
L’Azienda mobilità e trasporti di Genova (Amt) ha i conti pesantemente in rosso. Non è una novità. Sta sull’orlo del fallimento? Possibile. Però vien da domandarsi perché con Marco Bucci sindaco e Pietro Picciocchi suo vice la questione non avesse alcuna enfasi, mentre arrivata Silvia Salis a Palazzo Tursi si è “scoperta” questa cosa.
Siccome non è la prima volta che si discute della crisi di Amt e poiché in passato mi è toccato occuparmene per ragioni professionali, ho maturato una semplice convinzione: Amt non sarà mai in pareggio di bilancio, men che mai in attivo, e ogni anno il Comune dovrà farsi carico di ripianare i conti. Punto.
E’ anche giusto? Sì, è anche giusto. Certo si potrebbe privatizzare, però ce lo vedete un imprenditore che oltre alla polpa (cioè le linee dei bus che sono profittevoli) si prende anche l’osso (cioè le linee dei bus che non sono profittevoli)? Io no. E aggiungo: ovviamente. Certo, il Comune potrebbe anche fare un contratto con la nuova proprietà di Amt sobbarcandosi il passivo delle corse in perdita, ma allora non capirei per quale motivo dovrebbe sborsare del denaro di tutti senza avere il cespite almeno per un parziale recupero. Sarebbe assurdo.
E attenzione, questo vale anche per altri servizi pubblici, siano essi gestititi dai Comuni, dalle Regioni o dallo Stato. Prendiamo le autostrade. Oggi Aspi è una società in cui Cassa e Depositi, cioè una società pubblica, è comproprietaria insieme con due fondi di investimento stranieri. Vorrebbe aumentare i pedaggi e prolungare le concessioni.
Per quanto riguarda altrove non so, inammissibile certamente in Liguria. Qui bisognerebbe avere il buon senso di soprassedere almeno fino al termine dei lavori “ordinari” che non erano mai stati fatti e dei conseguenti gravissimi disagi che già vengono subiti e che ancora verranno subiti. Ma se ragioni secondo una logica di impresa, allora fa bene Autostrade a provarci.
Intendo dire che la questione è politica e politicamente si arriva ad una conclusione: alcuni servizi sono pubblici per definizione. Quando tocchi la sanità, i trasporti e tutto quanto fa riferimento alle bollette che gravano sui bilanci familiari (quindi l’energia, intesa come gas, luce e acqua) tocchi gli italiani, inutile girarci intorno.
Sia chiaro: i conti vanno sempre tenuti in ordine e le uscite non possono essere allegre, perché il contrario sarebbe inaccettabile e inspiegabile. Ma poi, siccome quelli sono servizi “naturalmente” in perdita, il contributo del pubblico è indispensabile.
E anche l’Unione europea, che vuole il mercato a tutti i costi ed è sempre pronta a perseguire gli “aiuti di Stato” (soprattutto quelli italiani…) dovrebbe farsene una ragione e cambiare rotta. Sono di formazione liberale, quindi non sto bolscevicamente attaccando i privati. Essi, anzi, tra i loro obblighi hanno anche quello di svolgere delle attività da cui ci guadagnino. Ma non possono fare quelle afferenti a servizi quali, ribadisco, sanità, trasporti, energia: i profitti non si conciliano con la necessaria copertura “erga omnes”.
Certo, in qualche modo lo Stato e i suoi enti devono recuperare del denaro e ci sono due vie maestre da percorrere: far pagare le tasse a chi le evade e mettere mano a una riforma vera della pubblica amministrazione, per migliorare l’organizzazione dei servizi e quindi le risorse.
Del resto, una cosa è prevedere la compartecipazione del privato come elemento di supporto, altro è delegare ad esso i problemi, con il risultato di peggiorare prestazioni, tempi e quant’altro. Ad esempio, le ripetute multe dell’Antitrust per “cartelli” tra società in diversi settori non sono una invenzione. E che in alcuni casi il cittadino sia costretto a dolorose rinunce, quali curarsi, giusto per rimanere alla sanità, non è una favola. Porvi rimedio è complicato, non ci sono dubbi. Però bisogna cominciare.
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IL COMMENTO
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