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Dopo la fuga da Chernihiv, Viktorya è tornata a Genova dove già aveva vissuto per oltre 18 anni. Negli occhi c'è ancora l'orrore della guerra, ma la volontà è quella di ricostruirsi la vita qui in Italia
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GENOVA - "Mia figlia ancora non riesce a dormire, quando sente la sirena delle ambulanze si sveglia e urla: 'Mamma, le bombe!": da Chernihiv a Genova, la vita di Viktorya Tymoschenko nel giro di due settimane è stata doppiamente stravolta, prima dalla guerra poi dalla fuga nella notte che l'ha riportata in Italia e in Liguria, dopo 6 anni dal suo ritorno in Ucraina. Assistente in uno studio legale genovese, qui aveva vissuto per oltre 18 anni, finché con la sua famiglia non era tornata nel suo paese d'origine. Soltanto due settimane fa, il suo appello disperato aveva destato profonda commozione nei telespettatori di Primocanale, mentre trascorreva le giornate nascosta al buio nelle cantine o dentro la vasca del bagno per più di 18 ore al giorno, assieme alla figlia di 13 anni e al marito. Una testimonianza che aveva spiegato bene il terrore e l'angoscia durante la guerra, guerra che non sarà facile riuscire a dimenticare. 

L'appello disperato dell'ucraina Viktorya sotto le bombe di Chernihiv: "Non so come salvare mia figlia" - L'INTERVISTA DUE SETTIMANE FA

Chernihiv, città di parchi, scuole, musei e teatri, è stata tra le prime ad essere colpite dai bombardamenti dei russi, anche per la sua vicinanza al confine con la Bielorussia. Dopo intere giornate di bombardamenti continui, la famiglia è riuscita a lasciare l'abitazione, seppur non ci sia mai stato un 'cessate il fuoco'. 

"È esplosa una bomba sul palazzo vicino e a quel punto, dopo che abbiamo sentito un boato fortissimo, abbiamo preso i documenti che avevamo raccolto prima e siamo usciti così come eravamo"

"Siamo scappati durante la notte, i pullman e le auto lasciavano la città sotto le bombe e i continui spari in lontananza: ho visto coi miei occhi autobus in fiamme con persone ustionate al loro interno, ho visto bambini morti in mezzo alla strada, ho visto la mia città completamente distrutta, con bombe da 500 kg che i russi usavano nel 1941 per annientare le basi militari nemiche". Un viaggio per la vita, tra le difficoltà del conflitto ancora in corso, per poter raggiungere il confine. "Chi finiva la benzina proseguiva a piedi, noi fortunatamente abbiamo preso diversi pulmini arrivando a Leopoli dove migliaia di persone dormivano per strada in attesa di riuscire a salire su un bus o un treno e lasciare il paese: c'erano solo donne e bambini". E anche il marito di Viktorya è rimasto là, sia per il divieto di lasciare il paese sia per potersi prendere cura della madre anziana.

"Non abbiamo più acqua, cibo, elettricità, comunicazioni: le notizie che arrivano parlano di persone e bambini rimaste intrappolate sulle macerie, bombe esplose su cittadini in coda per il pane o persino di una mamma e una figlia morte di disidratazione perché senza acqua da giorni"

Ora Viktorya e la figlia sono al sicuro, nella città dove la bimba è nata. Adesso qui a Genova c'è da fare i conti però con la burocrazia, tra Green Pass, tessera sanitaria, residenza, ricerca di una casa e di un lavoro: "Sto cercando un appartamento in affitto, non è facile e ringrazio chi mi sta aiutando come può tra vecchi e nuovi amici, mettendo a disposizione le proprie abitazioni, in attesa che mi possa stabilire in un piccolo monolocale, anche grazie ad alcune proposte di lavoro che sono già iniziate ad arrivare. Spero che il Comune di Genova possa aiutarmi, mia figlia è italiana e sogniamo di poter restare qui, grazie a chiunque possa aiutarci e agli italiani per averci riaccolte fin da subito". I genovesi sono solidali con gli ucraini, da chi come Viktorya conosce bene il paese e vuole reintegrarsi con le proprie forze a coloro che invece non conoscono la lingua e temporaneamente sono ospiti di strutture d'accoglienza. 

 

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