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GENOVA - Ascoltando e leggendo i molti discorsi che si sono fatti a proposito del video messaggio di Silvio Berlusconi alla convention di Forza Italia, mi è tornato alla memoria un episodio di quando stavo al Secolo XIX. Allora premier, Berlusconi arrivò a Genova in preparazione del tragicamente noto G8. Fece un giro per la città, la trovò molto "in forma" anche perché c'erano ancora visibili dei cantieri che le avrebbero cambiato pelle. E se ne uscì così: "Abbiamo fatto davvero un'ottima scelta, Genova è bellissima e il suo sindaco sta facendo cose ottime, è uno bravo".

Il sindaco era di centrosinistra, la fazione opposta a quella di Berlusconi, e di nome e cognome faceva Beppe Pericu. Molti "azzurri", abituati a fare opposizione, non la presero benissimo. Ma la replica di Silvio non tardò e fu tagliente: "Non posso mica dire che Pericu non è bravo se invece lo è! Certi giudizi non si danno per partito preso e se qualcuno mi obietta che lui ha avuto molti soldi a disposizione, io rispondo che poi non tutti li sanno usare bene".

Non voglio fare amarcord a buon mercato, ma solo dire che esistono argomenti sui quali la polemica politica è assolutamente inutile. Anzi, dannosa. Prendiamo la storia della nuova diga. Se per anni anche chi oggi sta all'opposizione ha ripetuto che si doveva fare, perché adesso sostiene (invero qualche cambio di opinione sta avvenendo) che non serve più? Non credo che se la fanno Signorini, Bucci e Toti sia peggio che se l'avessero fatta altri loro predecessori, il cui pregio sarebbe stata la diversa appartenenza. L'unica discussione accettabile è: la diga serve a Genova o non serve? Se sì, e la cosa appare pacifica, ormai significa solo far male alla città accapigliarsi politicamente sull'argomento.

A spanne è lo stesso discorso che vale per il decreto del Primo Maggio sul lavoro in Italia. Io penso che ci siano alcune cose sbagliate, come il ritorno ampliato dei vaucher. Ma se il cuneo  fiscale viene ridotto, non si può dire che la premier faccia male. Invece ecco gli ululati di opposizioni e sindacati. Salvo ravvedimenti: va bene il taglio, ma non per cinque mesi, bensì per sempre. Ecco, questo è un passo avanti. E lo sarebbe pure se la minoranza parlamentare collaborasse a trovare i soldi necessari. Su argomenti come questo, vale logica del serrare le fila a prescindere dalla parte politica: ci saranno altri temi e altre occasioni per far volare gli stracci!

È un po' quanto dovrebbe accadere a Imperia, domenica e lunedì al voto per decidere la conferma del sindaco uscente Claudio Scajola o il suo congedo. In questi giorni di campagna elettorale, uno dei temi ricorrenti contro Scajola è stato: sta facendo troppi lavori e lascerà il bilancio del Comune impegnato  per i prossimi otto, dieci anni. Ma metterla così è proprio sbagliato. Se i lavori servono, e francamente mi pare il caso, chissenefrega se i conti del Comune saranno condizionati per due lustri. Se, invece, i lavori non servono, allora è giusto parlarne. Ovviamente, nessuno ha dato questa risposta dalle parti delle opposizioni.

Il problema della nostra politica, soprattutto sui temi che dovrebbero unire le forze, è proprio il pregiudizio: siccome lo fa lui, che è un avversario (per non dire nemico), è sbagliato a prescindere. Io, al contrario, sto con il Berlusconi genovese del G8: se uno è bravo lo dico. E se serve il mio contributo su un problema che nessun partito può risolvere da solo io lo do. Dovrebbe essere semplice...

GENOVA - Per andare oltre ai grandi meriti giustamente attribuiti a Gilardino, alla dirigenza e alla squadra per la promozione in A strameritata, bisogna guardare senza se e senza ma ai tifosi. A parte il trionfo con i 32500 presenti al Ferraris per la vittoria decisiva, va sottolineato che il pubblico, dal cambio della società c’è sempre stato con rinnovato entusiasmo. Non che prima non ci fosse, ma l’aria è cambiata. E poi il “vecchio cuore rossoblu” si scopre giovane.

