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Viva Genova capitale del libro, non solo per il riconoscimento che serve a una città pronta a darsi una nuova e terzomillenaria dimensione culturale. Assessori assenti, advisor presenti e polemiche conseguenti a parte.

Questa decisione può diventare una molla per far muovere molte iniziative che aspettano da anni ed anni e che hanno a che fare con i libri, ma non solo.

Ne ripesco una lanciata, coniugando proprio i libri e l'ambiente, da Arcangelo Merella, ex assessore di Giuseppe Pericu, oggi consulente di Marco Bucci per la mobilità e molto altro nel cuore della Genova che vuole cambiare e sfruttare le sue carte, spesso nascoste o dimenticate o accartocciate.

Qualche anno fa Merella aveva inutilmente proposto di recuperare uno dei gioielli scartati della città, la mitica “Villetta di Negro”, parco pubblico incastonato in centro, valore di bellezza assoluto, ridotto oramai da tempo immemorabile a una specie di rifugio per drogati, ricovero di disperati, zona franca e perduta, attraversata da sparuti gruppi di turisti in cerca del Museo Chiossone (quando è aperto), uno dei massimi ( e misconosciuti) valori culturali della città, dimenticato tra quattro siringhe, un cumulo di spazzatura e una toilette in disuso.

Nessuna città al mondo ha un parco centrale così bello e variegato come la Villetta, con salite discese, terrazze, cascate d'acqua, grotte segrete (oggi chiuse da cancellate per impedire l'accesso ai senza dimora), terrazze panoramiche.

Là dentro ai bei tempi dei giardini genovesi abitava la mitica famiglia Viacava, appunto i giardinieri della città, in una villetta tra la cascata e le grotte, in una dimora deliziosa, appunta “una villetta” da sogno, oggi abbandonata da tempo immemorabile.

L'idea di Merella era di trasferire là dentro la biblioteca di Pippo Marcenaro, grande uomo d'arte, di libri e di cultura della città, collezionista di grande rango, che possiede anche una raccolta di 44 mila volumi, che elargirebbe volentieri alla civica amministrazione.

 er Marcenaro e i suoi libri da salvare si è speso anche Vittorio Sgarbi, oggi sottosegretario alla Cultura che ha ovviamente (se no non sarebbe più lui) criticato la Capitale del libro come manifestazione e ha suggerito di sostituirla a Genova con la biblioteca Marcenaro.

Ma lasciando stare Sgarbi e il sale delle sue provocazioni, l'idea di celebrare la Capitale del libro anche sfruttando il tesoro perduto della Villetta non è da scartare.

Salvate la Villetta di Negro! verrebbe da suggerire a questa amministrazione così in movimento. Metteteci i libri e non solo. Una volta, quando questo luogo splendeva, le grotte ospitavano animali esotici e domestici, c'erano preziose voliere e i bambini potevano conoscere un mondo che nel cuore della città è impossibile incontrare.

La struttura meravigliosa esiste ed è incastonata nel cuore della città, che se l'è dimenticata. Ora è perfino pericoloso avventurarcisi e quella bellezza, offuscata colpevolmente, è diventata un non luogo, da evitare, trasformato in latrina o ricovero di fortuna. Se a salvarla fossero anche i libri, quale modo migliore di celebrare il recente riconoscimento?

GENOVA - Una nuova dicitura in etichetta per allungare la vita degli alimenti riducendo così lo spreco.  La Commissione europea lancia la proposta di aggiungere alla classica dicitura "Da consumarsi preferibilmente entro il..." e la data, anche il nuovo avviso "Spesso buono oltre...".
Il provvedimento è volto a ridurre lo spreco di cibo, perché consente "una migliore comprensione della data di scadenza", influenzando "il processo decisionale dei consumatori in merito all'opportunità di consumare o eliminare un alimento". La norma era stata annunciata nel 2020 e dovrebbe entrare in vigore nelle prossime settimane.

Secondo le stime del progetto di ricerca FUSIONS, finanziato dall'Unione europea, ogni anno sono circa 88 milioni le tonnellate di cibo che viene buttato nell'UE, pari a 173 chilogrammi a persona. Le famiglie e il settore della trasformazione alimentare rappresentano il 72 % di tale spreco.

Come ricorda Altroconsumo la dicitura "da consumarsi preferibilmente entro" seguita da mese, anno e in alcuni casi dal giorno, indica invece fino a quando un prodotto alimentare (come la pasta, la farina, i biscotti) conserva le sue caratteristiche specifiche – nutrizionali e di gusto, aspetto e aroma – se si rispetta un’adeguata conservazione. Raggiunto o superato il giorno indicato sulla confezione non sono dannosi per la salute e possono essere ancora consumati: l’alimento è ancora commestibile, in certi casi addirittura per mesi.Secondo una inchiesta, solo il 37% degli italiani comprende correttamente il significato delle date riportate sugli alimenti e la importante differenza fra data di scadenza e termine minimo di conservazione.

