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L'otto marzo è la festa della donna, così dicono i più. No, l'otto marzo è la Giornata Internazionale della Donna, dei suoi diritti, delle sue conquiste sociali, economiche, politiche. Cos'ho contro la semplificazione dei termini? Nulla, in particolare. Ma tengo molto alle parole, soprattutto quando si declinano al femminile. E la definizione dell'otto marzo deve essere completa, non costa niente qualche lettera in più. Partirei proprio dai diritti conquistati dalle donne, dalle battaglie portate avanti negli anni, da quella voglia di rivalsa che "non ha fatto mollare di un centimetro", come si direbbe nel calcio. 

Sì, proprio quel gioco con la palla in un rettangolo d'erba che mi ha accompagnata negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza e che adesso, constato con piacere, sta diventando "normale" anche accostato al mondo femminile. Quando iniziai ad "appassionarmi al pallone", come diceva mio papà, avevo dieci anni e mi cimentai al torneo Ravano, in quinta elementare. Si consolidò proprio in quelle settimane il mio amore per il calcio che mi portò per diversi anni a calcare i campi in terra di Genova e in parte della Liguria. Una conquista piccola, piccolissima, rispetto a quelle che hanno fanno la storia, ma che negli anni ho capito avere la propria rilevanza. Perché è vero, il calcio è "solo" uno sport, ma la possibilità che nel tempo venga considerato normale anche in ambito femminile è un esempio, ripeto microscopico, di un passo verso la cosiddetta uguaglianza

Spesso sento dire che essere donna è un privilegio, lo è perché ti permette di vivere la maternità, perché la nostra spiccata sensibilità consente di vedere il mondo da un'altra prospettiva. Tutto vero, forse, ma non è retorica affermare che essere donne, in una società non ancora egualitaria, complica non poco l'esistenza. Basti pensare che ancora, nel 2023, ci sono Paesi nei quali la donna è considerata, per legge, "inferiore all'uomo", dove il suo corpo è rivendicato come merce di scambio: tu stai con me, sei al mio servizio, e io ti assicuro una casa nella quale vivere. Ma come si vive? La verità è che noi, dal nostro Occidente democratico e moderno, che ci piaccia o meno, non abbiamo neanche idea di cosa significhi tutto questo. Forse, neanche guardando un film iraniano potremmo riuscire a immedesimarsi in quella realtà.

E allora credo che solo attraverso la conoscenza, quella vera, profonda, e attraverso i racconti di donne che hanno deciso di non sottostarsi e di non nascondersi più, si possa diventare consapevoli. E la consapevolezza, nella vita, è quel viatico che permette di affrontare al meglio se stessi e gli altri. "Il mondo che vorrei", cantava nel 2008 Vasco Rossi, e se penso al mio mondo, a quello che vorrei, mi piacerebbe che fosse così, in due parole: giusto e coerente. Niente di più, niente di meno. Parità di diritti, parità di occasioni, parità di merito e perché no, parità di stipendio. Nessuna agevolazione, nessuna scorciatoia perché "siamo donne", ma solo la possibilità, a parità di capacità, di opportunità, di essere quanto e come gli uomini. In qualsiasi ambito della vita. Perché chi afferma che questo sia già così commette un errore, esiste ancora una disparità di trattamento che deve essere riconosciuta a ogni livello, a partire da quello maschile e istituzionale.

Da amante della politica, che crede fortemente nel ruolo che i nostri "discussi" rappresentanti politici svolgono, sono rimasta piacevolmente colpita dal dualismo Meloni/Schlein. Due donne, completamente diverse tra loro, ai vertici del potere, in un mondo a trazione maschile. Dall'underdog Giorgia Meloni, che ha portato il suo partito dal 3% al 30%, diventando anche la prima donna premier in Italia, alla Elly Schlein predestinata, capace di ribaltare un pronostico già scritto. Meloni e Schlein saranno chiamate alla prova dei fatti, ma dovranno essere giudicate in quanto politiche, appassionate e capaci, e non in quanto donne che, "guarda che storia pazzesca", sono diventare leader dei loro schieramenti. E allora sì, sarà questa la vera normalità. Buona Giornata Internazionale della Donna, senza retorica.

