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Il 6 gennaio 2022 un cinghiale ritrovato morto nel comune di Ovada, in provincia di Alessandria, risultò positivo alla peste suina africana. Nei giorni successivi altri casi tra Basso Piemonte e Liguria e in numero sempre crescente. Per cercare di mettere un freno alla diffusione della peste suina, il ministro della Salute, Roberto Speranza, e quello delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, firmarono un’ordinanza di contenimento che mandò in tilt tutto il mondo dell'outdoor e non solo.

Per sei mesi sul territorio di 114 comuni del Piemonte e della Liguria, quelli nell’area del ritrovamento dei primi animali infetti, venne sospesa la caccia, tranne quella volta al contenimento della popolazione di cinghiali. Non si poteva raccogliere funghi e tartufi, andare a pesca. Proibiti anche il trekking e la mountain bike. Dopo quello del 2020 insomma un altro lockdown.

Ma perché si arrivò a tanto? Perché chi va a caccia, a correre, in bicicletta o semplicemente a fare una passeggiata potrebbe portare in giro il virus semplicemente sotto le suole delle scarpe o sulle superfici delle attrezzature, come le biciclette. E alimentare la diffusione della peste suina, che potrebbe così arrivare dove gli allevatori temono di più: nelle stalle, negli allevamenti dei suini. 

Nei mesi successivi è successo di tutto, non ci siamo fatti mancare proprio niente. La Regione Liguria ha fatto le sue mosse, il Governo "tavoli su tavoli", tutti hanno detto o fatto qualcosa ma ad oggi la situazione non solo non è migliorata ma è ulteriormente peggiorata. Non si ferma il numero dei cinghiali colpiti dalle peste e in in più la zona infetta si allarga sempre di più come dimostra l'ultima carcassa ritrovata due giorni fa a Savona fuori dalla zona rossa.

Le recinzioni sono state fatte ma senza il "vuoto sanitario attorno" non servono praticamente a niente. Doveva contemporaneamente partire una potente opera di abbattimento dei capi nelle zone attigue che invece non c'è stata. Risultato? Reti bucate e animali senza controllo.

Il vecchio commissario straordinario Ferrari, che indubbiamente qualche errore lo ha commesso, un giorno disse. "Mancano all’appello più di 10 milioni di euro per proseguire con le attività di prevenzione e di eradicazione della malattia”. E pensare che altri 10 sono già stati spesi per recinzioni parziali e di fatto praticamente inutili.

E ora? E ora siamo in primavera, la stagione del ritorno delle attività aperto e si scopre che di fatto siamo tornati al gennaio del 2022, anzi peggio. Perché il nuovo commissario per l'emergenza Vincenzo Caputo sembra intenzionato ad usare il pugno di ferro e starebbe per firmare una nuova ordinanza con altri divieti, zone rosse e stop alla deroghe ora in atto.
Insomma un altro lockdown nei boschi, l'ennesima batosta per coltivatori, aziende, proprietari di agriturismi e di tutte quelle attività che si svolgono all'aria aperta. Ma tanto poi arriveranno i ristori...

 

 

“Ma che ci resti a fare a Genova?” “Dovresti fare l’università fuori, perché non un master?” “Bella eh, ma non c’è vita alla sera, meglio Milano, meglio Bologna, meglio Torino, meglio Roma”… Quante volte mi sono sentita ripetere queste frasi negli anni. E come in tutti gli stereotipi, un fondo di verità c’è: Genova non è rinomata per l’età media di una città universitaria, non avrà la movida delle grandi città dove molti miei amici pian piano negli anni sono emigrati e per molti versi offre poche opportunità dal punto di vista lavorativo. Eppure, eppure c’è un eppure. Eppure nell’ultimo periodo ho fatto i conti che la retorica con cui noi giovani genovesi siamo cresciuti non è poi proprio così vera. Negli ultimi anni Genova ha saputo attrarre anche stranieri e persone da altre regioni. No, non sto parlando di crocieristi né di pensionati che hanno scelto di trascorrere gli ultimi anni in riviera, parlo proprio di ragazzi e ragazze che hanno scelto di trasferirsi a Genova, chi per motivi di studio, chi per lavoro, chi per amore e chi ancora per il bel clima. Eppure c’è un’altra Genova.