La nuova etichetta voluta dall'Ue ha già ricevuti consensi un po' da tutte le parti e chissà che davvero non serva a qualcosa. Speriamo perché spesso in passato l'Unione Europea ha promosso iniziative inutili se non addirittura ridicole.

L'Inghilterra ha preso una strada diversa, molti italiani l'hanno applaudita e vorrebbero che il loro Paese seguisse uguale. Europeisti e non europeisti si dividono come è normale che sia in un paese di Guelfi e Ghibellini. Ciclicamente, i governi nazionali ricorrono alla retorica del fantomatico nemico esterno a cui dare le colpe di problemi dovuti a loro inadempienze. Il famoso “ce lo chiede l’Europa".

Indubbiamente sono molti i vantaggi acquisti nel tempo. L'introduzione del Mercato Unico grazie al quale le persone, le merci, i servizi e il denaro circolano liberamente creando milioni di posti di lavoro in più. Da giugno 2017, quando andiamo in un altro Paese europeo non paghiamo più un sovrapprezzo per telefonare, andare sui social o mandare messaggi: la fine del roaming selvaggio.
E poi, cosa che ora sembrano scontate, come l’introduzione del iban valevole in tutta Europa e il numero unico da comporre in caso di emergenza sia su rete fissa che mobile: il 112. 

 Intanto gli ambasciatori degli stati presso l'Unione europea hanno deciso di rinviare la decisione di approvare lo stop per auto e furgoni a benzina e diesel a partire dal 2035. Ma questa è un'altra storia. Tutta da decifrare...

L'otto marzo è la festa della donna, così dicono i più. No, l'otto marzo è la Giornata Internazionale della Donna, dei suoi diritti, delle sue conquiste sociali, economiche, politiche. Cos'ho contro la semplificazione dei termini? Nulla, in particolare. Ma tengo molto alle parole, soprattutto quando si declinano al femminile. E la definizione dell'otto marzo deve essere completa, non costa niente qualche lettera in più. Partirei proprio dai diritti conquistati dalle donne, dalle battaglie portate avanti negli anni, da quella voglia di rivalsa che "non ha fatto mollare di un centimetro", come si direbbe nel calcio. 

Sì, proprio quel gioco con la palla in un rettangolo d'erba che mi ha accompagnata negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza e che adesso, constato con piacere, sta diventando "normale" anche accostato al mondo femminile. Quando iniziai ad "appassionarmi al pallone", come diceva mio papà, avevo dieci anni e mi cimentai al torneo Ravano, in quinta elementare. Si consolidò proprio in quelle settimane il mio amore per il calcio che mi portò per diversi anni a calcare i campi in terra di Genova e in parte della Liguria. Una conquista piccola, piccolissima, rispetto a quelle che hanno fanno la storia, ma che negli anni ho capito avere la propria rilevanza. Perché è vero, il calcio è "solo" uno sport, ma la possibilità che nel tempo venga considerato normale anche in ambito femminile è un esempio, ripeto microscopico, di un passo verso la cosiddetta uguaglianza

Spesso sento dire che essere donna è un privilegio, lo è perché ti permette di vivere la maternità, perché la nostra spiccata sensibilità consente di vedere il mondo da un'altra prospettiva. Tutto vero, forse, ma non è retorica affermare che essere donne, in una società non ancora egualitaria, complica non poco l'esistenza. Basti pensare che ancora, nel 2023, ci sono Paesi nei quali la donna è considerata, per legge, "inferiore all'uomo", dove il suo corpo è rivendicato come merce di scambio: tu stai con me, sei al mio servizio, e io ti assicuro una casa nella quale vivere. Ma come si vive? La verità è che noi, dal nostro Occidente democratico e moderno, che ci piaccia o meno, non abbiamo neanche idea di cosa significhi tutto questo. Forse, neanche guardando un film iraniano potremmo riuscire a immedesimarsi in quella realtà.

E allora credo che solo attraverso la conoscenza, quella vera, profonda, e attraverso i racconti di donne che hanno deciso di non sottostarsi e di non nascondersi più, si possa diventare consapevoli. E la consapevolezza, nella vita, è quel viatico che permette di affrontare al meglio se stessi e gli altri. "Il mondo che vorrei", cantava nel 2008 Vasco Rossi, e se penso al mio mondo, a quello che vorrei, mi piacerebbe che fosse così, in due parole: giusto e coerente. Niente di più, niente di meno. Parità di diritti, parità di occasioni, parità di merito e perché no, parità di stipendio. Nessuna agevolazione, nessuna scorciatoia perché "siamo donne", ma solo la possibilità, a parità di capacità, di opportunità, di essere quanto e come gli uomini. In qualsiasi ambito della vita. Perché chi afferma che questo sia già così commette un errore, esiste ancora una disparità di trattamento che deve essere riconosciuta a ogni livello, a partire da quello maschile e istituzionale.

