GENOVA - Sono state sentite dieci persone, tra poliziotti e personale dell'Igiene mentale, nell'ambito dell'inchiesta per omissione d'atti d'ufficio e omissione di denuncia dopo gli allarmi dei familiari di Alice Scagni, la donna di 34 anni uccisa sotto casa il primo maggio dal fratello Alberto. Proprio a Primocanale la madre, Antonella Zarri, ha raccontato come lei e il marito avessero agito in quegli ultimi giorni prima dell'omicidio, chiedendo aiuto al 112 e rivolgendosi ad una vigilanza privata dopo che era stato dato fuoco alla porta di casa della nonna: la polizia era stata indirizzata proprio verso Alberto. Ma secondo Antonella Zarri, le forze dell'ordine e i medici che non avevano ascoltato le sue richieste di aiuto. A marzo c'erano stati diversi colloqui a Salute Mentale, ma mai in presenza del figlio Alberto che rifiutava le cure. Ad acuire la sua rabbia erano stati i rifiuti dei familiari -compresa la sorella Alice- a dargli più soldi: così Alice ha lasciato i genitori, il marito e un bimbo di un anno e 4 mesi nella disperazione.
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"C'è un clima ostile, un pregiudizio da parte del consulente del pm nell'escludere responsabilità altrui. Con questi presupposti pare difficile far riconoscere anche solo la seminfermità mentale ad Alberto Scagni", aveva scritto nelle carte depositate dal legale della famiglia, l'avvocato Fabio Anselmo, stesso difensore che lavorò per la famiglia di Stefano Cucchi.
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Il primo maggio, sette ore prima del delitto, i genitori avevano chiamato ancora il 112 dicendo che il figlio li aveva minacciati di sgozzarli ma erano stati invitati a fare denuncia il giorno dopo. Gli investigatori della mobile, coordinati dal procuratore Francesco Pinto e dall'aggiunto Vittorio Ranieri Miniati, avevano aperto il fascicolo per capire se vi fosse stata una mancata denuncia da parte della polizia e un ritardo nella presa in carico dell'uomo.
A breve potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati i primi nomi.
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