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di Luigi Leone

“Fermati, noi non siamo come loro!”. Ci sono fior di pellicole, e pure di filmetti ammettiamolo, che stanno lì a dirci la stessa cosa: chi ha il compito di difendere la legge non può mai, e sottolineo mai, comportarsi come fanno i delinquenti. A volte, riconoscerlo non è segno di umana debolezza, verrebbe davvero voglia di assestare quattro sganassoni a chi ha fatto dell’illegalità il proprio faro. Ma non si può, non si deve. Perché gli uomini e le donne in divisa non sono come loro.

Ecco, è una delle cose alle quali ho pensato quando è esploso lo scandalo dei vigili urbani che a Genova si sarebbero macchiati di diversi reati. Anche contro le persone, in particolare immigrati. “Ci siamo vergognate” ha detto più d’una delle vigilesse che hanno denunciato i fatti su cui, ora, sta indagando la magistratura.

Quel “non siamo come loro” devono averlo pensato anche ai vertici della Misericordia di Genova, riferendosi in questo caso alla politica. Ai politici. Eh sì, perché mentre l’ex assessore Antonio Gambino, coinvolto nella vicenda,  si è autosospeso dal partito – Fratelli d’Italia – ma non dal consiglio comunale, uno dei suoi presunti sodali, Francesco Fracchiolla, vicepresidente della Misericordia e consigliere regionale dell’organismo che raggruppa le organizzazioni, si è dimesso da tutti gli incarichi.

Non risulta che Fracchiolla abbia ammesso alcunché in merito ai reati che gli sono contestati. Però la Misericordia di Genova e la federazione ligure delle Misericordie mostrano di interpretare al meglio la fiducia nella magistratura e l’opportunità politica. Difatti nel comunicato diffuso si legge: “Le dimissioni di Fracchiolla vogliono essere un gesto di rispetto istituzionale a tutela delle Misericordie liguri”. Significativo anche “il pensiero” rivolto “a tutti i volontari e i dipendenti”, nei confronti dei quali il presidente dell’organizzazione rivolge “le più sentite scuse”.

Capito? La cosiddetta società civile impartisce una lezione durissima alla politica. Non strumentalizza l’inchiesta, bensì ne prende atto. E siccome certi incarichi sono pubblici, ne trae le conseguenze. I politici hanno mai fatto qualcosa che somigli a questo comportamento? Raramente. Più probabile che quando capita si approfitti, malamente, della circostanza.

Il verde Angelo Bonelli, ad esempio, ha già emesso la propria sentenza: tutti colpevoli e siccome il governo tace è colpevole anch’esso. Per carità, qualora Giorgia Meloni, la premier, avesse telefonato alla sindaca di Genova Silvia Salis esprimendole solidarietà se “il dosseraggio nei suoi confronti si fosse dimostrato” nessuno avrebbe gridato allo scandalo. Ma nel suo furore di oppositore, Bonelli magari riterrebbe che Meloni avesse anticipato il giudizio della magistratura (come ha finora fatto lui, invece). E saremmo daccapo.

Io ho usato il condizionale, da giornalista. E pure i garantisti e i giustizialisti in servizio permanente effettivo dovrebbero essere attenti: una cosa è l’opportunità politica, altro dimostrare che certi reati sono stati consumati. Perché anche un’inchiesta, clamorosa e dai contorni davvero inaccettabili come questa può finire in niente.

Fatti salvi errori ed omissioni in cattiva fede, è il funzionamento della giustizia: c’è una notizia criminis, si indaga, si decide. Certo non può essere ammesso il principio per cui gli assolti non sono degli innocenti, bensì solo dei colpevoli che l’hanno fatta franca. Questa è barbarie! Invece può accadere che la buona giustizia ti inquisisca e poi ti assolva. È il contorno a lasciare sempre più basiti.

Per restare a Genova, ricordate Massimiliano Morettini? Ci ha scritto pure un libro – “Quella volta che sono morto” – e ho fatto un grande tifo per lui quando è sembrato che Salis potesse designarlo come assessore. Le cose sono andate diversamente, perché in politica la legge della compensazione non esiste, però Morettini lo avrebbe meritato. Non come indagato, come perseguitato da chi con la magistratura non c’entrava niente eppure sputava sentenze.

Era già assessore del Pd nell’amministrazione guidata da Marta Vincenzi quando venne travolto fino alle dimissioni, lui sì, dallo scandalo ribattezzato Mensopoli. In soldoni, l’accusa verso Morettini era che fosse un corrotto. Quattordici mesi sulla graticola, durante i quali sembrava il colpevole di tutto. Poi la chiusura dell’istruttoria e il proscioglimento: “Il fatto non sussiste”.

Naturalmente non so come finirà la vicenda che riguarda Gambino e i suoi presunti complici. So, però, che l’ex assessore si sarebbe dovuto autosospendere dal consiglio comunale, come gesto di rispetto istituzionale e di opportunità politica. E so che noi tutti, estranei all’indagine, dovremmo semplicemente aspettare le decisioni della magistratura. Ancorati rigorosamente ai fatti. E soltanto questi raccontati, per ciò che riguarda i mass media.

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