GENOVA - Non è ancora stato fatto niente, sia chiaro a tutti: il Genoa il ritorno in serie A se lo deve conquistare fino all'ultima giornata e non si può nemmeno escludere che debba affrontare i playoff.

Oggi è così, perché il Bari “conta” ed ha un attacco forte e il Sud Tirol per il momento è sempre lì con i rossoblu e i pugliesi. Ha ragione Gilardino che in B non c’è nulla di scontato, ma siccome qui di promozioni ne abbiamo viste, il Grifo del Gila è a guardarlo bene un mix tra quello di Scoglio è quello del Gasp. Il professore con Signorini, Torrente, Eranio, Ruotolo, Nappi e Fontolan venne su in carrozza subendo una manciatina di gol.

In fondo fa quando è uscito di scena Blessin questo Genoa è diventato un bunker: 9 partite senza subire gol. Insomma, chi crede nella teoria che la difesa è il primo pilastro per i successi sarà soddisfatto. Come appunto predicava il prof di Lipari che tra l’altro col suo eloquio unico e avanti di dieci anni, incanto’ tutti con le soluzioni sui calci piazzati che lui sosteneva di averne studiati oltre quaranta.

E in effetti era così. Nulla di nuovo, infatti al Genoa, i tempi cambiano, ma ecco il mago delle punizioni e dei corner a servizi dei rossoblu che risponde al nome del signor Alex Clapham che quando era stato annunciato aveva raccolto scetticismo e un po’ di ilarità. Ora se Dragusin continua a segnare con questo ritmo, già arrivato a tre gol, diventa capocannoniere grazie proprio a Clapham e ai calci d’angolo perfetti.

Dopo mesi in cui il Genoa in area non la prendeva mai. In fondo un’ideale prosecuzione del credo di Scoglio. Ma Gilardino che ha avuto Gasperini come tecnico sembra essere stato contagiato dal mister torinese che venne in A in un torneo con Juve e Napoli. Il Gasp puntava sui gol con la strada della profondità e cross. Gasparetto, Di Vaio e compagnia bella per aprirsi la strada del “Paradiso”. Un po’ come Puscas e Gudmundson aspettando Coda. Questo per dire che gli auspici per inseguire il sogno ci sono, ma la strada è ancora lunga come quella di allora con Scoglio e Gasperini.

Non so quale posto possa avere Imperia nell'agenda politica di Elly Schlein. Avrà mille problemi dei quali occuparsi la nuova segretaria nazionale del Pd. E uno sarà tenere unito il partito, schiacciato fra l'ansia di rivincita degli iscritti (la maggioranza aveva scelto Stefano Bonaccini), il rinnovamento della classe dirigente e l'esigenza di non appiattirsi sui temi cari ai Cinque Stelle, pur volendo segnare un'opposizione che sappia colpire come un solo uomo "il governo delle Destre".

Orbene, se in tutto ciò, e non dimentichiamo certo i temi economici, l'unità dovrà essere un valore, allora la giovine Elly farà bene a darcela un 'occhiata, a Imperia. Il 14 e 15 la città andrà al voto per le amministrative e sarà non solo un capoluogo, ma pure il Comune al quale Claudio Scajola, un antico avversario, chiederà il sostegno per un secondo mandato.

Ci sono tutti gli ingredienti, insomma, per trasformare Imperia in un autentico simbolo di ciò che potrebbe essere il nuovo Pd della Schlein. Nel bene. Ma anche nel male. Succede, infatti, che il Pd imperiese si sia inopinatamente diviso. Da una parte quello ufficiale, verrebbe da dire quello di Elly, che ha deciso di candidare a sindaco Laura Amoretti.

Dall'altra parte c'è il Pd dei dissidenti, che mette in campo Domenico Abbo. Il quale, però, coagula una maggioranza di sinistra-sinistra, compreso Ivan Bracco, che compie un passo di lato dimostrando non usuale acume politico. Abbo, quindi, sarà alla guida di una coalizione verso la quale il cuore di Elly, almeno a guardare i precedenti, sembra più incline.

Per dirla con il linguaggio comune: alla faccia dell'unità proclamata, il Pd imperiese si spacca nel peggiore dei modi e riesce difficile pensare che la neosegretaria, per due volte salita a Genova durante la campagna elettorale per le primarie, potrà fare finta di niente. Il rischio, però, è che sbagli comunque scelga. L'unica via d'uscita sarebbe ricomporre la frattura: ce la farà? Pochi giorni e lo sapremo.