Per accorgersene basta girare un po’ in Centro Storico il venerdì e il sabato sera. Sì, accanto ‘ai soliti’, perché a Genova comunque si finisce sempre per conoscersi un po’ tutti e per frequentare gli stessi posti – i vicoli d’inverno, Corso Italia d’estate – spicca anche qualche accento privo di mugugno e persino chi parla uno stentato italiano e poi in comitiva si fa avanti parlando inglese o spagnolo. Ancora fa notizia la storia di chi da Milano ha scelto di mollare tutto e venire a vivere a Celle Ligure, facendo la pendolare quotidianamente fino a Genova per lavoro. O chi da artista straniera, dopo aver frequentato l’Accademia di Brera, abbia voluto mettere le proprie radici qui per trarre ispirazione dalla bellezza che la circonda.

E ci stupiamo se incontriamo chi da altre regioni o altri paesi abbia scelto proprio Unige per laurearsi e, chissà, magari trovare anche lavoro. Specie se chi l’ha fatto ha attraversato addirittura l’oceano. Fa ancora più strano vedere come tanti dal mondo abbiano deciso di costruirsi una vita qui: sui social centinaia di commenti ogni sabato alle testimonianze raccolte dalla rubrica "Finestra sul mondo" di Tiziana Oberti che ci ha raccontato di francesi, messicani, tedeschi, inglesi, giapponesi che vivono qui e che apprezzano la città.

Pensate che scoop potremmo fare allora soltanto camminando per i corridoi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dove tra i 1800 ricercatori che quotidianamente lavorano all’interno di questa eccellenza genovese circa il 60% proviene o dal resto d’Italia o dall’estero. E molti di loro si sono innamorati della nostra città che tra i monti e il mare e sotto una scorza ruvida all’apparenza ha tesori tutti da scoprire e una grande generosità. Un’altra Genova. A dimostrarlo le parole dei concorrenti di FameLab Genova, il talent show dedicato alla divulgazione scientifica: sul palco, la maggior parte dei partecipanti provenivano da fuori Liguria e le due vincitrici, Despoina Kossyvaki e Irene Guerriero, sono originarie rispettivamente della Grecia e della Campania. E dopo aver percorso mezza Italia o mezzo mondo per motivi di studio, hanno scelto di fermarsi proprio qui e di mettersi in gioco.

Ma anche l’Università di Genova, con un’offerta che sempre più si sta arricchendo nella direzione di corsi trasversali, è un altro grande attrattore, non solo di studenti ma anche di dottorandi che scelgono Genova per fare ricerca e per completare la propria formazione. Da Shangai arriveranno 30 studenti per il prossimo anno nel corso di ingegneria meccanica: sarebbero stati 60 volte tanto quelli interessati al corso, ma ancora la città non è pronta dal punto di vista di residenze universitarie e servizi. Questa è l’altra Genova, quella che sta prendendo forma, ma anche quella che potrebbe diventare. Ecco perché serve che qualcuno a Genova resti per investire su una città che vorrebbe la sua occasione per essere anche una città di giovani universitari, di occasioni lavorative, di eccellenze ma anche di start up, di futuro, un futuro che va costruito oggi e al più presto. Per chi vorrebbe venire qui e per chi vorrebbe tornare.

Conosco bene sia Carlo Calenda che Matteo Renzi, decisamente meglio Calenda con il quale eravamo in Italia Futura nel 2011/12, il Think Tank fondato da Luca Cordero di Montezemolo di cui fui dal primo momento socio e sostenitore.

Poi alle elezioni del 2013 Calenda non venne eletto nel collegio a Roma e fu un brutto momento per lui. Gli stetti molto vicino, perché è una persona che sicuramente merita, un buon organizzatore, con una cultura e una preparazione sicuramente superiore alla maggior parte dei politici italiani. Gli avrei dato volentieri un sostegno in questo periodo ma diciamo chiaramente che proprio lui mi ha tenuto lontano perché probabilmente mi conosce e sa che comunque non sono uno “yes man” che si fa dire che cosa deve fare.

Renzi è un fuoriclasse, simpatia unica, ti mette a suo agio, mi ha fatto una corte notevole perché entrassi nel Pd quando era segretario e Presidente del Consiglio. Io ero andato nel gruppo Misto dopo la fine di Scelta Civica, il partito con il quale venni eletto con leader Mario Monti e ci restai. Renzi non ha mai paura di avere vicino persone forti e indipendenti anzi, sono le persone che lo interessano di più. Mi ricordo una sera che stavo facendo ginnastica a Roma alle 22 e mi chiamò sul cellulare. Io non avevo il suo, era il Presidente del Consiglio.

