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“Come non interessa, l’importante è che se ne parli”. Più o meno dice così una delle massime che sostengono la pubblicità. Bene: il pestellone che promoziona il pesto e la sua Liguria risponde esattamente a questa logica. Posso persino essere d’accordo che esisterebbero modi di miglior gusto per una simile campagna, però allo stesso tempo non sono affatto sicuro che l’esito sarebbe il medesimo.

La polemica politica alimentata dalle opposizioni in Consiglio regionale sembra dare ulteriore linfa al governatore Giovanni Toti, il quale punta proprio sul pestellone per affermare che in Liguria il turismo continua a crescere e che per questo semplice motivo anche tutta la regione ottiene risultati economici migliori che in passato. Sciorina le cifre, Toti, e su di esse c’è poco da osservare: quelle sono. Non condivido il fatto, però, che sia tutto merito del mortaio gigante.

Intendo affermare, cioè, che la Liguria ha tali requisiti - climatici, ambientali, architettonico-urbanistici, storici e via elencando – per cui è assolutamente plausibile che una famiglia di altra regione italiana o di altro Paese decida di venire a Genova e nelle altre città e cittadine liguri a trascorrere le proprie vacanze. C’è molto da fare e molto da vedere. Anche molto da mangiare, ci spiega il pestellone. 

In realtà, dicono i suoi oppositori, lo sanno tutti che la Liguria è la patria del pesto. Siamo sicuri che sia davvero così? Basta girare in un qualsiasi supermercato per scoprire che il pesto ligure, appunto quello pubblicizzato dal “pestellone della discordia”, ha moltissimi concorrenti. A cominciare da quello che piace da morire al commissario Montalbano…

Dunque, non è per niente esercizio inutile quello di ricordare al mondo che il pesto “vero” è quello che nasce a Genova e in Liguria. Come dire che in Trentino si sa che c’è la neve, quindi a che serve certa promozione di piste da sci, impianti e via citando? 

Proprio partendo da questo presupposto trovo surreale che si vada avanti nella polemica sul denaro presuntamente sperperato per portare avanti la “strategia del pestellone”. Di più. Se si facesse di conto, probabilmente emergerebbe che per portare il simbolo del pesto prima sul Tamigi, poi al Sestriere e quindi al Festival occorrerebbe spendere più di quanto avvenuto. Anche se, almeno a mio parere, il problema non è questo. 

La domanda, semmai, è: il gioco vale la candela? La risposta è sì. Con i fatti che stanno lì a testimoniarlo. Così mi viene un dubbio: al di là delle battutacce dell’una e dell’altra parte, sembra che in politica si siano messi d’accordo, per “tenere su” l’argomento. Non è così, purtroppo. Appunto, purtroppo…