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Sono all’interno della sede del Pd a Sestri Levante dove, nel giorno delle elezioni comunali, attendo che arrivi il candidato sindaco per intervistarlo nel corso della nostra diretta. Ad un certo punto sento un boato, applausi, acclamazioni. Corro all’ingresso e noto un signore coi i capelli brizzolati, giacca rossa, viso “paonazzo” come si dice in dialetto, un po’ di fiatone, sembra arrivi da una gara di corsa. Lo accolgono tutti a braccia aperte, va al tavolo dove si raccolgono i dati e con il suo foglio in mano inizia a dettare l’esito del voto nella sezione dove lui era sentinella. Tutti gli stanno intorno, pendono dalle sue labbra.

 

Di signori come questo ce ne sono tanti in tutti i paesi e paesini, ogni volta che ci sono le elezioni. Sono i Militanti, con la M maiuscola, quelle persone spesso di una certa età che si danno per il partito, anche fisicamente, per controllare che tutto vada bene ai seggi, che nessuno “faccia il furbo”. Mi raccontano talvolta di liti furiose, tra i militanti di diversi schieramenti, per un voto disgiunto da decifrare, per una calligrafia non proprio chiara, lotte all’ultima preferenza, perchè tutti sanno che anche un voto può essere fondamentale. Come fondamentale è la somma di tutti questi singoli uomini e donne che ancora credono alla politica.

 

Cambio point, vado a quello del centro destra. Una signora anziana mi indica un uomo che sta parlando animatamente insieme ad alcuni “colleghi” militanti. Mi dice: “E’ un brav’uomo ma si agita tanto, non le dico le liti nella sezione, lo devo tenere calmo e allora ogni tanto lo porto fuori a prendere il caffè, e sa quanti ne ho già presi oggi per evitare che si incendiasse? Mi tremano le mani da tanti ne ho presi!”. Questa signora mi commuove, come tutti coloro che arrivano di corsa nei point con i fogli stropicciati che contengono la griglia dei voti, divisi per candidati, loro, che sanno prima di tutti come è l’esito delle elezioni.

 

Mi sembra persino strano che qualcuno abbia ancora questa passione disinteressata, è questa la cosa che fa specie, disinteressata, perché non sono candidati, non saranno mai consiglieri né sindaci né nulla, solo cittadini che ci credono, e che ci rimangono malissimo quando il loro sostenuto perde, e sprizzano gioia dagli occhi quando vince. In un’epoca di disaffezione crescente nei confronti della politica (si vede chiaramente dal calo di affluenza alle urne), non è scontato.

 

Sopravvivono alle delusioni che negli anni si affacciano sulla scena politica locale e nazionale. Sono un cuore pulsante, una razza temo in estinzione visto il colore predominante dei capelli.

Come suol dirsi, conosco Claudio Scajola da quando entrambi avevamo i calzoni corti. Dice una bugia e lo sa benissimo quando afferma che non si sarebbe aspettato un simile successo elettorale. Lo aveva pianificato e ha ottenuto la conferma a sindaco di Imperia secondo i programmi, al primo turno. Se si vuole essere onesti intellettualmente, però, bisogna ammettere che questa pianificazione è durata cinque anni, ha avuto la concretezza come faro e qui dice una profonda verità: i cittadini lo hanno capito e si sono comportati di conseguenza, votandolo.

Come spesso gli è accaduto, Scajola ha saputo anche essere un perfetto stratega alla luce dei tempi che viviamo. Non volere simboli di partito non era uno sfizio. Nessuno, lui per primo, nega la provenienza dal centrodestra, ma avere il sostegno di una coalizione e non di singole parrocchie offre la credibilità delle mani libere, ove occorresse, dalle conventicole di parrocchia. Una scelta fatta anche dal Pd a Sestri Levante, che non ha imposto il suo simbolo al proprio candidato Marcello Massucco. Il quale forse non casualmente ha chiuso in testa il primo tempo elettorale.

Non è poco ed è importante. Cosa scriveremmo, oggi, di Fratelli d'Italia se avesse rimediato una sconfitta bruciante per essere andato contro un pezzo della sua alleanza nazionale e della sua stessa storia? Il partito della premier Giorgia Meloni ci ha messo una pezza all'ultimo, scaricando anche il malo modo il candidato che aveva selezionato, Luciano Zarbano. È stata una brutta figura, ma perdere con Scajola sarebbe stato peggio.