Mi chiese, più curioso che arrabbiato, perché lo avessi attaccato quel giorno in Commissione di vigilanza Rai sulle frasi che aveva detto contro il conduttore Floris. Pensavo fosse uno scherzo, ma nel dubbio presi sul serio la telefonata e parlammo per oltre 20 minuti del perché e il giorno dopo scoprii che era davvero lui ad avermi chiamato. Poi quando venne a Genova passo tutta la serata alla Terrazza Colombo dove lo avevo invitato insieme a una parte del mondo economico e associativo ligure. Quella sera, su mia esplicita richiesta, nacque il treno Genova-Roma, un po' più veloce, che passa da Firenze. Non posso dimenticare anche che Renzi è stato sempre un grande estimatore dell’emittenza televisiva locale di qualità.

L’ultima volta che ho visto Renzi, di Calenda mi disse: "La mattina ti chiama e sembra che ti voglia bene e che sia semplice trovare un accordo, poi dopo qualche ora leggi su un sito di un giornale sue dichiarazioni dove parla di te come fosse il peggior nemico, Carlo è così”. Non ha torto Renzi, Calenda corre molto per essere unico leader, ha sempre trovato difficoltà a rapportarsi con chi può contrastarlo, inoltre gli ultimi risultati elettorali lo avevamo ulteriormente "gasato" e il suo ego si è ulteriormente rafforzato.

Alcuni amici e giornalisti di Primocanale sanno bene cosa gli dissi quando si sono "associati", per creare un gruppo unico, ritenevo assolutamente impossibile una convivenza fra i due e che non sarebbero durati più di un anno.

Renzi politicamente è decisamente superiore a Calenda, gli ha dato lo scettro della coalizione ma in modo provvisorio, anche perché voleva guardare che risultato elettorale sarebbe uscito fuori inoltre, avendo in mano la leadership Calenda, di fatto, l’opinione pubblica avrebbe ritenuto lui maggiormente responsabile di successi e insuccessi, e per questo lo ha lasciato correre da leader proprio per non avere responsabilità oggettive degli eventuali insuccessi.

Oggi la partita è un'altra: Calenda si è indebolito e Renzi ha deciso che questo era il momento di rompere, ma non lo ha fatto lui in modo palese anzi, ha irritato Calenda per far sì che fosse lui a rompere e a perdere le staffe sino a scrivere di tutto e di più del passato, secondo lui, discutibile, almeno eticamente, di Renzi. Peccato che ci sarebbe da chiedersi oggi, visto che Calenda sapeva benissimo tutte le cose che ha scritto contro Renzi molto prima che nascesse l’ipotesi di "gemellaggio" tra Azione e Italia Viva, perché fino a ieri gli andasse bene Renzi anche col suo passato e solo ora, rotti i rapporti, diventa una persona infrequentabile tantomeno con cui creare un partito unico. Su questo Calenda mostra i suoi limiti, non è riuscito a stare in silenzio, ha dovuto "vomitare" tutto il possibile sull’ex partner con cui si dava i "buffetti e scappelotti simpatici" alla Convention di presentazione dell’accordo tra i due.

Lo dico senza dubbi: se dovessi scegliere tra i due starei con Renzi, anche se Calenda avrebbe tante capacità operative che dovrebbe utilizzare
al meglio. Sintetizzando alla fine Renzi è un politico tra i migliori del Paese, Calenda un tecnico decisamente preparato che può coprire ruoli decisamente importanti con competenza, e infatti ha funzionato al meglio proprio quando Renzi lo ripescò come Ministro nel suo Governo.

