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GENOVA - Ne è passata acqua sotto i ponti dal giorno in cui il segretario provinciale dell’allora Pds, Ubaldo Benvenuti, terza o quarta generazione di comando, disse al sindaco uscente, e mai più rientrante, Adriano Sansa: ”Affacciati sulla strada, noi siamo in grado di far eleggere il primo camionista che passa sindaco di Genova!”.

Era l’anno 1997, vigilia di elezioni comunali, dopo i quattro anni dell’ex magistrato, primo sindaco scelto direttamente dai cittadini, largo vincitore nel 1993 contro il medico-Carneade, scelto dalla Lega Nord, il chirurgo Enrico Serra.

Sansa andava licenziato per ”difetto di interlocuzione con i partiti della coalizione”, c’era da scegliere un altro candidato e il partito forte della maggioranza, allora apparentemente “eterna”, non aveva dubbi che chiunque avesse scelto non c’era partita.
Il prescelto poi fu un sindaco indimenticabile Beppe Pericu, avvocato e professore, non certo un camionista, che regnò 10 anni duri e difficili, con grande successo. Perchè lui era Pericu e la maggioranza granitica.

Quella era la potenza elettorale dell’ex Pci di lunga tradizione, dove i cavalli di razza erano ancora Raimondo Ricci, Camillo Bassi, Pietro Gambolato, Roberto Speciale, Graziano Mazzarello, Mario Margini, Claudio Burlando, uscito dall’incubo del suo arresto e nominato ministro, Marta Vincenzi sulla rampa di lancio, Claudio Montaldo, tanto per fare solo qualche nome, dietro i quali c’era una vera intellighentia con teste d’uovo come Silvio Ferrari, Carlo Repetti, Paolo Arvati, Luca Borzani, Alessandro Ghibellini, Franco Berardini, Remo Checconi, avvocati, professori, storici, statistici eccetera eccetera.

Insomma una crema sociale che qualche anno dopo, di fronte alle difficoltà, si era fatta anche in parte benedire da don Gallo.
Erano abituati a vincere da tante elezioni, con qualche episodica eccezione, come Campart, come Biasotti, quelle genovesi dal fatidico 1974 del rovesciamento dell'ultima giunta tavianea, quella di Giancarlo Piombino sindaco, quelle regionali con maggiori altalena, ma che nomi dietro le vittorie, Carossino, Magliotto....

Sappiamo come la storia è continuata più o meno fino al Terzo Millennio, con un'altra sfilata di sindaci e presidenti, compresi i giovani cavalli di razza già citati, Burlando e Vincenzi, passando per Marco Doria.
Altro che cadute e risalite....A un certo punto sono state solo ricadute, mentre la leadership elettorale, nel senso di numeri di voti passava inopinatamente alla Lega, poi ai grillini per finire ai meloniani.

Nel frattempo era anche nato ( e non prosperato) il Pd, fusione a freddo di Ds e Margherita, mai tanto brillante in Liguria e a Genova. E il Pd subiva mutazioni quasi genetiche, come il renzismo.....

E all'interno della sinistra più sinistra, quella che eleggeva anche i camionisti, c'era localmente la grande battaglia per la successione alla nuova generazione, i cui “piccoli” leader sono caduti, come tanti soldatini di piombo, uno ad uno, fino ad arrivare a oggi.

Quanti desaparecidos, nella galleria che aveva elencato giganti della politica “rossa”, e che ora cercava successori a SuperClaudio e Supermarta, Victor Rasetto, Giovanni Lunardon, Simone Farello, Alessandro Terrile (che ora rispunta), per contare solo i primi nomi, una generazione un po' divorata da quella precedente, magari anche nel segno della rivoluzione, un po' blandita, un po' massacrata, fino alle sconfitte, storiche e spartiacque, della Lella Paita in Regione e di Marco Doria in Comune.

Da allora i superstiti, che non erano neppure personaggi da poco se si considerano i ministri, e che ministri!, Andrea Orlando e Roberta Pinotti, non ne hanno più azzeccata una.