Il civismo dell'ex ministro è stato giustamente sottolineato dal governatore ligure Giovanni Toti, al quale il sindaco di Imperia ha comunque dato un consiglio: lasci perdere l'agone nazionale, ancora troppo in trasformazione e quindi incerto, e si concentri sulle cose liguri, in particolare sulla sanità. Sembra la benedizione anticipata per un terzo mandato di Toti alla guida della Liguria: visti i numeri, non è poca cosa.

Il centrodestra, del resto, ha di che sorridere anche guardando a Sarzana, dove Cristina Ponzanelli è stata confermata pur contro un usato sicuro del centrosinistra come Renzo Guccinelli. Anche qui, più che perdere Guccinelli ha vinto il fare di Ponzellini. Non è un distinguo irrilevante.

Così come arriva un messaggio chiaro e forte da Sestri Levante: appena il centrodestra si divide perde. Non è una novità eppure a quelle latitudini riescono ancora, a volte, a farsi del male. Ci sarà il ballottaggio per porre rimedio alla dicotomia tra Francesco Solinas e Diego Pistacchi. Ma si sa che i ballottaggi hanno il pregio di far ricominciare da zero la partita.

Varrà a Sestri come a Ventimiglia, dove il candidato leghista Flavio Di Muro non ce l'ha fatta subito proprio a causa delle divisioni nel centrodestra. Dovrà vedersela con l'esponente del centrosinistra Gabriele Sismondini e la contesa non è affatto scontata. Anzi, proprio su Sestri e sulla città di confine si focalizzano le attese in particolare di un Pd nel quale l'effetto della nuova politica di Elly Schlein si nota nella riconquista di una città come Brescia e nell'ottenimento del ballottaggio a Siena. E bisogna aspettare proprio questo secondo tempo per giudicare compiutamente la prima sfida elettorale fra le due donne della politica Italia, Meloni e Schlein. Anche se il loro vero banco di prova saranno le elezioni europee del prossimo anno.

Un ultimo cenno sull'affluenza: anche alle comunali l'astensionismo è cresciuto, con vesti stracciate da parte di tutti coloro che vedono in questo un pericolo per la nostra democrazia. A costo di essere provocatore e controcorrente, io non la penso così. E ricordo un vecchio adagio popolare: gli assenti hanno sempre torto. Inutile aggiungere altro.

GENOVA - La riflessione mi è venuta leggendo l'articolo di Matteo Angeli sui nuovi cassonetti "intelligenti" ma con la "bocca" troppo piccola. Certamente salteranno fuori ingegneri e tecnici di vario genere a spiegarci per quale dannatissima ragione è giusto che i nuovi raccoglitori dell'antica rumenta debbano avere un accesso così smilzo. Non discuto.

Ma chi si è studiato questa cosa ha provato a buttarci dentro la spazzatura non per uno o due giorni, bensì per settimane, mesi e anni filati? Basta un oggetto che spinga troppo ed ecco che il sacchetto non ci entra: devi riaprirlo, sistemare la cosa e ributtarlo dentro. Facile. Però scomodo, diciamoci la verità. E se sei anziano...

È che molte cose sembrano fatte apposta per complicare la vita alla persone. Prendiamo le pensiline per l'attesa dei bus. Alcune sono davvero belle, un ottimo arredo urbano. La funzionalità, però, è un altro discorso. Quelle stesse pensiline dovrebbero servire soprattutto nella stagione invernale, per ripararci dal vento e dalla pioggia.

Ri-pa-rar-ci prima di tutto. Poi meglio se sono pure incastonate a meraviglia nel disegno delle città. Invece, l'unico problema di chi progetta, costruisce e poi sceglie le pensiline sembra esattamente solo quest'ultimo! Tutta gente, ovviamente, che un bus non lo attende da mai, perché mai si è sognato di salirci sopra. Una parte dei cittadini, però, il mezzo pubblico lo usa, soprattutto nelle fasce più deboli. Vedete un po' voi...