Specularmente, Imperia è un capolinea importante per il centrodestra. Scajola desidera marcare il "civismo" che l'ha portato al successo cinque anni fa e dunque non vuole simboli di partito. Siccome Giovanni Toti è uno pragmatico assai, fin dalla prima ora ha dato il proprio okay. Seguito da Forza Italia e, con qualche riluttanza in più, dalla Lega.

Fratelli d'Italia, il partito della premier Giorgia Meloni, invece non se ne sta. E oggi presenterà il suo candidato, Luciano Zarbano. "Chi è costui?" si chiederanno molti imperiesi. Un ufficiale dei carabinieri che nelle prossime settimane diventerà un volto conosciuto per gli elettori. Al punto da battere il sindaco uscente Claudio Scajola? La domanda resta appesa a mezz'aria. Come un'altra, diventata ormai tormentone: ma chi glielo fa fare a Meloni di spaccare il centrodestra solo per eleggere qualche consigliere comunale con il marchietto  del suo partito?

Il sospetto è che localmente stia accadendo come al governo: qui ci sono ministri troppo loquaci a sproposito, che mettono in difficoltà la premier, là ci sono marescialli che con la scusa del vento del consenso in poppa mettono in pericolo i successi fin qui ottenuti da Meloni. Giorgia contro Elly e viceversa: chi ha detto che ora comincia davvero la sfida fra le due donne potenti della politica italiana probabilmente non ha sbagliato.

GENOVA - “Le regole sono inutili per coloro che le rispettano e altrettanto inutili per coloro che le violano”: la paternità di questo aforisma è incerta, taluni lo associano al filosofo tedesco Friedrich Nietsche, altri allo scrittore e politico inglese George Orwell, altri ancora all’irlandese Oscar Wilde. E a quest’ultimo, che pure è celebre per aver fatto dire a Lord Henry, nel ‘Ritratto di Dorian Gray’, che “la sigaretta è il prototipo perfetto per ogni piacere, è squisita e lascia insoddisfatti”, vanno associate altre celebri frasi sul fumo: quella alla quale sono più affezionato, e che più condivido, è riferita ai sigari che, per il dandy, “sono come le passioni, bisogna goderne senza soffocare gli altri con il loro fumo”.

E’ a questi atteggiamenti che la mia mente corre quando avverto il riaccendersi, è proprio il caso di dirlo, delle iniziative politiche e legislative sul tema del fumo: iniziative che sembrano ormai prossime a diventare legge dello Stato su pressione del governo guidato da Giorgia Meloni. Presto, a quanto pare, il fumo di sigaretta (e di tutto quanto ne produca, comprese quelle diavolerie elettroniche introdotte di recente) sarà vietato anche in alcune aree all’aperto, dai dehor alle fermate degli autobus. E’ un’iniziativa giusta? Si e no.

Mi spiego. Il fatto stesso che sia necessario istituire una norma che criminalizzi chi sbuffa il proprio vizio sulla faccia altrui ci dà il segno della deriva volgare che hanno imboccato i tempi nostri: nel mondo interpretato dalla frase d’apertura, infatti, nessuno accenderebbe mai una sigaretta, o un sigaro, in un luogo affollato, ancorché all’aperto. E ho spesso questionato, da classico vecchio trombone, con chi ‘accendeva’ nel dehor di un ristorante, guastando il piatto del vicino con la sua nuvola azzurrognola. Ma se la politica, che forse avrebbe altro a cui pensare ma tant’è, ritiene che certi comportamenti siano diffusi, allora fa bene a reprimerli.

L’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico ha scosso la politica italiana perché nessuno dei politici professionisti si aspettava che lei vincesse. Tutti, a cominciare da militanti e iscritti, ma anche quelli dell’altra parte, erano sicuri della vittoria di Stefano Bonaccini, collaudato governatore dell’Emilia Romagna, invece il popolo dei votanti ha detto Elly. E i poveri iscritti, quelli che nelle sezioni (pardon, nei circoli), sono rimasti con la falce nel cassetto e il martello in mano per martellarsi dove ritengono meglio. I fuoriusciti dalle catacombe della politica, per anni silenti e nascosti, hanno fatto qualche cosa di nuovo, ma veramente nuovo. Mai visto prima in Italia a parte il recentissimo exploit di Giorgia Meloni. Hanno scelto una ragazza, una che, a parole, vuole cambiare molto.