Un po' preoccupati della propria carriera romana e poco del territorio ligure genovese, un po' perchè avevano perso tutti i collegamenti.
E noi osservatori ci divertivamo a scoprire che le sezioni “cachemire” del Pd, a Castelletto e a Albaro, battevano per voti le raccaforti di un tempo che fu. Che non c'era più, nelle periferie mutanti, nella città dei vecchi “muri” caduti uno a uno. I capisaldi sbriciolati come sarebbe capitato alla Diga di Begato.

Intanto tutta la “roccaforte rossa” era bella che caduta con pochi combattenti ancora sulle barricate, come l'ex giovane resistente Mario Tullo, già deputato e leader cresciuto nelle periferie e nelle gradinate genoane e rimasto sempre al suo posto, lui e pochi altri.
Uomini e donne di fatica politica, definizione da prendersi come un complimento, che restavano accerchiati dal totismo, dal buccismo e ora da questa avanzata dei postfascisti meloniani che un tempo i loro avi politici, i Plinio e i Bornacin, erano vissuti come anomalie del sistema partitico, gente da extra arco costituzionale e ora eccoli a prendersi, una ad una, tutte le leve del potere, una sconfitta via l'altra, ora perfino la Baia del silenzio di Sestri Levante e Ventimiglia, frontiera calda, ex “Porta fiorita” e oggi, con gli immigrati, “Porta dell'inferno”.

I dirigenti di oggi, quelli che inghiottono l'ultima polpetta avvelenata e non sanno che dire altro che “forse è meglio così almeno si ricomincia da capo”, sono anche simpatici, come i Sanna e i D'Angelo, la Ghio, i Benifei, il giovane-giovanissimo Romeo e altri che non citiamo, per non fare troppe pagelle, si erano illusi perchè l'effetto Schlein l'avevano battezzato proprio loro, qui a Genova, in Liguria e si erano illusi, incompetenti armocromatici, a sbagliare i colori.

E sembrava la spinta giusta, la scintilla, già comparsa a Savona con l'unica vittoria dell'ultima era, quella di Marco Russo, di nobili e magnanimi lombi politici democristiani, ma tutt'altro uomo, tutt'altra storia.
E, invece, è arrivata la stangata finale, che segna la svolta epocale, quella che cambia veramente la storia e forse e questo sì che è un segno positivo per loro, perchè muta veramente i colori, altro che armocromia.

Ora possono ripartire, ma a condizione che cambino la testa, i vertici in una specie di lavacro totale, di svolta orizzontale e verticale.
Da anni l'opposizione in Comune e in Regione è flebile, neppure rassegnata, peggio inane, incapace di trovare argomenti, ma piuttosto vorace di spunti più adatti ai mass media, raramente compiacenti, che alla sostanza delle battaglie.

Eppure sette anni di Toti, sei di Bucci hanno offerto innumerevoli possibilità di scontro vero, costruito con i dossier, non con le parole o con i piagnistei.
Certo la politica è cambiata, la società civile non si collega più a niente e non solo quella un tempo amica della sinistra, delle post fabbriche, del porto in potente trasformazione, dei lavoratori in generale, ma chi vuole farla, la politica nuova, questi strumenti li deve trovare e su quelli deve scovare gli uomini nuovi.

Lo credo che un dinosauro come Burlando è uscito dalla sua foresta e ha dimostrato con una chat (strumento moderno) e con una mega riunione di 400 partecipanti( strumento antico) che la mobilitazione si può ricreare anche nel 2023, anno VII e VI sotto il regno totiano e bucciano.

Loro i ragazzi della new generation armocromatica non ci sono neppure andati. Sono rimasti a lisciarsi la barba e i baffi, quelli che ce li hanno. In attesa che arrivi il barbiere e ci pensi lui.

E il barbiere è arrivato davvero con in mano le forbici che hanno dato il taglio definitivo. Coraggio compagni, che ora siete almeno più leggeri.

