese salverà finalmente il Righi - IL COMMENTO DI FRANCO MANZITTI

Ma io voglio sognare ad occhi aperti e immaginare anche quanti altri collegamenti si potrebbero creare in una città complicata come Genova, che studia tunnel subportuali e sky tram per una viabilità sempre più complessa, fatta di corsie ciclabili, motorini, piccole metropolitane, una manciata di binari e quel calvario delle autostrade. Così ho chiesto a ChatGpt di immaginare dove potremmo progettare altre funivie e funicolari, in questa Genova così verticale, così difficile da risalire. L'intelligenza artificiale da me interrogata propone allora una funivia da Quarto dei Mille a Boccadasse "per una nuova esperienza turistica per godere delle spiagge e dei ristoranti lungo il mare" e un'improbabile opera mastodontica da Corso Italia a Granarolo "per migliorare il trasporto pubblico per i residenti", così come potrebbe essere alquanto irrealizzabile quella tra San Martino e Sant'Ilario. Anche se potrebbe essere un bel 'salta coda' sull'Aurelia per i nerviesi. Non se l'è cavata molto bene nemmeno nell'immaginare nuove funicolari: le proposte sono alquanto bizzarre e vanno dal legare Cornigliano al Monte Fasce, con un tracciato superiore ai 22 km, all'unire Piazza De Ferrari con Carignano, ma i residenti di via Fieschi non sarebbero contenti. 

Un gioco quello con l'Ia, però, che ci permette di fantasticare e riflettere su quanti collegamenti sarebbe utile sviluppare per valorizzare luoghi di grande valore paesaggistico, storico e culturale. Mi viene in mente la Madonna del Monte, il santuario dei genovesi prima della Guardia, oggi meno frequentato perché in cima alle alture di San Fruttuoso: quanto sarebbe bella una funicolare per raggiungere il bosco dei frati e poter apprezzare di questo panorama agevolmente? Ma sono tanti i luoghi inerpicati, li abbiamo citati prima: Crevari, Sant'Ilario, Murta, la Madonna del Gazzo, il Monte Fasce e anche il Monte Moro. E allora sogno seggiovie, funivie, teleferiche. Sogno cartine dettagliate con tutta la rete sentieristica. Sogno big bench, ma anche piccole e banali panchine per pic nic, aree giochi, nuovi rifugi.  

(Immagine creata con l'intelligenza artificiale)

E' più giusto tutelare la privacy degli abitanti di un palazzo che non vogliono telecamere di sicurezza nel portone o gli anziani che abitano in quel palazzo potenzialmente più esposti a truffatori e ladri?

La domanda è lecita dopo due truffe messe a segno nel giro di pochi giorni in due edifici dalle parti di via G.B. D'Albertis, a San Fruttuoso, da una ragazza poco più che ventenne, una ladra descritta come piccola e carina, con i capelli neri e i modi gentili, che s'infila nelle abitazioni con il pretesto di riprendere una felpa caduta sul balcone o sulle corde della malcapitata anziana di turno. Una ladra che forse abita nella zona, eppure quasi impossibile da identificare, in nome della privacy.

I fatti. Il primo colpo, una rapina che ha fruttato un anello d'oro, era avvenuto in via Carlotta Benettini, l'altro in via Revelli Beaumont, dove per fortuna la ladra è stata mandata via dalla pensionata dopo pochi minuti ed è sparita senza rubare nulla.

Dalla tecnica messa in atto e dalla descrizione della criminale dagli occhi dolci non ci sono dubbi sul fatto che ad agire possa essere stata la stessa persona. Una ladra scaltra capace di cogliere di sorpresa l'anziana di turno, ma anche di agire sempre in zone dove non ci sono telecamere di sicurezza. Né in strada, né nei palazzi. Con le immagini delle telecamere conoscendo l'ora dei colpi sarebbe stato quasi un gioco da ragazzi almeno vedere il viso della ladra, e magari identificarla; senza telecamera è praticamente impossibile. Una differenza che forse non interessa a chi non ha un familiare anziano potenziale vittima dei truffatori. Una differenza che invece fa infuriare i figli e i nipoti delle due donne e uomini di una certa età raggirati e umiliati dalla finta vicina di casa.
Uno dei familiari della pensionata che ha aperto la porta alla ladra quando ha chiesto a un inquilino se nel palazzo ci fossero telecamere si è sentito dire: "Non ci sono perché la maggior parte degli inquilini ha votato per non installarle per la privacy".

