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Ansaldo Energia. Acciaierie d’Italia (ex Ilva). Piaggio Aerospace. Sono grandi aziende, con tre denominatori comuni. Uno: sono strategiche per il sistema Paese, perché si occupano di energia, siderurgia e aeronautica. Per conto dell’Italia, cioè, operano in settori vitali dello scacchiere geopolitico mondiale. Due: si tratta di imprese decisive per lo sviluppo, economico e occupazionale, della città di Genova (oltre che dell’intero Stivale). Tre: sono il simbolo del fallimento di tutti gli ultimi governi nella politica industriale.

Ad onta dei primi due argomenti, che da soli dovrebbero ampiamente bastare per garantire un’attività costante dell’esecutivo di turno, ci troviamo di fronte ad una autentica fiera dell’assurdo. Situazioni negative che si trascinano. Energia festeggia il suo 170° compleanno, ma c’è voluto del bello e del buono per arrivare alla sua ricapitalizzazione. E sugli ordinativi l’ottimismo del suo amministratore delegato non offre alcuna garanzia. Eppure di mezzo ci sarebbe Cassa depositi come primo azionista. Parliamo dello Stato, non di un “padrone” qualsiasi.

Persino più complicata la vicenda di Acciaierie d’Italia. Invitalia, quindi sempre lo Stato, sarebbe dovuta salire al 60 per cento del capitale, con il socio privato, Arcelor Mittal, in minoranza. Tutto congelato, invece. E proprio per questa ragione, sembra, il presidente Franco Bernabè si sarebbe dichiarato pronto ad un passo indietro. Dimissioni, però, non ne ha formalizzato, mentre il caos regna sovrano.

Quanto a Piaggio Aerospace, entro fine anno dovrebbe chiudersi l’assegnazione dell’azienda a un privato. Ci sarebbero, secondo il ministro Adolfo Urso, tredici gruppi a darsi battaglia per issare la propria bandiera sul pennone di quella che viene definita la “Ferrari dei cieli”. Lo speriamo tutti vivamente, anche se i fatti dicono altro. E cioè che fin qui si sono susseguiti numerosi commissari senza esito, che siamo alla terza gara per l’aggiudicazione di Piaggio e che ogni impegno per renderla subito più forte (e di conseguenza più appetibile, non ci vuole un genio) è stato puntualmente disatteso.

Ansaldo Energia, Acciaierie d’Italia e Piaggio testimoniano, ognuna con la propria specificità, l’assenza di una vera politica industriale da parte del nostro Paese. Inoltre, dimostrano la totale incapacità della politica a fornire risposte adeguate e in tempo utile. Già, perché il quarto denominatore comune di queste aziende è che i giorni, le settimane, i mesi e gli anni sono trascorsi nella vana attesa che “qualcosa accadesse”. L’attuale governo è nell’occhio del ciclone perché competerebbe ad esso chiudere positivamente i dossier, però quelli che lo hanno preceduto, e di tutti i colori possibili, non possono certo esimersi dalle responsabilità. Anzi.

Parliamoci chiaro: se anche solo una di queste storie dovesse finire male, la chiamata di correità investirebbe tutte le forze politiche, nessuna esclusa. Ma proprio nessuna. E non possono chiamarsi fuori neppure il Comune di Genova e la Regione Liguria. Ancorchè non appartenga loro alcuna potestà decisionale, non sono affatto sicuro che le due istituzioni abbiano fatto ciò che era necessario perché Roma si accorgesse di quanto stava accadendo a Genova (e a Taranto, nel caso dell’ex Ilva). Il mio amico e collega Franco Manzitti proprio su questo sito ha scritto che il re è nudo a proposito del Terzo Valico e del trasferimento della facoltà di Ingegneria a Erzelli. Verissimo. Ci aggiungerei la nudità del re sull’industria. Per questa ragione non ci aspetta un grande futuro. Anzi, possiamo proprio dire che la cattiva politica sta uccidendo Genova.

