Vai all'articolo sul sito completo

Essere un padre separato è una condizione molto difficile: lo è, per molti, sul piano economico; e lo è, paradossalmente, anche su quello socio-culturale, giacché gli uomini, nel mondo d'oggi, non godono di molti favori.

Lo premetto, anche se non servirà a placare i commenti cattivi di chi vuole vedere il male in ogni frase: se la condizione maschile è oggi guardata con un certo sospetto è anche colpa nostra, di noi uomini intendo. E ogni ragionamento che proverò a fare in queste righe non vuole certo proporre confronti tra la condizione difficile degli uomini che si separano con quella delle donne che subiscono violenze.

Ma è chiaro che tra gli effetti collaterali della contemporaneità ci sono anche molte vite maschili distrutte dalla solitudine e dalla povertà.

Avevo un amico di professione operaio specializzato: sposato con due figlie piccole, una casa comprata con il mutuo e uno stipendio decoroso. Non poteva permettersi una vita lussuosa, questo no, ma a lui e alla sua famiglia non mancava nulla. Le cose andavano bene fin quando, e sulle ragioni non posso entrare perché non le conosco, i rapporti con la moglie si sono dapprima raffreddati e poi interrotti.

La separazione avvenne in modo civile, non ci furono quelle battaglie campali, invero un po' squallide, che mettono sul piatto l'innocenza dei figli. Ma nonostante la correttezza delle firme, il risultato fu terribile. Il giudice gli impose la copertura del mutuo più una quota per il mantenimento della ex moglie e delle figlie. Quest'uomo si ritrovò con lo stipendio più che dimezzato e con ancora il bisogno di provvedere a sé stesso, a partire dalla casa. Tornò a vivere dalla mamma, a quarant'anni suonati, senza più un soldo in tasca. Ci siamo persi di vista, se sta leggendo e si riconosce in questa storia gli mando un saluto, augurandomi che nel frattempo le cose si siano sistemate.

E questo è niente, rispetto a quello che capita ad altri uomini dopo il naufragio del loro matrimoni: mogli indispettite, talvolta anche giustamente, non discuto, spesso pervase d'odio, che impediscono ai loro ex di vedere i figli. Credo che non ci sia nulla di più terribile. A questa condizione si aggiunge la vita, che necessariamente fa il suo corso: l'ex moglie si riaccompagna, il padre dei bimbi diventa un altro uomo e nessuno se ne preoccupa.

Sono certo che non sia questa l'evoluzione naturale di ogni matrimonio fallito, sicuramente molte donne conservano il rispetto dell'uomo con cui si sono accompagnate e che hanno scelto per mettere al mondo un erede: il sapore di un amore passato non può completamente stingere per colpa della delusione presente, ma resta grave che molti, troppi uomini, vivano con disperato disagio i loro guasti amorosi.

E' quindi doveroso che il tema venga posto all'attenzione pubblica affinché si percorrano parallelamente due strade: la prima è quella di un sistema giuridico che conduca a una reale tutela dei diritti dei padri verso i loro figli, sia nella frequentazione che nell'educazione e nelle scelte più importanti. La seconda strada è quella culturale: la dimensione del ruolo di padre nel terzo millennio va necessariamente rivista.

Non siamo più i signori Banks di Mary Poppins, non ci limitiamo a dare una pacca ai nostri figli prima che la tata li porti a dormire: l'uomo è oggi, e non da stamattina, parte integrante della vita dei suoi bimbi, partecipa attivamente alla loro crescita e soffre dannatamente la loro lontananza. E' giusto che la società contemporanea, prima ancora del legislatore, lo riconosca.

Lasciare gli uomini in balia dei sentimenti delle loro ex mogli è una barbarie: nel mondo in cui quasi un matrimonio su due è destinato a fallire la condizione dei padri separati è un'urgenza non più procrastinabile.