E si utilizzano a piene mani i bancomat e i postamat. Ma ci avete fatto caso? Per diverse ore del giorno, sono in gran parte contro sole. Tu vai alla macchinetta perché devi vedere il saldo del conto, oppure i movimenti, oppure fare un prelievo, o, ancora, un versamento: invece non vedi proprio niente. Una rasoiata di luce ti impedisce  la minima azione, salvo metterti in posizioni improbabili per riuscire nell'impresa. Possibile che nessuno si ponga il problema prima di quando gli infernali strumenti vengono istallati?

Sembra proprio di no. A conferma che molto, mi verrebbe da dire tutto, sembra fatto apposta per rendere più difficile la vita delle persone. Un vero sport! L'elenco potrebbe continuare quasi all'infinito, mettendoci pure questioni ancor più serie come la denuncia dei redditi (alzi la mano chi ha provato a compilarla da solo, nonostante il pre-stilato dell'agenzia delle entrate, e ci sia pure riuscito) o certi avvisi della sanità: ti dicono che serve il modulo controfirmato dal medico curante, poi scopri che basta una autocertificazione (vedi la risonanza magnetica).

Anche noi, però, ci mettiamo del nostro. Per esempio: sull'auto, le frecce ci sono da sempre, non sono un optional e non paghi una sovrattassa se le usi. Invece no, basta transitare su un qualsiasi bivio o essere in coda ad un semaforo che può portare a destra o a sinistra e ti accorgi che se uno mette la freccia, altri dieci se ne fregano bellamente!

E che cosa diciamo a proposito di certe prenotazioni fatte e poi non rispettate, senza che nessuno si preoccupi di disdettare l'appuntamento? In alcuni casi è solo questione di maleducazione, quando si tratta di sanità alla maleducazione si aggiungono gli effetti collaterali di chi deve attendere di più quando, invece, potrebbe fare prima. Non dico che potrebbe essere questione di vita o di morte, però...

Tralasciamo, poi, ogni ragionamento sui posteggi: quelli in seconda fila sono la regola, ma puoi trovare anche quelli in terza. E non osare protestare, altrimenti ti becchi pure una raffica di contumelie. Per non dire dei parcheggi riservati ai disabili, regolarmente occupati da abilissimi! Insomma, c'è chi ci complica la vita, ma spesso ce la rendiamo più difficile anche da soli. Domanda: è così impossibile diventare un Paese normale?

I sindaci sono tornati di moda perché ora nel loro nome si ispirano le ansie nazionali di riforme costituzionali. Il fatto è che i sindaci veri, girano per i loro paesi o le loro città e parlano davvero con la gente. Almeno i sindaci seri, quelli che hanno capito quale è il loro compito. Esserci sempre. Uscire dall’ufficio, passeggiare per strada, parlare, litigare e tentare di convincere, confrontarsi e decidere. Il fatto di essere eletti direttamente dà molta forza e insieme molto potere.
Questo non significa che il sistema elettorale per eleggere i primi cittadini sia anche quello giusto per scegliere un premier o addirittura un Capo dello Stato. I filtri compensativi sono i controllori della buona democrazia.

In ogni caso la scelta di un sindaco in una grande città come in un piccolo paese è sempre strategica.
Le elezioni di oggi e domani saranno importantissime per tanti territori italiani e liguri, ma, come sempre, diventeranno anche la prima prova del governo Meloni, e soprattutto cominceranno a lanciare qualche segno di nuovi possibili assetti con nuove divisioni e nuove alleanze, di nuove tendenze imprevedibili e amare delusioni, come imprevedibile è il futuro politico italiano.

La curiosità della Liguria è che questa occasione ripropone volti del passato, indubbiamente personaggi di primo piano, allora, che ripresentandosi, sfidano una politica senza idee grandi e soprattutto concorrenti che, non per colpe loro, non hanno avuto scuole di formazione. C’è in alcuni casi e luoghi una sfida divertente tra Anziani e Giovani e Giovanissimi che potrebbe aprire qualche prospettiva interessante per le prossime scelte.  Cioè per i metodi di individuazione dei candidati. Come saranno scelti i candidati sindaco di Genova o per la presidenza della Regione? Con il metodo dell’usato-sicuro o del nuovo-sorpresa?