Tanti millenials, ma pure bambini e ragazzi a riempire lo stadio. Questa è stata la sorpresa più bella in una stagione decisiva per il futuro del club più antico d’Italia. Non solo boomers, ovvero la generazione più matura per non parlare di quella coi capelli bianchi, ma tanti e tanti ragazzini. Il Genoa dopo un solo anno, come promesso dalla proprietà americana, ritorna dove gli compete con un brand vincente grazie alle immagini straordinario di un ambiente compatto e che raccoglie i frutti di una resistenza negli anni bui del post Genoa-Venezia con il passaggio in poche ore dalla. A alla C.

È vero che per 15 anni il Grifone è rimasto in A e che questa lunga avventura è servita ad attirare tifosi, ma negli ultimi anni c’erano solo delusioni e sofferenze. Ora 777 Partners dovrà allestire una squadra competitiva per ambizioni ragionate, per non perdere un’occasione come questa. Popolo rossoblu che comunque sarà regista e protagonista del proprio presente e del proprio futuro, come sempre. Soprattutto nei momenti difficili come questo, quando esce il sole l’immagine risplende ancora più forte.

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Chi era il sorridente ed elegante signore seduto a fianco del comandante Aponte e accanto a lui fotografato in posizione molto confidenziale nella “storica” cerimonia della prima pietra per la diga che potrebbe cambiare il destino di Genova?
Lo hanno definito, i cronisti un po’ disattenti o forse troppo giovani, come un “amico di vecchia data” del “Comandante”, il personaggio che sta assumendo una posizione sempre più rilevante non solo per il porto di Genova, con le sue flotte di navi e con i suoi terminal.

Non si sono ricordati che quel signore sorridente e molto a suo agio era anche uno degli “ambasciatori” nominati dal sindaco Bucci, forse uno dei più azzeccati nella truppa scelta per rappresentare Genova nel mondo, sui quali spesso possono venire dubbi a proposito del loro prestigio e sulla loro capacità di calzare il ruolo.
Ebbene quel signore altro che semplice “ambasciatore”! Il suo ruolo e il suo peso sono molto più importanti e la sua storia molto “segreta” è uno degli esempi di come a Genova l’understatement conta ancora molto come stile di riservatezza e di attività “sotto traccia”.

Quel signore è Alfonso Lavarello, genovese tanto doc da avere nella sua discendenza una famiglia storica come i Dufour (ramo materno) e da avere dimostrato nella sua vita imprenditoriale le classiche doti storiche dei genovesi, capaci di fare grandi affari in tutto il mondo, restando magari ben al di fuori spesso non solo dai confini della Superba, ma anche da una pubblicità che altri, molto meno potenti nei business, hanno sbandierato.

Di formazione cattolica e “castellettiana” (il quartiere genovese noto per essere il preferito da una borghesia sobria ma solida come i palazzi di Circonvallazione a Monte) Lavarello ha spiccato il volo da giovanissimo nel mondo dei grandi business internazionali, trattando con grande capacità con il mondo arabo che tra gli anni Settanta e Ottanta sbucava sulla scena a forza di petrodollari.

A Genova il suo estro si è inizialmente dimostrato quando era diventato un uomo di fiducia dei Zerbone, grande azienda di supercatering e fornitrice di attrezzature navali, che nel suo momento di massima importanza era una grande “firma”, che lavorava molto anche con “Costa Crociere”, allora tutta genovese e in trattativa per acquisire quel gruppo.

Ma anni dopo di allora la fama abbastanza segreta di Alfonso Lavarello è diventata quasi “iconica” per il ruolo da lui svolto a Cuba con un monumento della storia mondiale come il leader maximo, Fidel Castro, del quale il genovese doc era diventato non solo un importante interlocutore nel rilancio del turismo nell’isola caraibica, ma anche un amico personale.