GENOVA - A Sestri Levante vince il centrodestra. A Ventimiglia... pure. E nel resto d'Italia per il centrosinistra è egualmente una Caporetto: vengono cedute Ancona e alcune città della Toscana. L'impossibile che diventa realtà. Gran parte dei giornali, sia di una tendenza sia dell'altra, osservano: non c'è stato alcun effetto Schlein. Cioè l'avvento della nuova segretaria del Pd, appunto Elly Schlein, non ha prodotto quel cambio di passo che ci si sarebbe attesi, sebbene sia avvenuto da così poco tempo da non poterle imputare tutte le responsabilità.

Bene. Anzi, male se la guardiamo nell'ottica di parte, perché sta ricominciando un film già visto troppe volte: si ragiona sulla sconfitta, si prepara un progetto, si cercano volti nuovi. Poi non succede nulla e si aspetta solo la prossima batosta. L'importante è che certuni conservino la loro fettina di potere.

Eppure dalle urne, anzi da da Sestri e da Ventimiglia, arrivano dei messaggi precisi. Primo: senza unità non si va de nessuna parte. È vero che esistono delle diversità fra i partecipanti a una coalizione, ma i valori di fondo sono il vero cemento. Morale: il centrodestra viaggia nei momenti cruciali con questa unità, il centrosinistra no. E rimedia sconfitte anche dove Pd e Cinquestelle si alleano, perché tutti gli altri pezzi della sinistra remano contro.

La testimonianza plastica di ciò viene da Sestri. Al primo turno il centrodestra si è diviso e così ha perso. Nel ballottaggio gli elettori sono andati oltre le barricate alzate dai partiti e l'alleanza che nazionalmente fa capo alla premier Giorgia Meloni ha vinto. Grazie a quella mistura con il civismo politico di cui gli alfieri in Liguria sono il governatore Giovanni Toti e il sindaco di Imperia Claudio Scajola (rieletto al primo turno senza simboli di partito). A Ventimiglia l'accordo c'era da subito e difatti il nuovo sindaco Flavio Di Muro è sempre stato al comando.

Secondo messaggio che arriva da Sestri: il buongoverno locale non è (più) trasmissibile per via ereditaria. Che la sindaca Valentina Ghio, oggi parlamentare, abbia fatto bene lo riconoscono pure i suoi avversari. Ma quando c'è stato da scegliere il successore questo non è stato un valore aggiunto per l'erede. Dovendo comunque scegliere qualcuno di diverso, i sestresi hanno preferito puntare su un rinnovamento completo. Che è come dire al Pd: proviamo qualcos'altro perché da te non arriva alcunché su cui insistere per il futuro.

E qui siamo all'affermazione generalizzata per cui "non esiste un effetto Schlein". La contesto: un effetto Schlein esiste eccome! Uno: non si capisce che razza di partito debba essere con lei il Pd. Due: l'Italia non è (mai stato) un Paese di sinistra, quindi va bene perorare alcuni diritti, ma quando punti troppo su di essi e ti scordi il pragmatismo del vivere quotidiano hai voglia a raccontare che si sta peggio se governo gli altri.

Tre: al fascismo e a tutti gli altri "ismi" di cui si riempie la bocca il Pd di Elly, come dice il filosofo Massimo Cacciari, non crede nessuno. Quattro: ogni volta che non sei d'accordo non puoi chiedere le dimissioni di un ministro o lasciare l'aula del Parlamento o provare a scendere in piazza. E montare un polverone sulla Rai che cambia padrone, quando la fazione opposta ha sempre fatto lo stesso, non paga né importa al Paese. Cinque, e certo non ultimo: il Pd nei suoi quadri dirigenti aveva scelto Stefano Bonaccini come proprio leader. Poi nei gazebo le cose sono andate diversamente. Per queste ragioni, e per altre che sarebbe lungo elencare, non si può dire che non esista un effetto Elly Schlein sul voto! Anzi.

Puntuale come il cambio di stagione, arriva la polemica sulla impossibilità di trovare personale stagionale per le strutture turistiche e commerciali. In Italia, secondo fonti di informazioni, sarebbero almeno 100.000 le posizioni scoperte. Oltre cinquemila nella sola Liguria. Mancano camerieri, pizzaioli, bagnini e quant'altro. Tutta colpa, sembra, di politiche fin qui puntualmente sbagliate.