GENOVA - La proposta di riforma del sistema fiscale presentata dal Governo Meloni ha scatenato un acceso dibattito politico, dividendo nettamente le opinioni tra i partiti di maggioranza e quelli dell'opposizione. Mentre il Vice Ministro Maurizio Leo ha delineato tre obiettivi chiave della riforma - snellire il magazzino dei debiti fiscali, prevenire la formazione di nuovi debiti simili, e rendere la riscossione più veloce ed efficiente - le critiche dell'opposizione si concentrano sull'argomento che questa iniziativa potrebbe favorire gli evasori fiscali.

Il Governo sostiene di continuare la lotta contro chi elude il pagamento delle tasse, ma con la volontà di assistere coloro che desiderano adempiere ai propri obblighi fiscali, ma incontrano difficoltà economiche. Tuttavia, secondo l'opposizione, si tratta di un ennesimo colpo di spugna che potrebbe agevolare gli evasori.

Per comprendere appieno il contesto in cui si colloca questa riforma, è essenziale considerare i dati forniti dall'On. Maurizio Leo. Attualmente, il debito fiscale non riscosso ammonta a una cifra impressionante di 2.000 miliardi di Euro, di cui solo l'8% ha possibilità concrete di essere recuperato. Il restante 92% è destinato a essere perso, in quanto riguarda soggetti deceduti, insolventi, residenti all'estero o semplicemente irrintracciabili.

Il Governo Meloni prevede l'istituzione di una Commissione Parlamentare per gestire questo vasto elenco di morosi, con l'obiettivo di rendere la riscossione delle tasse più efficiente e allineata agli standard europei. Inoltre, un'altra misura significativa adottata è lo stop all'uso del contante per i giochi online. Coloro che desiderano ricaricare più di cento Euro dovranno farlo utilizzando strumenti di pagamento elettronici tracciabili e sicuri.

Tuttavia, per valutare appieno l'efficacia di queste iniziative, è fondamentale considerare il commento dell'ex Direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Quest'ultimo ha evidenziato l'impossibilità della situazione attuale, con un indice medio di recupero fiscale degli ultimi vent'anni oscillante tra il 12% e il 13%. In altre parole, su 100 Euro accertati, lo Stato riscuote solo 12-13 Euro dopo 10 anni e appena 30 Euro dopo 20 anni.

È evidente che la riforma fiscale proposta dal Governo Meloni rappresenta un tentativo ambizioso di affrontare una problematica complessa e diffusa. Tuttavia, il successo di tali misure dipenderà dalla loro efficacia nell'affrontare le radici profonde dell'evasione fiscale e nell'implementare procedure di riscossione più efficienti e trasparenti.

 

Sono un cattolico, quindi non favorirei mai l’aborto. E neppure sono incline al divorzio. Tuttavia, credo fermamente che entrambi siano diritti sui quali una comunità, quindi ogni suo singolo componente, debba poter contare.

Dico ciò perché sembra proprio che in Liguria ci si stia avvicinando ad una legge sul fine vita. Ecco, questo sarebbe un altro diritto. A freddo, da cattolico dico che certo mai mi arrogherei il potere di chiudere l’esistenza di un essere umano. Ovviamente e primariamente me compreso. Ma una cosa è disquisire a tavolino, altro vivere le indicibili sofferenze di chi è colpito da una patologia senza via d‘uscita. Con onestà intellettuale: siamo certi che pure un cattolico come me non ricorrerebbe al suicidio assistito? Non so rispondere. Posso solo sperare: Dio non voglia che debba trovarmi in una situazione del genere.

Dicevo che pure una fine dignitosa dovrebbe essere un diritto. Cioè la penso esattamente come la Corte Costituzionale, una cui sentenza stabilisce che chi lo voglia deve avere consentita la possibilità del suicidio assistito.