Da amante della politica, che crede fortemente nel ruolo che i nostri "discussi" rappresentanti politici svolgono, sono rimasta piacevolmente colpita dal dualismo Meloni/Schlein. Due donne, completamente diverse tra loro, ai vertici del potere, in un mondo a trazione maschile. Dall'underdog Giorgia Meloni, che ha portato il suo partito dal 3% al 30%, diventando anche la prima donna premier in Italia, alla Elly Schlein predestinata, capace di ribaltare un pronostico già scritto. Meloni e Schlein saranno chiamate alla prova dei fatti, ma dovranno essere giudicate in quanto politiche, appassionate e capaci, e non in quanto donne che, "guarda che storia pazzesca", sono diventare leader dei loro schieramenti. E allora sì, sarà questa la vera normalità. Buona Giornata Internazionale della Donna, senza retorica.

Ci dev’essere stato un momento in cui si è rotto il termometro, con il mercurio a piccole palline liquide e brillanti a scivolare dappertutto, un attimo per lo spezzarsi della molla che governava l’orologio. Nell’infanzia i pomeriggi e quindi gli anni non passano mai, poi a un certo punto il tempo accelera e così ti trovi, quarant’anni dopo, ad ascoltare un album adulto però da ragazzini, incerto sulla sua stessa età come su quella dell’autore, e non ti sembra vero che il 1983 sia così distante, ormai. Non esistevano ancora i compact disc, sarebbero arrivati qualche tempo dopo, e i long playing ormai estinti sopravvivono come lusso per chi se li possa permettere. Ma basta canticchiare "Mi fanno male i piedi a furia di ballare, un pediluvio nel tuo cuore mi concederò" per sorridere, chi mai aveva e avrebbe usato una metafora come quella.

Era quell’anno come un filo teso tra la fine del liceo e l’inizio dell’università. C’era chi non sapeva se fare il concorso a Pisa, e non sapeva se farlo per studiare filologia oppure fisica, oppure prendersi tempo scegliendo giurisprudenza, sempre per quel precoce frainteso amore per il giornalismo. In quegli anni poco limpidi non potevano essere chiare le idee, ci si lasciava vivere in attesa che le cose accadessero. L’odore acre dei Settanta era ancora presente, impregnava i muri e gli abiti e le menti, non a caso il film dell’anno, “Sapore di mare”, puntò la macchina da presa della nostalgia direttamente sui Sessanta, saltando quel decennio di piombo vissuto da bambini, tra posti di blocco e scioperi e bombe e agguati e prigioni del popolo e sangue sull’asfalto delle città.

Poi con la primavera arrivò quel disco, nato a Roma da un ragazzo neppure trentenne che per forza di cose aveva respirato come tutti nella Capitale lo zolfo del terrorismo e il buio dei coprifuoco, adattandosi a contrastare la paura con l’umorismo e la melanconia. Non somigliava a nessun altro, tra gli artisti dello smisurato giardino che andava da Claudio a Claudio, da Lolli a Baglioni, da Ulrike Meinhof a Signora Lia. E nemmeno quell’ellepì sembrava qualcos’altro, nulla riecheggiava. Un disco notturno eppure allegro, allegro eppure triste, triste ma sfacciato, prensilissimo all’ascolto ma gozzaniano fino al manierismo nella sapienza del finissimo tessuto testuale.

Che cosa mai fu questo “Un sabato italiano”, perché da allora non abbiamo smesso di ascoltarlo, ricorrendovi come a un antidepressivo naturale, come a un amico che sa già cosa vuoi chiedergli e ha già pronte le risposte? Era qualcosa forse in cui specchiarsi, per i diciottenni che guardavano curiosi e perplessi al mondo dei vecchi, ovvero dei trentenni. I segreti nel cuore da non rivelare mai, le bionde tinte e le birre tutta schiuma, le corse in automobile carrozzata dissociazione, un angelo al citofono, alla fine quasi tutti sanno tutto, spicchio di luna questa notte dove sei. Lo imparammo a memoria, quel viaggio al termine della giovinezza, lo avremmo adottato come un breviario profano per guadare il tempo a venire.