Difatti ecco Confesercenti, secondo quanto riporta La Stampa: "Bisogna garantire maggiore flessibilità contrattuale, rafforzare le politiche attive e per la formazione, proseguire con la riduzione del cuneo fiscale, detassare i futuri aumenti e reintrodurre i vaucher e, in forma semplificata rispetto al passato, il job sharing, eliminando inoltre il tetto di ore minime che molti contratti ancora impongono per il part-time".

Chi come me è avanti negli anni, ricorderà quanto si diceva in passato: Confcommercio è della Dc, Confesercenti è del Pci. Quel collateralismo, come si chiamava allora, è per fortuna finito. Resta il fatto che in Confesercenti certo non sono i peggiori "destri" del Paese, eppure la ricetta dell'organizzazione sembra rispondere solo alla logica datoriale. Per carità, ognuno fa il suo mestiere, tuttavia un dubbio dovrebbe almeno venire: non sarà che gli imprenditori vogliono fare sempre più profitti e di tutto il resto non gli frega niente?

So perfettamente che queste parole mi attireranno molte antipatie, ma chi mi conosce e chi ha avuto la pazienza di seguirmi in questi anni sa che non sono un pericoloso bolscevico. Mi chiedo: possibile che tutti coloro che "contano" si pongano essenzialmente dal punto di vista di chi dà il lavoro e pochissimi, invece, facciano lo stesso esercizio dal lato di chi lavora?

L'ho già scritto e lo ripeto: un conto è dire in tivù che applichi un contratto e paghi in chiaro, altra è la realtà del nero che continua a proliferare. E le paghe sono molto basse per rendere almeno dignitosi certi lavori. Difatti ci sono due cose che non si spiegano. Uno: perché i giovani le stesse cose che rifiutano in Italia le vanno a fare all'estero? Due: se certi lavori rispondessero ai requisiti minimi della accettabilità, come mai non ci sono frotte di cinquantenni e sessantenni (sono moltissimi di questa fascia d'età a trovarsi disoccupati) pronti per gli imprenditori che poco prima di ogni estate cominciano la loro litania?

Cito solo una delle molte cose che i proprietari delle aziende possono fare con le norme vigenti: il turismo è l'unico settore che gode del lavoro a chiamata. Cioè: se hai bisogno di un lavapiatti, di un cameriere o di quant'altro, prendi semplicemente una persona, aggirando tutti gli altri passaggi. Invece...

Invece si va a caccia di qualunque cosa possano pagare in milioni per arricchire pochi. Per esempio: se tu dici che bisogna detassare e non versare i contributi anche per le attività meno "invoglianti", stai affermando che tutti noi dobbiamo contribuire, con il fisco e con la previdenza, affinché l'imprenditore veda crescere il suo profitto.

Io ho molto rispetto per questa categoria, che non conosce né orari né festività e spesso non riesce neanche a dormire pensando a come portare avanti la propria attività e coloro che vi lavorano. Ad ascoltare certi discorsi e a toccare con mano certe realtà, però, ho il dubbio che questo genere di imprenditori siano sempre di meno.

GENOVA - In tempi di “grande” politica, nel senso di “grandi” dibattiti, nel senso di temi vasti non certo di alto livello che quello ce lo siamo da un bel po' scordato, viene sempre più spontaneo occuparsi della città nel suo “piccolo”.

Spostando l'osservazione nella pancia profonda di Genova bisogna un po' dribblare le grandi opere, per le quali esaltarsi (sono tante e martellanti nella comunicazione) e guardare il giorno per giorno. La cura della città, la sua manutenzione, la sua fruizione. Questo è uno dei parametri con i quali si giudica la capacità e l'efficienza degli amministratori. Insieme ovviamente alla spinta di “visione” (vision nel linguaggio bucciano), di esecuzione (tiriamoci subito su le maniche, nel medesimo linguaggio), di programmazione (guardiamo avanti e via h 24.......).

Qui il corso che ci amministra da sei anni continua a dare prove che non si possono dimenticare o sottovalutare. E' cambiato il mood, il trend, lo spirito, certamente di chi traina e di larghi strati di popolazione. Non di tutti, mentre la opposizione a questa maggioranza nei palazzi e quel che è più grave nella città prevalentemente dorme o si perde in assenza di personalità forti, di programmi da contrapporre.