Su questo stesso sito ho letto il calvario di Laura Santi (LEGGI QUI), 49 anni, che vive a Perugia ma da sempre è legatissima a Genova, affetta da una forma di sclerosi multipla avanzatissima da 27 anni. Ho saputo così della sua giornata infernale per via una condizione che lei stessa definisce insormontabile: “La ricerca fa passi da gigante, ma li fa per chi si affaccia alla malattia, non per casi come il mio”. E ho letto il suo appello allo Stato e/o alle Regioni affinché facciano una legge. Anche alla Regione Liguria.

Ecco, qualcosa qui può succedere. C’è una proposta sulla quale si è cominciato a ragionare. Per una volta sembra che gli steccati e le divisioni politiche possano essere superati, quindi deliberatamente non scrivo quali partiti abbiano presentato l’ipotesi legislativa e come gli altri si stiano avvicinando alla questione.

C’è molto tormento, non v’è dubbio. Se dipendesse da me ci metterei veramente un attimo a varare il provvedimento. Però capisco e rispetto chi ha dei dubbi, anche di natura etica. Al momento mi pare che nessuno voglia lucrare politicamente sull’argomento. Mi auguro che le cose restino tali.

Tuttavia, sommessamente continuo a osservare che anche il suicidio assistito, come l’aborto e il divorzio, è semplicemente un diritto, che uno Stato, anche attraverso sue emanazioni come le Regioni, deve mettere a disposizione. Poi sta a ogni cittadino, nella sua piena e totale libertà, usufruire o meno di quel diritto. Lo ripeto instancabilmente, perché questo penso sia il vero punto di discrimine. Di sicuro non vorrei più leggere parole come quelle di Laura: “Così è una tortura”. Bastano le malattie.

Una settimana. Anzi, sei giorni. Una settimana scarsa per cambiare scenari, intravedere le prospettive di un futuro promettente. Due vittorie, non belle, non spettacolari ma fortissimamente volute.

"Ci siamo calati nella mentalità della serie B", ha detto Pirlo. Zona playoff accarezzata di lunedì e agganciata sabato. E in mezzo l’accordo in tribunale per l’uscita di scena del vecchio proprietario che i tifosi non vogliono nemmeno sentir nominare. Via il freno, la zavorra dell’incertezza che ancora pesava sullo status societario.

“Finalmente liberi”, era il titolo-emblema di Primocanale ad aprire la trasmissione Gradinata Sud, venerdì scorso. E non c’è niente di esagerato nel dire che questa settimana (scarsa) è quella più importante della Sampdoria degli ultimi anni, dopo i giorni che hanno portato alla Festa della Liberazione Blucerchiata, il subentro della nuova proprietà a cavallo fra il 29 e il 30 maggio.

Godiamocela, ma non troppo: è il mantra di Andrea Pirlo, cui questi mesi hanno regalato una ragnatela di piccoli solchi di espressione e tensione sul volto. Consiglio per i suoi giocatori dato sabato sera negli spogliatoi del San Nicola: "La classifica guardiamola stasera, magari domani. Poi dimentichiamola…". Mica per altro, per un motivo molto concreto: "Perché non possiamo permetterci di fermarci, di pensare di essere diventati bravi tutt’a un tratto. Solo il sacrificio e il desiderio di ambire a qualcosa d’importante ci ha portati al settimo posto". Traduzione: l’errore fatale sarebbe sentirsi in qualche modo appagati o, peggio, convinti di poter fare a meno di una dose forte di umiltà.

Poi c’è dell’altro: il recupero di alcuni giocatori le cui assenze avevano impoverito fortemente il tasso tecnico complessivo della squadra, ridotto le possibilità di scelta del tecnico in panchina e minato autostima e consapevolezza. Esposito è rientrato e, purtroppo, uscito troppo presto, speriamo non a lungo. Depaoli c’è di nuovo e può solo crescere. Quanto valga Borini si è capito, ammesso che non fosse ancora chiaro, nell’ultimo scorcio di partita giocata: esperienza preziosa, fondamentale per conquistare falli e dare serenità ai compagni intorno a lui. Altri sono rientrati o stanno per farlo, e ovviamente il pensiero va all’altro ragazzo (con Esposito) che ha dimostrato di poter cambiare da solo, o quasi, le sorti di una partita: Pedrola. Intanto Stankovic continua a crescere e Leoni, partita dopo partita, acquisisce autorevolezza che si somma alle doti naturali. Stop, ha ragione Pirlo: piedi per terra, umiltà, massima applicazione. Ma, nelle ultime otto giornate di chiusura della regular season, dopo la sosta, può essere davvero un’altra Sampdoria.