Da qui la domanda: meglio tutelare la privacy in un mondo in cui siamo tutti iperconnessi e social o è preferibile aumentare la sicurezza degli cittadini sempre più esposti a furti in casa - reati in Liguria aumentati del 20% - e alle odiose truffe porta a porta che spesso colpiscono gli anziani in una delle regioni più anziane d'Italia?

Ciò che più di tutto mi ha colpito è che nessuno dei candidati sindaci per Sanremo abbia preso degli impegni precisi sul Festival della canzone. Le risposte che Fulvio Fellegara, Alessandro Mager e Gianni Rolando (cito in rigoroso ordine alfabetico) hanno dato all’editoriale di Maurizio Rossi sono state, a vario titolo, approfondite e in molti passaggi condivisibili.

Tutti si sono trovati d’accordo sul fatto che non può esistere un’altra città italiana in grado di subentrare a Sanremo nel Festival: e avrei pure voluto vedere…Nessuno, però, si è assunto una precisa responsabilità soprattutto nei confronti dei discografici, che mettono in discussione Sanremo. Mi sarei aspettato che almeno uno dei tre – in verità tutti e tre – dicesse chiaro e tondo di inserire nel proprio programma amministrativo ciò che serve per chiudere definitivamente il discorso. E per creare le condizioni di rafforzare la kermesse.

Che delle criticità esistano è fuori di dubbio. Che siano risolvibili è abbastanza certo. Occorrono, però due cose: la volontà politica e la capacità di soluzioni condivise da destra a sinistra (o viceversa, ognuno la dica come preferisce). Se c’è intesa che esista un problema del traffico e un problema dei parcheggi, ad esempio, chi vota ha il diritto di sapere come i candidati intendano affrontarli (la cosa vale anche per la quotidianità). 

In più esiste una “questione Ariston”. Il teatro è di sicuro piccolo rispetto al gigantismo della manifestazione. Bisogna farselo bastare oppure si può immaginare un Palafestival? E questa struttura dovrebbe stare nel centro città, dunque bisogna inventarsi il posto, oppure si può riprendere l’esperienza del Festival organizzato al Palafiori di valle Armea ai tempi di Adriano Aragozzini? Seguii per dovere professionale quell’edizione (in tutto ne ho assommate tredici) e sono testimone diretto che il Festival alla periferia di Sanremo fu un fallimento.

Però la memoria di un giornalista non conta. Di grazia, potrebbero dirci che pensano di fare i candidati sindaco? Altrimenti rischia di ripetersi il film che abbiamo visto in tutti questi ultimi anni: polemiche a non finire dopo ogni edizione della manifestazione canora, ma zero provvedimenti che testimonino un vero progresso.

C’è da mettere a posto pure le cose sul terreno della trasparenza. Che i rapporti sul Festival fra il Comune di Sanremo, la Rai e l’Ariston siano un mistero perché gli atti non sono accessibili è profondamente inaccettabile. Siamo ai limiti della vergogna. 

Qualcuno obietterà che nella circostanza l’ente pubblico sostanzialmente incassa. E’ vero. Ma non è il Comune a pagare il teatro? Secondo Mager, l’impegno massimo di spesa è di 2 milioni e 400.000 euro e la cifra dipende dagli spazi occupati dalla Rai.

Sarà, però non è che la tivù di Stato non maneggi denaro pubblico: ogni due mesi incassa una quota di canone che l’allora premier Matteo Renzi ha voluto mettere nella bolletta della luce, per evitare l’evasione. Dunque, l’obbligo di trasparenza esiste. In generale, perché non sono solo canzonette.