“Il Secolo XIX”, il più importante quotidiano della Liguria, avrà un nuovo direttore. Anzi. Una direttrice, Stefania Aloia che arriva dalla vicedirezione di “Repubblica”. La prima donna direttore nella storia pluricentenaria del giornale. E’ una svolta molto importante per il quotidiano. Come antica penna del “Decimonono” le do il benvenuto e mi congratulo con lei. Prima direttrice del “Monono”, torinese, esperienze al “Giornale”, caporedattrice centrale a “Repubblica”, quindi in un ruolo-chiave delicatissimo nella fattura di un quotidiano, è la quinta direttrice italiana.

Sono sicuro che la sua visione della nostra città servirà a tutti per capire meglio chi siamo e dove vogliamo andare. Sarà utile a noi giornalisti, ma anche ai politici e agli imprenditori. A chi vive e lavora in questa città. A Luca Ubaldeschi che dopo cinque anni di direzione va  a guidare il gruppo dei giornali del Nord Est auguri di buon lavoro.

Genova è spesso indicata, a mio modo di vedere in maniera un po’ banale e frettolosa, una città chiusa alle novità. Semmai è proprio il contrario, perché da Genova sono partite alcune delle “svolte” più importanti, diventate poi svolte nazionali. Non solo in politica. Molte donne sono state protagoniste di queste svolte, sia ai vertici di aziende strategiche, lo abbiamo visto anche in questi giorni, per esempio nel campo della nautica, come nella politica e nel sociale.

Penso a Bianca Costa, storica famiglia industriale e lei creatrice del Ceis, quell’innovatore centro di accoglienza inventato nel 1973 quando di droga si parlava ancora poco, e ancora meno di terapie, sostegni, reinserimenti. Penso alla prima sindaca di Genova, Marta Vincenzi, alla guida di Palazzo Tursi in un momento di scelte delicatissime, penso a figure di primo piano nel mondo dell’arte come Caterina Marcenaro, prima docente donna nella nostra Università (1945) austera guida delle Belle Arti quando bisognava ricostruire la cultura genovese dopo la guerra, soprannominata “la zarina” per il suo non facile caratterino. Penso a Luisa Massimo che guidò l’oncologia pediatrica del grande Gaslini negli anni ’80 e ’90. Insomma in questa benedetta città che molti per comodità definiscono “ostile” “refrattaria alle novità” accade spesso proprio l’opposto. E proprio alle donne è toccato guidare i cambiamenti.

Quindi mi fa piacere che al vertice del giornale dove sono stato trent’anni con grandi maestri come Tito, Rognoni, Giglio, Sconcerti, Rizzuto e Di Rosa, possa sedersi una direttrice. Ho avuto la fortuna, sia al “Secolo” che a Primocanale, di lavorare con colleghe molto toste. La cronaca che negli anni ’80 e ‘90 ho avuto l’onore di guidare macinava notizie con Chiara Borghese, Anna Pisani, Maria Latella, Daniela Altimani, Nelda Rota e poi l’indimenticabile, Donata Bonometti in ruoli-chiave e la prima tv privata ligure (diretta prima che arrivassi io da una giovanissima giornalista, Ilaria Cavo) lavorando insieme a Elisabetta Biancalani, Tiziana Oberti, Francesca Baraghini, Anna Chieregato, alcuni volti che oggi, con mia grande soddisfazione vedo anche sulle tv nazionali.

Chissà che una donna al vertice del quotidiano di Genova svegli una politica molto sonnolenta, dove in troppi si sono adagiati anche su scelte che, probabilmente, andrebbero contestate e non accettate tout-court.

Questa è una città dove l’animo femminile ha dato risultati straordinari. Penso a Nanda Pivano che ha tradotto per prima i grandi scrittori americani del dopoguerra da Hemingway a Faulkner alla Beat generation (la strada? Quando?) o all’occhio fotografico rivoluzionario di Lisetta Carmi.