Intanto, la società ha un presidente, sta lavorando per un’ottimizzazione strutturale, è impegnata nell’operazione-Marassi rinnovato, è appunto libera dalla zavorra-Ferrero. E, se è vero che ci sono pretendenti a entrare a far parte della compagine societaria, nulla ora osta. Finora, dopo la prima tranche di denaro immesso da Andrea Radrizzani al momento del passaggio di fine primavera, la Sampdoria è andata avanti con finanziatori non palesi che immettono denaro in Gestio Capital, la finanziaria del patron Matteo Manfredi, che alimenta la controllante Blucerchiati. Questi finanziatori, finora occulti, potrebbero avere presto identità precise. Sono girati nomi, quella che appare certo è l’area operativa di provenienza: il Sud Est Asiatico, Singapore e dintorni.

Ma c’è un’altra opzione che regala suggestioni. Roberto Mancini, ct dell’Arabia Saudita nonché padre del giovane ds blucerchiato Andrea, si è fatto promotore, recentemente, di un incontro fra personalità saudite e la nuova proprietà blucerchiata. Facile intuire le potenzialità di un intervento saudita nella Sampdoria, mentre per il Paese arabo la contropartita potrebbe essere far crescere e maturare qualche giovane promettente nel campionato italiano. Inutile negare che poi, in tutto ciò, colpisce la fantasia dei sampdoriani quella promessa, nemmeno celata ormai, che prima a poi l’ex Bimbo d’Oro di casa Samp possa venire a completare una carriera di allenatore top con una sorta di ritorno a casa, a Genova.

Suggestioni, queste ultime, a cui fa da contrappunto qualcosa di molto più concreto e vicino. "Sono contentissimo di essere qui, mi trovo benissimo, mi piacerebbe restare per anni, allenare la Samp è motivo di orgoglio". Parole di Andrea Pirlo, che sta facendo bene in panchina e ha confermato di essere persona seria, oltre che tecnico con una notevole capacità di adattamento alle (non facili) situazioni. Pirlo ci ha sempre messo la faccia, si è esposto, non si è mai lamentato, ha funzionato da punto di riferimento e, quando necessario, anche da parafulmini. Uomo azienda, oltre che uomo immagine, conosciuto e stimato nel mondo.

Tirando le somme: la Sampdoria squadra beneficia della rinnovata serenità della Sampdoria società, e viceversa. La promozione in un anno non era e non è un obbligo, ma può diventare un’opportunità. E intanto si lavora per il futuro.

P.S.: un giovane e un senatore sono fra i personaggi simbolo della Sampdoria di oggi: Giovanni Leoni, 17 anni e tre mesi, e Pajtim Kasami, 32 anni fra tre mesi. Il primo è arrivato da Padova firmando un “contratto di apprendistato” e la Sampdoria possiede un diritto di riscatto fissato a un milione e mezzo, che rappresenta un investimento destinato a lievitare; il secondo è arrivato dopo una carriera di giramondo, è il combattente che mancava, un capitano vero, con o senza fascia. In base alle presenze, è già scattato il rinnovo automatico del contratto fino al 30 giugno 2025. Si comincia a guardare avanti, a respirare sereni. Finalmente liber

GENOVA - Le cose intoccabili a Genova sono la comunità di Sant’Egidio, la Gigi Ghirotti, la comunità di San Benedetto e il Ceis. Ghirotti e Ceis celebrano quest’anno due importanti anniversari, i quarant’ anni dell’ associazione che assiste i malati terminali di tumore e i cinquanta della creatura inventata nel 1974 da Bianca Costa. E dietro queste magnifiche realtà genovesi ci sono o ci sono state alcune persone. Il professor Franco Henriquet per esempio, l’indimenticabile Don Gallo e Bianca Costa, la “signora della solidarietà”.