*Maurizio Rossi, Senatore XVII legislatura

Sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati. Sono versi antichi, li scrisse Saba per la Triestina: se non sei di Sestri Levante, è quasi impossibile comprendere cosa significhi qui, proprio a metà strada fra Genova e La Spezia, il ritorno dei “corsari” in serie C, a una settantina di anni, cioè una vita o quasi, dall’ultima volta. Lo stadio Sivori sorge nel primo posto possibile, fuori dal fitto centro delle vecchie case e oltre l’area smisurata dove fino agli anni Ottanta c’era la grande fabbrica metallurgica che dava lavoro a tutto il paese. Proprio accanto all’impianto per il calcio, la chiesa di San Paolo, moderna più della parrocchia disegnata nel dopoguerra sottraendo territorio a Santa Margherita, Santo Stefano e San Bartolomeo. Non sono molti i posti dove stadio e chiesa stiano appiccicati, ma a Sestri molte cose sono strane e gli abitanti stessi vengono tacciati di aver due facce. L’Unione era nata alla fine della Grande Guerra, per l’idea dei padri fondatori, tra cui il poeta Descalzo, riuniti a Portobello: ha attraversato il Novecento quasi sempre in quarta serie, conoscendo fortune e disavventure, sempre nel segno di un legame forte tra squadra e comunità locale.

Era da un po’ che l’Unione girava attorno a questo obiettivo. Nel 2015, vincendo la selezione nazionale nella finale di Foligno sul Monopoli, aveva maturato il diritto all’ammissione alla C, ma non era ancora tempo di fare il salto. Ora, dopo una stagione trionfale, sotto la guida del presidente Stefano Risaliti, del direttore sportivo Paolo Mancuso e del tecnico Enrico Barilari, arriva una promozione che sembrava impensabile. Eppure meritatissima.

Ancora non ci credono, a Sestri, che l’Unione abbia vinto il campionato. Eppure è accaduto. La festa si terrà il 7 maggio, alla fine dell’ultima ormai inutile partita con il Borgosesia, con corteo dei tifosi e della banda musicale dal campo sportivo alla baia dove la fondazione del club, 27 settembre 1919, è ricordata con una targa.

Un sestrino su dieci, contando vecchi e bambini, va allo stadio. Molti hanno una ulteriore appartenenza, una “doppia cittadinanza” che rimanda al Genoa come alla Sampdoria ma anche a Milan e Torino; ma non si può disconoscere il posto dove si è nati. E dove ci si è appassionati al gioco del calcio, perché in teoria il calcio sarebbe un gioco.

Questa promozione riaccende un planetario degli affetti con nomi come Fosco Becattini, sestrino e più grande calciatore della storia del Genoa, cui per militanza e fede appartengono anche Bruno Baveni e Silvino Chiappara, oppure il sampdoriano Renzo Uzzecchini, grande didatta di giovani calciatori, recentemente scomparso. Il capotifoso Nicola Caranza, volato via troppo presto; e quanto ci avrebbe tenuto a questa promozione. Nel tempo scorrono figure come Mario Genta, Manlio Bacigalupo, Mario Tortul, Giorgio Fossa, “Zizzi” Stagnaro, perfino Juary, Francesco Baldini. Tutta una galleria di memorie che brilla in un paese di sportivi, come il ciclista della Legnano Luigi “Cinin” Cafferata compagno di avventure di Bartali in maglia ramarro, i pugili Mino Bozzano, bronzo a Melbourne nei massimi, e Aldo Traversaro campione europeo dei mediomassimi. E anche di intellettuali, perché no?, come il letterato Carlo Bo e il regista Vito Molinari.

Tutta Sestri festeggia questo successo, che non è un traguardo ma un punto di partenza. Otto chilometri più in là c’è l’esempio della Virtus Entella, idee e investimenti che hanno portato il club biancoceleste antagonista dei “corsari”, nel segno di una rivalità che nasce tra sestrini e chiavaresi oltre il calcio, a frequentare stabilmente addirittura la serie B, per la quale la squadra di Volpe è tuttora in corsa. Ma ognuno gioca per sé e anche nel Tigullio c’è posto per tutti, nel segno di una fruttuosa concorrenza verso l’alto. Per ora la festa è tutta del Sestri, “squadra paesana” tornata dove nessuno dall’uno all’altro mare ricordava più. A dimostrare, da una parte all'altra del Golfo, che si può fare calcio in modo equilibrato, sano, vincente. Come in città sembrano aver disimparato.

 

 

 

 

Lorenzo Mariani potrebbe essere il nuovo direttore generale di Leonardo. Una mossa che segnerebbe il compromesso migliore, a questo punto, fra il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che avrebbe voluto proprio Mariani alla guida del gruppo, e la premier Giorgia Meloni, che invece in quel ruolo ha imposto Roberto Cingolani.