Insomma, benvenuta Stefania Aloia in questa città meno strana e rognosa di quanto spesso sia stata raccontata.

Il Genoa che rifila 4 gol alla Roma non fa una piega. Lo “Special One” ovvero Mourinho che col Genoa non aveva mai perso, ha subito una lezione da Gilardino prima e durante il match. Il tecnico rossoblù dopo le critiche di Lecce aveva parlato di una squadra, la sua, viva e con la voglia di prendersi i punti persi per strada. È così è stato.

Ha giocato subito a sorpresa Matturro e poi quando il mister ha perso Badelj e Strootman ecco Kutlu e Thorsby e non Malinovskyi. E sono arrivati gol bellissimi, specie il secondo di Retegui con Gud strepitoso nel saltare tre avversari e di qui il passaggio a Thorsby che a sua volta fa l’assist al bomber azzurro con gesto tecnico che ha fatto venire giù la Nord. Di qui la gestione del match con sofferenza e sacrificio che ha esaltato il norvegese e pure Messias, che ha firmato il poker complessivo. Un trionfo per il Grifone in un Ferraris fantastico con 32.961 presenti compresi i 1800 romanisti.

Festa solo per Gilardino, per una notte da “Special One”, un bivio che lui e il Genoa non hanno sbagliato. Se lo merita il Gila e tutto il club. C’è anima al Signorini e di conseguenza a Marassi. E ora non disturbiamo il manovratore, sapendo che l’obiettivo resta la salvezza, che giocando così dovrebbe arrivare magari con la corazza, quella che si è messo Gilardino per resistere alle pressioni che a volte fanno bene, ma occhio, perché a volte sono tossiche.

Ogni tanto bisogna urlarlo che il “Re è nudo”, come avviene nella famosa favola di Andersen. Lo si fa per smascherare in tutta evidenza qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno ha il coraggio, appunto, di svelare, annunciare, manifestare.
Oggi a Genova il re è nudo perché nessuno dice chiaro che il “Terzo Valico”, atteso a Genova da 110 anni non ha ancora, dopo decenni e secoli, una data certa di conclusione dei lavori, da tanto tempo annunciata, rimandata, complicata, infinita.
Senza contare che quella conclusione riguarda solo una parte del “Terzo Valico”, la famosa galleria di 35 chilometri nell’Appenino tra Novi Ligure e Genova.

Mentre l’altro pezzo, fino a Milano, fondamentale per la effettiva realizzazione dell’opera, è un progetto e niente più. Come Maurizio Rossi continua a denunciare indefessamente da anni. Indefessamente e, ahimè, quasi inutilmente.

Seguo “Il Terzo valico” anche per motivi personali e famigliari dal 1988, anno in cui l’idea di un collegamento ferroviario veloce tra Genova e Milano fu rilanciata e “vestita” con la costituzione delle società CIV e COCIV e imposta a un sistema politico-economico che accettò tra mille difficoltà. Da allora, venticinque anni fa, un quarto di secolo, e soprattutto dal 1990 in avanti abbiamo assistito a tutto: quattro, cinque inaugurazioni dei cantieri, lunghe sospensioni, rimodulazioni come quella decisiva della invenzione dei “lotti costitutivi”, che permettevano di finanziare e procedere “ a puntate”.

Su quella linea ferroviaria veloce in costruzione si è visto di tutto fino alla talpa insabbiata a pochi metri dall’arrivo: scioperi, interruzioni dei lavori, fallimenti di società appaltatrici, indagini della magistratura, cambi di società, ripartenze, scoperte dell’amianto oltre i limiti previsti…..
Mentre gli svizzeri hanno “bucato” le Alpi più volte per realizzare infrastrutture che creino veramente una rete europea noi siamo “insabbiati” in quella galleria, come l’esercito italiano nella guerra di Africa.