Di lei voglio parlare oggi proprio in occasione del ricordo della sua associazione che nel pieno dell’esplosione del fenomeno della droga che squassava giovani vite e distruggeva famiglie di ogni estrazione sociale, decise che invece di fare la signora della “Genova-bene” (orrendo termine usato ancora oggi, ahimé) si sarebbe occupata di queste vittime emarginate.

Ricordo che alla fine degli anni Settanta decidemmo in cronaca al “Decimonono” di mandare un giovane cronista a contare quante siringhe usate avrebbe trovato la mattina in uno dei più popolari giardinetti di Genova. Antonio Tempera, munito di guanti protettivi tornò in redazione con un numero impressionante contato tra le aiuole.

Pochi anni dopo la giornalista Maria Latella raccontò della conta delle siringhe “ufficiale” e della vendita delle stesse nelle farmacie: ogni giorno in poco più di due, ore dall’una alle tre e mezzo del pomeriggio, si vendevano a Genova seimila siringhe nelle tredici farmacie di turno in quella fascia oraria nel centro. Commentava allora il dottor Tettoni segretario dell’ordine dei farmacisti che il dato poteva essere addirittura per difetto.
L’eroina dilagava come un’epidemia.

Bianca Costa voleva aiutare nel modo più “moderno” possibile i ragazzi a uscire dalla droga.
Lo fece col suo Ceis il Centro di Solidarietà, aiutata dalla sua solida famiglia (Enrico ancora oggi presiede l’associazione) con una sua filosofia: trasmettere a questi giovani disperati la voglia di amare e di vivere. Lo fece partendo dalla forza della sua fede, ma aggiungendo a questa una buona dose di coraggio.
Riascolto cosa disse don Gallo ai funerali della “signora della solidarietà”, scomparsa diciott’anni fa. “Nel 1971 si è lasciata stimolare dal concilio Vaticano II e capì che non bastava più l’elemosina già fortunatamente ampia, ma occorreva una trasformazione, un salto da una solidarietà assistenziale a una solidarietà liberatrice”. “Liberatrice”, parola magica e insieme terapeutica.

Le case del Ceis, così si aprirono anche ai malati di Aids. E così il Ceis si è sviluppato seguendo l’impostazione d’avanguardia della fondatrice, adeguandosi alle nuove “droghe”, alle nuovissime dipendenze, ma operando anche nel campo della assistenza psicologica e dell’aiuto ai migranti e della cosiddette nuove povertà oggi drammaticamente dilaganti.

“E’ stata una persona – spiegò allora la ministra Livia Turco – che aveva al centro della sua vita e della sua attività la dote dell’amorevolezza”.

Comunità voleva innanzitutto dire ascolto, farsi carico dei guai degli altri invece di evitarli voltandosi per strada quando si incontrava un tossico in evidente difficoltà.

Il Ceis fu una nuova dimostrazione che Genova non era la città degli indifferenti come spesso era banalmente raccontata, anzi, semmai il contrario, seguendo una sua tradizione secolare di assistenza sempre moderna da Caterina Fieschi Adorno a Bartolomeo Bosco e Ettore Vernazza fino a don Orione. Gli assistiti, spiegava Bianca Costa, non avrebbero dovuto mai sentirsi “giudicati” dagli altri.

La vittoria era vedere un ragazzo uscire dalla comunità dopo essere riuscito a riprendersi la vita in mano. Una filosofia che se allora valeva per le vittime dell’eroina oggi vale per tanti drammi umani. Dai nomi e dalle origine diverse, ma sempre storie di disagi e vite distrutte.