Nei ventitré comuni liguri in cui si vota oggi e domani, appaiono personaggi “storici”. Penso, per esempio a Imperia, dove Claudio Scajola ci riprova, forte della sua esperienza non solo del passato, come giovane leader della Democrazia Cristiana prima e poi braccio destro, soprattutto in fase elettorale di Silvio Berlusconi (un mago degli equilibri e delle novità da graduare bene quando si dovevano preparare le liste dei candidati che non erano agnellini), poi ministro degli Interni e delle Attività produttive. Sfidato da Ivan Bracco, commissario di polizia, un candidato del centrosinistra che appare battagliero e desideroso  di scalzare il notabile doc. Ma le altre coalizioni sono frizzanti, piene di “sì, ma anche”. Composite e variegate.
Così come avviene a Sarzana dove assistiamo al ritorno di un personaggio “politicamente pesante” come Renzo Guccinelli, assessore nelle giunte di sinistra della Liguria, molto attivo, aperto e , allora, moderno.
Interessante, infine, la sfida di Sestri Levante dove la sindaca Valentina Ghio del Pd lascia la poltrona avendo fatto il grande salto al Parlamento. In questo caso, davvero, l’interesse sarà particolare perché si tratterrà di una piccola verifica delle intenzioni strategiche di Elly Schlein neo-segretaria del nuovo Pd tornato, almeno a parole, di sinistra.

L’analisi che si sprecherà subito dopo i risultati, riguarderà soprattutto la campagna elettorale della primavera del prossimo anno, quando saremo chiamati a votare per le Europee. Questa volta sì che governo e opposizioni saranno giudicate e allora sì che i risultati segneranno profondamente la politica non solo europea (in un momento drammatico), ma anche nazionale.

Quali alleanze funzionano? Reggerà il governo di centrodestra con un “partito di Giorgia” all’interno addirittura di Fratelli d’Italia? A sinistra la svolta di Elly darà soddisfazioni o no? Che cosa faranno i cattolici del Pd? Come si moduleranno i rapporti (oggi problematici checché se ne dica, anche localmente e ci volevano alcuni geni nazionali e locali per non capirlo)  con i Cinquestelle che sembrerebbero abbastanza spiazzati dalla giovane segretaria piddina? Per non parlare del Centro così atteso da molti e fino a oggi assai litigioso.
Ebbene, anche queste elezioni locali, con pochi partiti e molte sigle locali divertenti, saranno un aperitivo su cui scatenare fantasie e ragionamenti.

Sempre che i votanti non vadano ancora di più scomparendo, lasciando il posto al potente popolo del non voto.  Se così fosse anche nel voto locale sarebbe uno choc.

Ci distrarremo sicuramente in questo fine settimana con le elezioni locali, che riguardano un po’ di comuni anche in Liguria, con qualche segnale importante che può partire per una politica così “liquida”, cangiante. Piccole spie che si accenderanno in un quadro generale in qualche modo oramai stabilizzato dal perentorio risultato di sei mesi fa con le Elezioni Politiche che hanno cambiato volto all’Italia, come mai era avvenuto nel Dopoguerra, neppure quando nacque il centro sinistra nei primi anni Sessanta, neppure quando sfiorammo il compromesso storico alla fine anni Settanta, neppure quando Berlusconi fece irruzione a metà degli anni Novanta.

Quadro fisso per la scadenza del 2024 con le elezioni europee, che fino a qualche tempo fa sembravano  un appuntamento quasi secondario, l’occasione per distribuire poltrone ai delusi, ai “tagliati fuori”, ai “fine carriera”, eleganti e ben remunerati contentini a chi doveva essere sistemato dai partiti per riconoscenza, per pre pensionamento, per notabilizzazione o per qualche ricompensa ad amici fedeli del giornalismo, della cultura, dell’economia e non solo. Mentre oggi rivestono non solo una carica politica notevole, il primo banco di prova del governo Meloni, ma anche un significato fondamentale nella essenza di scelta in Europa, con i tempi che corrono, in una rivoluzione geopolitica totale e inaspettata in termini così complessivi, a due anni dalla svolta della guerra nel cuore del nostro Continente alla ricerca di una nuova identità nella crisi epocale dell’Occidente.

Ma ci sono altri appuntamenti elettorali e non che mettono alla frustra il nostro territorio, che domani e lunedì respira il ritorno alle urne. Sembrano scadenze lontane, ma già agitano il panorama politico locale. Con una differenza tra il centro destra governante quasi ovunque e l’opposizione, soprattutto quella del Pd, apparentemente impegnata solo a decidere se e come costruire le alleanze con i 5 Stelle  e il resto della galassia di sinistra.

