GENOVA - Salire al quattordicesimo piano del palazzo Carige, fino a qualche anno fa era come misurare dall’alto, con vista meravigliosa, lo sbraccio finanziario di una banca-mamma, il simbolo di una potenza economica-finanziaria che veniva dalla storia secolare. Dalla cassaforte, nelle viscere del grattacielo, fino all’attico dei grandi saloni con appesi al muro i dipinti de “El Siglo de oro”, la firma di quella potenza appunto materna. E lassù si sono succeduti, perfino con una rapidità allora imprevedibile, gli uomini destinati a ruoli centellinati dalla politica spartitoria, ma acuta, di quei tempi bilanciati della cosidetta Prima Repubblica: Giovanni Borgna il compagno di banco di Paolo Emilio Taviani, Gb Dagnino, deputato, avvocato forse il Dc più acuto dopo PET, Fausto Cuocolo il giurista eccelso, il professore per definizione, fino a Giovanni Berneschi, da impiegato a presidente, l’angelo e il diavolo della perdizione finale, per la quale oggi Carige non c’è più e la storia è un’altra delle palanche genovesi.
Su e giù per quei quattordici piani sono salite e scese le scommesse più importanti, i progetti più ambiziosi, ma anche la vita comune dei genovesi, le speranze e le delusioni gestite da un esercito di donne e uomini per i quali stare lì a lavorare su quei 14 livelli era la sicurezza della vita, la fiducia e la garanzia. Oggi l’idea, chissà se reale o solo una delle tante vision che circolano per una Genova sottosopra, che quel palazzo diventi un hotel, magari un grande hotel, fa un po’ rabbrividire.
Certo: Genova deve costruire alberghi nuovi e moderni, se vuole assecondare questa ondata di overtourism, su cui puntano i suoi amministratori di oggi, nella residua vocazione del destino zeneise, che ha avuto ben altre carte e altre ne avrà. Ma l’idea del grand hotel, magari con beauty farm dove stavano le cassette di sicurezza e un super restaurant con vista mozzafiato nei saloni del quattordicesimo, dove spesso si decidevano finanziariamente i destini e dove partiva quello sbraccio finanziario fondamentale, anche se spesso non ritenuto sufficiente, scuote un po’.
Tutto cambia e ci si deve rassegnare. Come non farlo noi, che abbiamo visto le rotative e le sale impaginazione de il nostro “Secolo XIX”, in via Varese, sostituite da immensi mercati cinesi dove si vende tutto proprio tutto. Noi che dagli uffici fantasmagorici di “Repubblica”, in cima a via Venti, ci affacciavamo a rimirare la grande piazza De Ferrari, dove tutto avveniva, le grandi manifestazioni sindacali, i funerali indimenticabili di Guido Rossa, le proteste, con l’orchestra del Carlo Felice, a suonare all’aperto per difendere le fabbriche morenti, il Giro d’Italia, che sfrecciava là sotto, la marcia degli Alpini nella loro mitica adunata nazionale, i grandi del G8 sugli scalini del Ducale in piena zona rossa, dopo l’inferno degli scontri, delle devastazioni e la morte del ragazzo Carlo Giuliani. Dentro a quelle finestre c’è oggi un gigantesco ristorante orientale specializzato in sushi. Al posto degli articoli si scrivono menù e si “impaginano” piatti di pesce crudo.
E ora anche in questa piazza, dove il palazzo della Regione è diventato, nella sua facciata, lo schermo spesso dell’effimero che più effimero non si può e di una comunicazione che speriamo sia non la sola sostanza di una nuova politica, potrebbe affacciarsi un altro hotel. Se è vera l’altra voce che vuole un Hilton nel mitico palazzo dove c’è la sala Borsa, trasformata dalla Camera di Commercio in uno dei salotti-chiave della città, che discute e presenta i suoi eventi e anche le sue memorie. Quella sala, dove frullavano i titoli fino agli anni Ottanta, della prima Borsa italiana, sarebbe salva, ma il resto del grande palazzo con le Cupole, diventerebbe un altro superalbergo a cinque stelle, passando dalla proprietà austera e secolare della Fabbriceria del Duomo di Milano a qualche catena mondiale.
E così in pochi metri, da quella memoria antica e anche più moderna di affari e business al palazzo Carige della Finanza e del credito, si potrebbe misurare, in un colpo, quanto siamo cambiati in maniera perfino choccante. Senza contare che nel palazzo della Regione prima c’erano gli uffici della Compagnia di Navigazione Italia, che all’inizio del Novecento, e per molti anni dopo, era un po’ come l’aeroporto di New York di fine millennio, il posto dove potevi comprare biglietti di navi per viaggiare in tutto il mondo. Sic transit gloria mundi.
(Fotomontaggio con Palazzo della Borsa e logo "Hilton")
IL COMMENTO
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