Cingolani è genovese di adozione, soprattutto per essere stato a capo dell'Istituto italiano delle Tecnologie. Da scienziato della Fisica prestato alla politica, ministro alla Transizione ecologica del governo guidato da Mario Draghi, ora è un manager a tutto tondo. Sale alla guida del più importante soggetto industriale nazionale dell'Aerospazio & Difesa, ottavo gruppo al mondo nel settore. Ma Cingolani ha un problema: fatto cento delle attività di Leonardo, lui può opportunamente mettere bocca su circa il dieci per cento di queste attività, vale a dire il Civile. Sul restante novanta, quanto cuba la Difesa, potrebbe incontrare delle difficoltà. Anche a causa di rapporti fin qui quasi inesistenti con i vertici militari delle diverse Armi italiane.

È su questo aspetto che gioca Crosetto nella sua personale partita con l'amica, quasi sorella, Giorgia. E Mariani alla direzione generale può essere l'ideale punto d'incontro, per la preparazione del manager che oggi sta alla guida di Mbda (missili).

Leonardo è una realtà molto complessa: nel 2022 ha avuto 14,7 miliardi di ricavi, 17,3 miliardi di ordini e 37,5 miliardi di portafoglio ordini. Inoltre il margine ebit del gruppo (utile prima di interessi e tasse) è stato del 6,5 per cento: buono ma non straordinario, se consideriamo che è stato inferiore a quello di altri competitori europei della Difesa comeThales, Bae Systems, Hensoldt e Rheinmetall.

Per Genova la nomina di Cingolani può essere una buona notizia, perché molte attività del Civile sono basate proprio all'ombra della Lanterna e potrebbero ricevere nuovo impulso, uscendo dal cono d'ombra della possibile vendita. Prima fra tutte quella Automazione Industriale di cui l'ex amministratore delegato, Alessandro Profumo, si sarebbe voluto in tutti i modi sbarazzare. Ora le cose potrebbero cambiare radicalmente.

Così come un futuro molto più attivo potrebbero averlo Ansaldo Nucleare e Ansaldo Energia (controllate da Cassa depositi e prestiti, cioè lo Stato), due aziende che appartenevano al perimetro di Leonardo-Finmeccanica. La prima per una mission che sta già nel suo nome, la seconda per una consolidata esperienza sia nella costruzione di centrali sia nel decomissioning, cioè lo smantellamento dei poli atomici: entrambe potrebbero se non diventare il fulcro di una nuova politica energetica, certamente essere delle protagoniste.

Cingolani, del resto, è un nuclearista convinto e proprio per tale ragione è uno dei personaggi più invisi a certe organizzazioni ambientaliste. Ma probabilmente è proprio questo il tratto, oltre ai legami non dichiarati fra Meloni e Draghi, che hanno spinto il premier a insistere nella sua scelta per la guida di Leonardo.

Se il nuovo presidente Stefano Pontecovo è un ambasciatore come in passato ce ne sono stati molti alla guida del gruppo, utile per i rapporti con le altre Cancellerie, Cingolani sarà invece con i colleghi di Eni (confermato al comando Claudio Descalzi) ed Enel (il nuovo Flavio Cattaneo, con il contributo del neo presidente Paolo Scaroni) un vero e proprio ministro degli Esteri. Collaborerà con il governo, in poche parole, alla costruzione di una politica energetica e militare del Paese, in una fase nella quale l'Europa e i singoli Stati saranno chiamati a scelte decisive per i prossimi cinquanta anni.

Inoltre, e certo non secondariamente, il nuovo timoniere di Leonardo rappresenterà un punto fermo nell'azione che l'Italia porterà avanti, come si dice da più parti, per riuscire a collocare sulla tolda di comando della Nato l'ex premier Mario Draghi. Si ha la conferma, dunque, che il gruppo Aereospazio & Difesa è andato a Cingolani per ragioni non casuali e che Meloni lo ha designato cercando di ragionare ad ampio raggio.

Poi, certo, quella delle nomine rimane anche una battaglia di potere nella quale la politica ci sguazza. Ma negli ultimi anni bisogna dire che, a parte rarissime eccezioni, non si è mai usciti dall'indicazione di manager i cui curriculum erano e sono inattaccabili. Comunque, un passo avanti.