Ora, però, all’elencazione di titoli la neo-segretaria dovrà fare seguire dei programmi, uno per ogni argomento. E sono argomenti tutti più che giusti, finalmente adatti a un partito che diceva di essere di sinistra, magari riformista, quando nel 2007 nacque dall’incontro fra comunisti e cattolici. Cioè pur essendo all’opposizione e quindi libera di spararle anche grosse intanto a governare c’è un’altra, la Schlein dovrà spiegare come intende agire su alcuni temi dimenticati o peggio dalla sinistra. Primo fra tutti la sanità pubblica ormai sepolta da scelte che penalizzano medici e infermieri del servizio sanitario nazionali, da una disorganizzazione che produce liste d’attesa di mesi, dal rischio fortissimo di una accresciuta disuguaglianza fra servizi a seconda delle regioni dove si risiede. Le classifiche internazionali sulla qualità degli ospedali (il primo italiano è il Gemelli di Roma al 38esimo posto) offrono per l’Italia risultati abbastanza sconfortanti. Lo stesso per la scuola, dimenticata da decenni con migliaia di insegnanti al seguito e per il salario minimo che dovrebbe diventare, stando ai titoli della Schlein, un elemento distintivo del suo partito. Cribbio, siamo nel 2023 e non c’è ancora!

Ci dica dove prenderà i soldi per fare queste cose!”. Gridano dalla destra, indicando la neo-segretaria come una che ci riempirà (se riuscirà a vincere le elezioni) di tasse su tasse, secondo un antico schema elettorale della sinistra.
Questa la fotografia. Ma a Genova è successa qualcosa di diverso, di originale. Perché in questa città che un tempo era rossa, la Schlein ha fatto un miracolo: è riuscita a far rinascere i vecchi comunisti, quei dirigenti allora trentenni, degli anni Ottanta e Novanta, dalla crisi del Pci alla Bolognina fino alla nascita del Pds e poi dei Ds, che erano lentamente scomparsi dal panorama politico locale, lasciando il posto ai nuovi che spesso sono apparsi nelle loro azioni politiche stravecchi come il cognac che creava un’atmosfera. Questa generazione che ha sbagliato tutto, ma proprio tutto e che ancora oggi “cerca disperatamente un rapporto nuovo con i territori.” Territori che negli anni d’oro si chiamavo quartieri, periferie, fabbriche e che costruivano i programmi dei partiti di sinistra.

Lo stupore mio è avere incontrato molti miei coetanei, quindi settantenni e oltre, ex dirigenti del Pci e eredi, che immaginavo silenziosamente schierati con il prudente Bonaccini, tutti tesi alla vittoria della ragazza di Lugano, al grido di: “Così finalmente si cambia tutto!”. Il vecchio Pci che aveva governato per dieci anni e poi per altri anni con altro nome e con i sindaci Pericu, Vincenzi, Doria, è rispuntato più vivo che mai, pronto alla battaglia e, soprattutto, prontissimo a rottamare quelli che hanno governato il nuovo partito “di mezzo”, conducendolo a questa rovina con scelte, alleanze e soprattutto nomi tutti sbagliati. E che, incredibile, sono ancora lì, cioè là, a Roma a fare i vecchi saggi o a Genova a muovere le pedine consumate della politichetta. Meglio che ritornino i resuscitati del Pci che non avevano bisogno che qualcuno spiegasse loro che cosa doveva fare la sinistra, che magari era sotto la tutela dei camalli del porto e dei metalmeccanici di Cornigliano e che vivevano più nelle sezioni che a cercare contatti col territorio di Albaro o Castelletto.

Vedremo. Ieri un importante dirigente del partito ha dichiarato al “Secolo XIX” che era necessario fare largo a una nuova generazione. Appunto. Se la Schlein farà o riuscirà a fare davvero questo lavoro, forse sarà la volta che riuscirà a cambiare qualcosa laggiù dove c’era la sinistra. Altrimenti resterà prigioniera dei suoi titoli, gridati, ma vuoti.