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Ciò che più di tutto mi ha colpito è che nessuno dei candidati sindaci per Sanremo abbia preso degli impegni precisi sul Festival della canzone. Le risposte che Fulvio Fellegara, Alessandro Mager e Gianni Rolando (cito in rigoroso ordine alfabetico) hanno dato all’editoriale di Maurizio Rossi sono state, a vario titolo, approfondite e in molti passaggi condivisibili.

Tutti si sono trovati d’accordo sul fatto che non può esistere un’altra città italiana in grado di subentrare a Sanremo nel Festival: e avrei pure voluto vedere…Nessuno, però, si è assunto una precisa responsabilità soprattutto nei confronti dei discografici, che mettono in discussione Sanremo. Mi sarei aspettato che almeno uno dei tre – in verità tutti e tre – dicesse chiaro e tondo di inserire nel proprio programma amministrativo ciò che serve per chiudere definitivamente il discorso. E per creare le condizioni di rafforzare la kermesse.

Che delle criticità esistano è fuori di dubbio. Che siano risolvibili è abbastanza certo. Occorrono, però due cose: la volontà politica e la capacità di soluzioni condivise da destra a sinistra (o viceversa, ognuno la dica come preferisce). Se c’è intesa che esista un problema del traffico e un problema dei parcheggi, ad esempio, chi vota ha il diritto di sapere come i candidati intendano affrontarli (la cosa vale anche per la quotidianità). 

In più esiste una “questione Ariston”. Il teatro è di sicuro piccolo rispetto al gigantismo della manifestazione. Bisogna farselo bastare oppure si può immaginare un Palafestival? E questa struttura dovrebbe stare nel centro città, dunque bisogna inventarsi il posto, oppure si può riprendere l’esperienza del Festival organizzato al Palafiori di valle Armea ai tempi di Adriano Aragozzini? Seguii per dovere professionale quell’edizione (in tutto ne ho assommate tredici) e sono testimone diretto che il Festival alla periferia di Sanremo fu un fallimento.

Però la memoria di un giornalista non conta. Di grazia, potrebbero dirci che pensano di fare i candidati sindaco? Altrimenti rischia di ripetersi il film che abbiamo visto in tutti questi ultimi anni: polemiche a non finire dopo ogni edizione della manifestazione canora, ma zero provvedimenti che testimonino un vero progresso.

C’è da mettere a posto pure le cose sul terreno della trasparenza. Che i rapporti sul Festival fra il Comune di Sanremo, la Rai e l’Ariston siano un mistero perché gli atti non sono accessibili è profondamente inaccettabile. Siamo ai limiti della vergogna. 

Qualcuno obietterà che nella circostanza l’ente pubblico sostanzialmente incassa. E’ vero. Ma non è il Comune a pagare il teatro? Secondo Mager, l’impegno massimo di spesa è di 2 milioni e 400.000 euro e la cifra dipende dagli spazi occupati dalla Rai.

Sarà, però non è che la tivù di Stato non maneggi denaro pubblico: ogni due mesi incassa una quota di canone che l’allora premier Matteo Renzi ha voluto mettere nella bolletta della luce, per evitare l’evasione. Dunque, l’obbligo di trasparenza esiste. In generale, perché non sono solo canzonette.