Ma su quell'altro fronte più “piccolo” e meno trasmissibile con quegli slogan?  A me colpisce non tanto la ancora latente manutenzione della città, che non sono solo le benvenute aiuole di corso Brigate Partigiane, o il traffico sempre più caotico già oggi e figurarsi cosa succederà quando partiranno i grandi cantieri della Diga e del presunto tunnel subportuale?

Mi colpisce per esempio che i genovesi siano un po' prigionieri proprio nelle piazzi principali di quello che è sempre stato il centro del centro. Portello è semibloccata da un cantiere per la costruzione di alcuni box e questi lavori sembrano eterni, anche se fonti autorevolissime ci dicono che finalmente tra il 20 giugno e il 9 luglio l'assedio finirà e quel luogo un po' particolare tra le due gallerie e tra i tunnel per andare nel paradiso di Caproni o per prendere la mitica funicolare di santa Anna, due bellezze uniche, saranno finalmente liberato.

Sempre che il “cubotto” di cemento, che ha fatto indignare Vittorio Sgarbi, non provochi altri sussulti.

Poi c'è piazza Corvetto, quella che se leggete le classifiche italiane è la più grande d'Italia per strade che vi confluiscono nel numero di 7 “affluenti”, da Via Assarotti a via Roma eccetera eccetera.

Per un anno sarà accecata nel senso che la chiusura del sotto passo più “occidentale” ha bloccato la circolazione perdonale in in un senso, obbligando il traffico pedestre a circumnavigare solo il lato verso via santi Giacomo e Filippo se “scendi “ e se “sali” non hai scampo che da via Roma girare a destra per raggiungere Assarotti, Palestro,, Martin Piaggio.

Unica alternativa quella che alcuni temerari osano ( e non da ieri) buttarsi in mezzo alla piazza sfidando i caroselli del traffico veicolare.

Era inevitabile perchè bisogna costruire una  galleria di servizio alla nuova stazione della metropolitana cucù, che dopo decenni sbarca a Corvetto.

E chissà quante ne vedremo ancora per la stessa ragione nella piazza. La chiusura accecante durerà un anno, secondo i cartelli che sono stati piazzati davanti agli sbarramenti. Un anno, se va bene e se altri cartelli non comunicheranno altre date e altre chiusure e deviazioni.

In una città dove la comunicazione, le passerelle pubbliche gli annunci sono una raffica quasi permanente, mi sarei aspettato una comunicazione più precisa. Molti turisti e anche molti genovesi ignari, anche dopo un bel po' dall'inizio della chiusura si buttano per il verso sbagliato e poi rischiano la pelle, trovandosi in mezzo alle macchine all'imbocco della galleria.

Non si poteva annunciare e segnalare e spiegare meglio? Non si potevano prevedere altri attraversamenti, come all'inizio di via san Giacomo e Filippo?

I genovesi respirano bene la “ripartenza” della città, il nuovo ottimismo? Benissimo. Ma magari vorrebbero respirare più tranquilli camminando nel centro della città 

 

Una delle più grosse balle della politica, pari a quel ritornello che dice che i programmi sono più importanti dei nomi dei candidati è sostenere che le elezioni locali non abbiano peso sulla politica nazionale. Tutti gli appuntamenti con le amministrative, dalla caduta del fascismo, hanno più o meno condizionato la politica a seguire. Anzi a volte persino troppo.

Questa premessa, per ribadire che i ballottaggi di oggi e di domani condizioneranno i rapporti delicati all’interno della maggioranza di centrodestra al governo, così come segneranno le sorti della nuova segretaria del Pd, che, come sottolineava correttamente pochi giorni fa la politologa Nadia Urbinati, non ha un “collettivo” che la sostenga e collabori con lei. Insomma, è sola o quasi. Come è sola la Meloni.
Quindi evidente che i risultati di queste ore avranno ricadute forti anche sulla situazione politica locale. Quella ligure, per esempio, dove la destra con un po’ di centro va avanti ormai da anni, rafforzata dalla personalizzazione delle liste civiche, mentre la sinistra fatica per usare un eufemismo, per l’assenza di nomi nuovi e catalizzanti.