La storia di Lavarello e Fidel è quasi leggendaria. Fu il genovese a “riaprire” dai suoi uffici di Miami e poi dalla sua splendida villa all’Avana il turismo a Cuba, facendo arrivare a 36 anni dalla caduta del regime di Fulgencio Batista, le navi da crociera a Cuba. E le prime furono ovviamente navi Costa.
Il rapporto tra lo scaltro e rapidissimo genovese, erede dei Dufour, e il mito cubano è diventato così segreto anche perché Lavarello non ne ha mai voluto parlare.

Ma di quel rapporto parlano le foto di tanti faccia a faccia tra i due e la notizia di una superfesta che Fidel organizzò per il compleanno del suo amico genovese che aveva spalancato lo scrigno di Cuba al turismo.

Cambiate un po’ bruscamente le cose a Cuba anche con il destino di Fidel, Lavarello, che era diventato in qualche modo in quegli anni Novanta cubano, è tornato a Genova come fanno spesso gli abitanti della Superba, una volta conquistati grandi affari e grandi mercati nel mondo. E non si è certo fermato, lanciandosi in importanti operazioni immobiliari e dedicandosi alla città delle sue origine così radicate “ anche perché oggi Genova ha ripreso a camminare”_ come ha dichiarato in una recente e veramente rara dichiarazione pubblica, in occasione di un cerimonia molto genovese “la Festa della bandiera”.

Vederlo ora così vicino a Aponte, “amico di vecchia data” e a Franco Zuccarino, un altro fedelissimo del “Comandante”, fa pensare che Lavarello stia veramente lavorando a tutta forza come “ambasciatore” genovese. Ciò fa ben sperare. E incuriosire.

GENOVA - La Capitale del Libro rischia di perdere una delle più ricche e straordinarie collezioni italiane di …libri del Novecento. Purtroppo non è una poco divertente battuta. Cinquecento casse, piene di quasi cinquantamila volumi, alcuni rarissimi e preziosissimi potrebbero scappare da Genova, così come hanno fatto tanti intellettuali nel passato e purtroppo troppi giovani cervelli ancora oggi. Mi rifiuto di pensare che questa nostra città se la lasci scappare, così come accadde negli anni Settanta quando Genova perse la fantastica collezione d’arte di Alberto Della Ragione, l’ingegnere che negli anni Sessanta avrebbe voluto donare alla sua città, in previsione di un possibile Museo di Arte Contemporanea. Scappò quella collezione e finì a Firenze.

Se sparisse questa collezione emigrerebbero dalla nostra città le meraviglie che nei decenni ha raccolto con passione e amore maniacale (prerogativa di tutti i bibliofili) Pippo Marcenaro, originale figura di intellettuale spesso contro-corrente. Ha cercato disperatamente una casa per i suoi libri, le lettere autografe i manoscritti, un pezzo di storia della letteratura e dell’arte, ma non c’è stato nulla da fare. Non è servito nemmeno l’appello di marzo del sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, quando si seppe che Genova era stata designata come Capitale del Libro. "Una città colta come Genova – spiegava Sgarbi - saprà trovare la giusta soluzione, ancor più adesso che si fregia del titolo di Capitale del libro 2023".

Proprio su queste pagine Franco Manzitti lanciava l’idea di sistemare la collezione in una restaurata palazzina Labò alla Villetta Di Negro. Alcuni mesi fa, rammaricandomi per l’abbandono di Villa Gruber in Circonvallazione,  pericolante su un parco oggi concimato in eccesso dalle troppo libere cacche di cani, ipotizzavo di vedere i libri di Pippo in un piano della villa dei Perrone restaurata e trasformata in scuola.

Niente di niente.

Le casse sono conservate in alcune stanze della nuova biblioteca universitaria di Principe in attesa di una decisione: che magari intervenga lo Stato e acquisti la collezione dopo averle dato anche un valore “venale”. Che intervenga il Comune trovando una sede. Insomma, che si salvi.  E che Marcenaro con lo studioso Piero Boragina (titolari effettivi della collezione) possano finalmente dare vita a un Centro studi Novecenteschi qui a Genova.