Mentre le future elezioni comunali e quelle regionali, distanti qualche anno (ma il tempo passa rapido)  e perfino la imminente scelta del prossimo presidente dell’Autorità di sistema portuale ( che scade nel 2024) fanno già muovere le pedine nel centro destra, dove in molti fremono, a sinistra l’unica mossa che ha scosso è stata la imponente uscita di Claudio Burlando, un super ex, che è tornato alla ribalta con iniziative personali tutte da leggere, ma degne di attenta osservazione.

Che farà Toti dopo il secondo mandato e semmai chi ambirà a sostituirlo  nella sua variegata maggioranza, dove non sono sempre state rose e fiori e dove Fratelli d’Italia oggi vanta il credito più pesante da saldare? Nomi e ipotesi viaggiano già sottotraccia. E Bucci, che sta vivendo un secondo mandato certamente più duro del primo, come pensa al suo futuro e al capitale di consenso che ha messo insieme? E’ vero che ha “accarezzato” Palazzo san Giorgio con tutte le partite che da lì si giocheranno?

La sua successione a Tursi sembra già assegnata al vice,  l’avvocato Pietro Picciocchi, quasi per una discendenza automatica, ma chissà?

E il dopo Signorini in porto viene già bello squadernato nella maggioranza, che lungo l’asse Meloni-Toti sa di avere una bella gamma di scelte. Anche rivoluzionarie.

Ma dall’altra parte, tra chi dovrebbe prepararsi per tempo dopo avere perso tutte le battaglie possibili, salvo quella di Savona, non sta succedendo nulla, un po’ per rassegnazione, un po’ per incapacità a collegarsi con realtà che potrebbero esprimere candidature nuove. L’effetto Schlein, che per altro è stata lanciata proprio in Liguria, non sembra ripetersi nel Pd che ha regolarmente sbagliato tutte le scelte dal 2015 in avanti per ogni scadenza elettorale, dopo travagli peggiori del parto più difficile che ci sia.

Eppure gli spazi e i dossier, come si dice oggi, per impegnarsi in battaglie decisive nel futuro cittadino e regionale ci sono, al di là degli schemi classici delle diseguaglianze da cancellare, del lavoro da creare, dell’ambiente da difendere eccetera eccetera. Lasciando da parte le banchine, dove almeno la voce dell’opposizione si sente, come sulla vicenda del trasferimento da Multedo dei depositi chimici.

Le candidature si costruiscono nel tempo e concentrandole su temi “visibili”, emergenti nel dibattito della città e della Regione. Le candidature nascono attraverso un rapporto proficuo con la società civile, con i corpi intermedi, che saranno in ribasso ma che ci sono eccome. Anche se sono cambiati i tempi dall’era in cui in quella società si sceglievano Beppe Pericu, l’avvocato-professore e Adriano Sansa, il magistrato. E poi, su un’altra ribalta, Stefano Zara, il presidente degli industriali ed ex manager di Stato.

Possibile che nulla si muova in questo senso in una regione dove le urgenze bruciano, come quelle della Sanità e dei trasporti, nelle autostrade collassate, nel Terzo Valico in ritardo epocale, nei treni -carri bestiame e non servizi decenti anche per un turismo che cresce?

E in un Comune dove sì, ci sono cantieri e progetti a iosa, ma dove altri visioni sono possibili, non solo sky tram, funivie per i forti, una metropolitana cucù che oggi terremota piazza Corvetto, grandi problemi di sicurezza nel centro storico, tutt’ora da recuperare, uno stato di manutenzione e di traffico urbani non certo da leccarsi i baffi?

Prudono un po’ le mani a immaginare come tutto questo potrebbe essere affrontato con programmi, idee e uomini alternativi, tanto per assicurare un bel confronto democratico, anche in una fase politica tanto liquida, dove impazzano il revisionismo storico dei postfascisti, i conati del presunto terzo Polo, le ennesime rivoluzioni istituzionali, la spada  di nuovo piantata  nella roccia per cambiare le carte della Repubblica settanta anni dopo. Nulla, non succede nulla. Forse è colpa della stampa, come si diceva una volta.