
Le parole durissime e in qualche modo inattese di padre Marco Tasca, arcivescovo di Genova, lanciate dal pulpito della festa sacra di san Giovanni Battista, patrono di Genova, si incrociano molto con le analisi uscite dalla campagna elettorale del centro sinistra.
Sono piani molto diversi, quelli di una politica che deve amministrare, governare, portare i cittadini verso un futuro migliore e l’altro, quello della Chiesa, che cura il gregge dei suoi fedeli, la loro anima, ma anche la vita su questa terra, le sofferenze, le difficoltà sopratutto di chi è ai margini.
Ma parlare di povertà di lavoro, di solitudine, descrivendo lo stato della città, entrando anche nei meccanismi economici che governano lo sviluppo o il non sviluppo, come ha fatto padre Marco, è lanciare una sfida forte a quella politica chiamata a governare e, quindi, è come entrare in quell’altro campo.
E allora se sommiamo le due visioni, quella lanciata dal pulpito di san Lorenzo e l’altra che Silvia Salis, la nuova sindaca, ha immaginato, descrivendo il suo programma, basato molto sulle infrastrutture sociali, sugli interventi per chi non ha lavoro o per chi ha un lavoro povero, su chi non ha casa e non riesce a trovarla, su chi fatica a arrivare a fine mese, malgrado quel lavoro ce lo abbia, che Genova esce?
Esce una Genova piegata, inginocchiata quasi, anziana, sofferente, fatta di una metà popolazione che vive in totale solitudine , di famiglie assediate dall’indigenza, di vedove, di vedovi disconnessi dal contesto socio culturale in rapida evoluzione.
Certo la Chiesa poi ci mette l’ottimismo della speranza, elenca con le parole dell’arcivescovo i segnali buoni di una solidarietà sempre più diffusa, delle conquiste delle comunità cattoliche, della silenziosa rivoluzione che sta cambiando le parrocchie, svuotate di preti dalla crisi delle vocazioni nel mondo nord occidentale.
E la nuova amministrazione comunale ci mette, ovviamente, l’impegno a cambiare perché “è già domani”, come ripete lo slogan di Silvia Salis, e incomincia fronteggiare le emergenze che si propongono subito, mica aspettano che la sindaca e gli assessori abbiano imparato il loro difficile mestiere.
Ma alla fine quale è la Genova che ci possiamo aspettare dopo queste analisi incrociate, ma vicinissime per la sostanza delle condizioni di vita denunciate?
Non era questa la Genova “meravigliosa” delle precedenti amministrazioni di Marco Bucci e di Pietro Piciocchi, proiettata in un futuro ottimistico, in un sentiment diverso da quello passato, impegnata nelle Grandi Opere, capaci di lanciarci verso la modernità e di portare benessere a tutti? Anche ai diseredati di quelle analisi, ai soli, ai disconnessi, ai giovani neet senza lavoro e incapaci perfino di cercarlo.
In realtà quella Genova là, meravigliosa, spiegata anche con numeri e risultati, che vengono fatti ancora luccicare dai vecchi amministratori, e questa di solitudine, poco lavoro, riduzione del potere d’acquisto, abbandono sociale, sono troppo diverse, troppo lontane.
Come sempre esiste una visione più equilibrata, che non tocca certo all’arcivescovo, capace di fare bene la sua parte, ma piuttosto alla politica che ci governa e che, finita la campagna elettorale, deve rispondere certo alle emergenze sociali, ma anche infondere il coraggio di nuove prospettive.
Che non sono solo quelle del programma elettorale, capitolo per capitolo, di interventi sociali, utilissimi, ma anche di uno sviluppo che avrà i suoi punti forza.
La città comunque cresce e cambia, a prescindere da chi la governa, ma aspetta segnali, né troppo ottimistici e sproporzionati, né troppo depressivi.
La città è’ la somma dell’impegno di generazioni che si succedono, che fanno errori, ma anche cose positive, indipendentemente dai colori politici.
Usciti dalla bagarre elettorale, dai primi scogli e dalle prime decisioni “forti”, ora possiamo aspettarci qualche annuncio di un programma complessivo di sviluppo, che non sia solo il credo (per restare su temi religiosi) in un futuro industriale, in un dialogo forte con il porto, in una nuova rigenerazione urbana e in una nuova politica della casa, nelle indicative decisioni “sociali” come il riconoscimento dei bambini nati da coppie di donne.
Genova è oggi una città ancora gravemente isolata con le infrastrutture a singhiozzo, un aeroporto in bilico, autostrade ad alto rischio, treni sempre più lenti, metropolitana-lumaca e con incertezze preoccupanti per la sua gioventù che continua a emigrare, sempre più desertificata commercialmente, che deve investire nel turismo, ma in quale, quello dei B&B o un altro? Rispondere alle emergenze sociali è importante e fondamentale, ma ci vuole anche un quadro. Il pellegrinaggio nel fantastico studio Piano a Vesima di una parte della giunta può essere un primo passo per quel quadro. Ma non basta.
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IL COMMENTO
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Dalla Genova “meravigliosa” a quella della povertà e della solitudine