Ma nessuno ha il coraggio di dire che il re del Terzo Valico è nudo.
La data della fine lavori si sposta sempre in avanti, ora la lancetta si ferma al 2026, perché quella è una data obbligatoria in conseguenza del PNRR. Ma vedrete che si troverà un sistema per andare ancora in avanti.
Eppure il “Terzo valico” è l’opera chiave, nella sua interezza Genova-Milano, per cambiare veramente lo sviluppo di Genova. Possono portarci pure papa Francesco nella galleria, con l’elmetto sulla testa, per dimostrare che si va avanti. Non basterebbe. Ne abbiamo visti di caschetti illustri sotto le volta del grande tunnel che non finisce mai! Sorrisi, foto, selfie, abbracci, articoli entusiasti e poi tutto come prima….

Ma il Re è nudo anche agli Erzelli, dove da più di venti anni aspettiamo che finalmente arrivi la facoltà di Ingegneria, che nel frattempo non si chiama neppure più cosi. Abbiamo visto oramai una sequenza di illustri Rettori dell’Università genovese e di presidi di quella Facoltà raccontarci le favole su questo trasferimento.
Mentre a valle della collina, che dovrebbe diventare l’Eldorado genovese, Carlo Castellano, “il visionario”, continua a spingere per completare una operazione infinita, che ha cambiato solo un po’ il profilo della “vetta”, con gli insediamenti di qualche azienda, quel bel prato verde diventato lo sfogo domenicale dei ponentini, ma dove i futuri ingegneri e anche i pazienti, probabili, eventuali, ipotetici del grande Ospedale moderno non si vedono neppure con i binocoli.
Qui il Re è nudo perché, come nel caso del “Terzo Valico”, sono non decenni, ma lustri che ci sentiamo annunciare la data del Grande Trasloco di Ingegneria, ma questo non avviene mai.

Non bastavano i migranti, il Pnrr, la guerra in Ucraina. Ci voleva anche lo spot di un colosso della grande distribuzione per dividere l’Italia.
La pubblicità è andata in onda sui canali nazionali (e anche sul nostro) per la prima volta nella serata di lunedì 25 settembre e ha una trama semplicissima: una bambina – Emma, che solo alla fine scopriamo essere figlia di genitori separati - sta facendo la spesa insieme alla mamma in un punto vendita milanese di Esselunga. Sottraendosi dall’attenzione della madre a un certo punto prende una pesca e la inserisce nella spesa della mamma. Una volta pagato, tornano a casa.

In auto la piccola non è concentrata su quello che la mamma le dice e guarda fuori dal finestrino dal quale, tra l’altro, osserva due genitori che accompagnano una piccola in bicicletta. Arrivano a casa. Mentre giocano e sorridono, suona il citofono: è il papà. I genitori sono, appunto, divorziati: la bimba saluta la mamma e scende dal papà. Una volta in auto, la piccola estrae la pesca e la regala al padre, dicendogli che è un regalo da parte della mamma. Il papà risponde che chiamerà la mamma per ringraziarla. La bambina si culla in un sorriso che le fa presagire una riconciliazione dei genitori. Fine. E allora che succede? Proiettato lo spot, il Paese si spacca.

Il terreno dello scontro è Twitter dove l'hashtag "Esselunga" è diventato di tendenza. Da una parte si polemizza sulla trama dicendo che la società ha voluto "strumentalizzare" le emozioni di una bambina celebrando la "famiglia del Mulino Bianco". L'altra fazione, invece, esalta il "coraggio di affrontare il divorzio dal punto di vista dei bambini”. Se l’elogio della famiglia tradizionale fa infuriare i social si becca però una piena approvazione - sempre social - dalla premier Giorgia Meloni. «Leggo che questo spot avrebbe generato diverse polemiche e contestazioni. Io lo trovo molto bello e toccante», ha postato Giorgia.

Nessuno ha notato che anche la premier è figlia di genitori separati. Senza contare che quando suo padre abbandonò la famiglia, lei non poté neanche andare da Esselunga a prelevare una pesca per consegnargliela, perché il padre preferì trasferirsi… alle Canarie.