Riguardo nell’archivio di Primocanale il video di una visita che feci anni fa in salita Santa Brigida, nella casa-museo di Marcenaro per tenere in mano una lettera dall’Africa di Arthur Rimbaud  a un amico italiano, arrivata all’intellettuale genovese dopo un passaggio per antiche mani, da Carlo Bo con una raccomandazione: “Questa conservala tu….”. Tengo in mano con emozione anche la penna stilografica con cui Carlo Emilio  Gadda scrisse “La cognizione del dolore”.

Deve sparire tutto? Magari insieme alle opere di Eugenio Montale, alle lettere di Lucia Rodocanachi la traduttrice che tutelava nella sua villa di Arenzano l’arte di tanti scrittori, a centinaia di altre preziosità del Novecento che dovrebbero essere messe a disposizione di tutti, non solo degli studiosi. Diffondere  le pagine scritte è la minima ambizione di una Capitale del Libro!

Titolo senza dubbio altisonante e che mi riempie di orgoglio essendo un fanatico della pagina scritta. Ma c’è silenzio che speriamo davvero non sia indifferenza. Nessuno decide: sì o no.

Pippo, amaramente, commenta. Con l’ironia che lo contraddistingue e che rende sempre piacevolmente pepati i suoi saggi, magari quelli sui Genovesi, inglesi solo per via di qualche cravatta regimental, gelosi delle loro ”cose  rare” chiuse ermeticamente nelle grandi case, con immense sale d’entrata dove far decantare gli indesiderati ospiti foresti. “Ora che si sta perdendo la lingua questi libri firmati, con appunti, lettere di accompagnamento, fotografie sono la testimonianza di un secolo che i giovani hanno diritto di conoscere. E poi non si può pensare che il futuro di una città sia fatto solo con le pietre….”.

 

 

Che Genova fosse la città più British d’Italia, lo sospettavamo da sempre. Lo spirito inglese di Genova si rispecchia nell’understatement, quello stile che vieta ogni ostentazione e che ci induce a non prenderci troppo sul serio. Così come British è il nostro umorismo. C’è poi lo stile British con cui ci vestiamo: “nell’ombra dei nostri armadi” (cit. Paolo Conte) nascondiamo capi classici, mai di colori sgargianti: il soprabito Blueberry è sempre lì… in attesa che piova.
E della più antica squadra di calcio, ne vogliamo parlare? Il Genoa fu fondato nel 1893 da dieci inglesi nel consolato britannico di Genova con il nome completo Genoa Cricket and Football Club e il primo campo di gioco fu tracciato su terreni delle aziende scozzesi Wilson e McLaren, a Sampierdarena.
Bene.

Il feeling sarà ancora più stretto sabato 6 maggio, quando alle 10.30, all’interno della chiesa anglicana del distacco di piazza Marsala, commenterò l’evento straordinario “The Crown, un percorso di storia e bellezza”, aperto a tutti. Infatti, contemporaneamente all’incoronazione a Londra di re Carlo III nell’abbazia di Westminster, nella navata ottocentesca di The Church of the holy ghost, il reverendo Tony Dickinson e l’associazione Lameladivetro Internazionale presentano un momento culturale e di raccoglimento dedicato all’incoronazione del nuovo re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

Presenzierà la Console onoraria del Regno Unito, Denise Dardani, con ouverture in live-stream Bbc London. Il programma proseguirà con l’esclusiva presentazione gemmologica della corona di Sant’Edoardo a cura della gemmologa genovese Stefania Ferrari. L’evento rinsalda il lungo legame fra Genova e l’Inghilterra, di cui il segno più tangibile è la bandiera di Genova, croce rossa in campo bianco o croce di San Giorgio, concessa dai genovesi a Riccardo Cuor di Leone nel 1190 come vessillo per le Crociate, e tutt’ora base della Union Jack.

E da Genova, God save The King (e Camilla).