In breve: quello che succederà, per esempio, a Sestri Levante, roccaforte della sinistra (potremmo addirittura dire del vecchio Pci!) nella riviera di levante, non potrà non provocare, muovere, stimolare scelte definitive e risolutive nel partito di Elly Schlein che, proprio dove ha governato per dieci anni, è in ballottaggio con il centrodestra. Come dire, magari esagerando un po’, ma nemmeno troppo, che il domani locale del Pd o dell’ alleanza di centrodestra si gioca proprio intorno alla Baia del Silenzio. Se rivincesse il Pd la dirigenza locale avrebbe buone chances per prepararsi alla grande sfida delle Europee e poi delle Regionali, altrimenti dovrebbe fare le valigie. Viceversa se vincesse il centrodestra assegnerebbe alla coalizione che governa la Liguria un assist importante per il futuro, più con un’anima civica che di partito.

Idem il ruolo di Ventimiglia dove il centrosinistra tenta di riprendersi il Comune perduto e passato al centrodestra e infine commissariato.
Certo che in questi ultimi anni ci sono stati capovolgimenti curiosi e imprevedibili che si sono, soprattutto, manifestati a Genova, nei quartieri dove la tradizione politica disegnata dalla storia degli ultimi quarant’anni è finita male e a volte malissimo.

Lo ricordavo qualche sera fa, in occasione della festa a sorpresa per gli ottant’anni di Mario Margini, leader storico del Pci-Ds, nell’atmosfera molto accogliente dei Giardini Luzzati, con un antico esponente comunista. “L’avresti mai immaginato che….”. La frase è cominciata così mentre Margini raccontava che il partito di Berlinguer (e prima di Togliatti) stava con i deboli e gli operai. “Mentre ormai…” continuava il vecchio militante. Lo aveva ribadito poche ore prima Massimo D’Alema a Savona dove aveva celebrato l’intitolazione dei Giardini del Prolungamento proprio a Berlinguer. Presto se ne parlerà con particolare autorevolezza quando verrà finalmente ricordato il ruolo di Palmiro Togliatti nella scrittura collettiva della Costituzione.
Con Claudio Burlando, poi, si chiacchierava sui nomi nuovi e su quelli del passato. E il “presidente” ha tirato fuori la divertente lezione di Aldo Tortorella, storico dirigente del Pci che fu a Genova vicedirettore dell’”Unità” dopo la Liberazione.

La sintetizzo e mi scuso se non è proprio precisa. Dunque spiegava Tortorella a Burlando giovane dirigente, (era il 1989 quando Burlando trentacinquenne in pochi giorni fu eletto segretario di Genova e nel comitato centrale e in una direzione di 40 membri, non 200) che nel Pci si entrava per cooptazione. Un dirigente cooptava un altro più giovane, ma sicuramente con qualità minori delle sue, per non rischiare di essere sorpassato. Questi, una volta entrato nel partito avrebbe cooptato un altro più giovane, sempre con la caratteristica che possedesse qualità minori del cooptante. E il risultato? “Che arrivati a un certo punto, il gruppo dirigente a furia di cooptare persone scarse non è più in grado di discernere e per sbaglio sceglie uno bravissimo! Allora questo viene pomposamente chiamato: rinnovamento. Mentre era soltanto uno sbaglio….”. Come dire che se dimostrerai di essere bravo….sappi che ti hanno scelto….per errore!

L’operazione rinnovamento o cambiamento è sempre più difficile, non solo nella sinistra, perché non ci sono scuole di partito o di politica come accadeva prima. Ricordiamo per cambiare chiesa, come funzionava nella poliedrica Dc con le parrocchie, l’Azione Cattolica, i sindacati eccetera. La politica – ha sottolineato D’Alema nell’intervista a Primocanale – è una cosa seria e bisogna essere preparati per farla bene.
Appunto. Ecco l’ attualità della lezione di Tortorella. Con sbaglio annesso….