Si provò anche l’orrido cimento prescritto dalla copertina del vinile, che sul retro abbinava ognuno dei dieci brani a una consumazione alcolica, alcune parecchio alcoliche, ma non si ha notizia di chi sia riuscito ad arrivare davvero alla fine di un cimento che, dopo l’idrofobina vegetale sostitutiva della Citrosodina granulare, e già un disco che si apre con un farmaco digestivo la dice lunga, prevedeva Guinness, Bloodhound, Paradise, Fernet Branca, Eggnog, Abat-Jour, Alexander, Margarita e Tung, quest’ultimo abbinato a “Spicchio di luna”, scritta - come avrebbe detto l’autore molti anni dopo, per il ventennale o trentennale chi ricorda più - in una soffitta di via San Luca. “La guardo - ricorda - e mi si stringe il cuore, le voglio molto bene, ma non è lei la donna della mia vita … e io non sono l’uomo della sua. Il problema è che stiamo bene adesso, ma siamo tutti e due ancora troppo selvatici, e cerchiamo ancora chissà che, la vita ci porterà altrove. Sui tetti di fronte c’è un meeting di gatti, ci sono comignoli alla Mary Poppins, e, ancora più in su, un incredibile, grafico e molto teatrale spicchio di luna che si riflette nel mare, all’orizzonte, oltre i tetti più lontani. E’ così che Roberta prende, nel musical immaginario della mia vita, il nome ‘navaho’ di Spicchio di Luna”. E chi non ha mai incontrato, chi non si è mai sentita come Spicchio di Luna.

Quel disco si spiega, insomma, con il tempo che corre, risalendone il corso e riandando a quella musica vi si ritrova ogni volta qualcosa che non si era mai visto né sentito. E le abbiamo cantate anche noi, tra amici, con la cassetta registrata nel mangianastri che si portava via dalla macchina ogni volta per non farselo rubare, come se fossimo “Io e Rino”, con “quella strana tristezza che ci prende dentro e fuori” all’incrocio tra Via delle Comiche Finali e Viale degli Orrori. Da quel disco nacquero anche “grandi imprese e amori fallimentari”, “abissi imperscrutabili” erano le donne e non solo quelle degli amici, insomma ogni volta che lo si ascolta si torna all’estate della maturità, anche di estati se ne sono passate altre quaranta, per noi come per quel disco e anche per Sergio Caputo, che da allora ha scritto e cantato altre canzoni e inciso altri album molto belli. Ma per molti di noi resta il ragazzo del “Sabato Italiano”, e a chi non aveva diciott’anni allora è un po’ difficile spiegare perché, impossibile forse. E oggi come allora vorremmo dire: il peggio sembra essere passato.

 

GENOVA - Non è ancora stato fatto niente, sia chiaro a tutti: il Genoa il ritorno in serie A se lo deve conquistare fino all'ultima giornata e non si può nemmeno escludere che debba affrontare i playoff.

Oggi è così, perché il Bari “conta” ed ha un attacco forte e il Sud Tirol per il momento è sempre lì con i rossoblu e i pugliesi. Ha ragione Gilardino che in B non c’è nulla di scontato, ma siccome qui di promozioni ne abbiamo viste, il Grifo del Gila è a guardarlo bene un mix tra quello di Scoglio è quello del Gasp. Il professore con Signorini, Torrente, Eranio, Ruotolo, Nappi e Fontolan venne su in carrozza subendo una manciatina di gol.

In fondo fa quando è uscito di scena Blessin questo Genoa è diventato un bunker: 9 partite senza subire gol. Insomma, chi crede nella teoria che la difesa è il primo pilastro per i successi sarà soddisfatto. Come appunto predicava il prof di Lipari che tra l’altro col suo eloquio unico e avanti di dieci anni, incanto’ tutti con le soluzioni sui calci piazzati che lui sosteneva di averne studiati oltre quaranta.

E in effetti era così. Nulla di nuovo, infatti al Genoa, i tempi cambiano, ma ecco il mago delle punizioni e dei corner a servizi dei rossoblu che risponde al nome del signor Alex Clapham che quando era stato annunciato aveva raccolto scetticismo e un po’ di ilarità. Ora se Dragusin continua a segnare con questo ritmo, già arrivato a tre gol, diventa capocannoniere grazie proprio a Clapham e ai calci d’angolo perfetti.

Dopo mesi in cui il Genoa in area non la prendeva mai. In fondo un’ideale prosecuzione del credo di Scoglio. Ma Gilardino che ha avuto Gasperini come tecnico sembra essere stato contagiato dal mister torinese che venne in A in un torneo con Juve e Napoli. Il Gasp puntava sui gol con la strada della profondità e cross. Gasparetto, Di Vaio e compagnia bella per aprirsi la strada del “Paradiso”. Un po’ come Puscas e Gudmundson aspettando Coda. Questo per dire che gli auspici per inseguire il sogno ci sono, ma la strada è ancora lunga come quella di allora con Scoglio e Gasperini.