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Nel giro di pochi minuti veniamo a sapere, grazie ai sondaggi di Tecnè per Primocanale, che il governatore Giovanni Toti mantiene, e anzi accresce, il gradimento dei liguri. Ma sappiamo pure che alle elezioni europee della primavera prossima il Pd avrebbe la maggioranza dei consensi. All’apparenza due esiti contrastanti. Però, appunto, solo all’apparenza.

Il dato che emerge dai due sondaggi è la differenza fra il voto locale, al quale vanno ascritte le regionali, e il voto nazionale, addirittura continentale, delle europee. Da una parte si giudica l’amministrazione, dall’altra si tende a privilegiare l’ideologia. Dunque, l’esito ci sta.

Dopodiché bisogna ricordare che facciamo esattamente come nel calco: si commenta una partita, il suo andamento, le sue mosse. Ma da qui al momento in cui si apriranno i seggi, molto, se non tutto, potrà cambiare. Sia per quanto concerne le europee, sia per le regionali, che arriveranno ben dopo. Fermandosi all’oggi, tuttavia, qualche considerazione è possibile.

Che Toti aumenti il proprio gradimento non è una sorpresa: ha fatto bene alcune cose e su altre ha saputo correggersi, in più la grande maggioranza dei liguri lo conosce, cioè sa di chi si sta parlando. Al di là di come stiano andando le sue ambizioni a livello nazionale, non c’è alcun dubbio che Toti sia un leader e sia percepito come tale. L’ipotesi di un suo terzo mandato alla guida della Regione Liguria, quindi, poggia su basi solide. 

Questo non significa che per i partiti che lo sostengono – Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e liste civiche – il capitolo sia chiuso. Però devono pensarci bene prima di dire di no. Occorre, cioè, che quel centrodestra presenti l’alternativa di un leader ben conosciuto e dai risultati incontestabili con il quale sostituirlo. Quella persona c’è? In teoria sì: il sindaco di Genova Marco Bucci. Solo che le regionali arriveranno due anni prima della scadenza della consiliatura a Tursi: il problema non è secondario, ancorché già si sappia che il prossimo candidato primo cittadino genovese sia (possa essere) l’assessore Pietro Picciocchi…

Litigi in vista? Non credo fra Toti e Bucci. Più probabile, invece, che dentro la coalizione si arrivi ai ferri corti. Ad esempio fra il mondo delle liste civiche – da Imperia il sindaco Claudio Scajola ha già dato la propria benedizione a un Toti ter – e la Lega di Matteo Salvini, la quale da tempo va spiegando che “il presidente nell’immediato deve pensare a governare la Regione e poi trovarsi altro da fare”. Vedremo.

Spettatore interessato è il centrosinistra, che dal sondaggio di Tecnè esce bene sia con il Pd, accreditato come primo partito, sia con il Movimento Cinque Stelle, che consolida il proprio posizionamento. Al netto di tutte le altre considerazioni che si possono fare sul caso, piacerà di sicuro il distinguo operato da Pd, Cinque Stelle e Azione rispetto alla “colpevolista” Lista Sansa sulla storia di coca ed escort che ha coinvolto, ma senza che sia indagato, il vicepresidente leghista Alessandro Piana (più il notaio Biglia, anche lui citato ma non inquisito). 

La cautela garantista di gran parte della minoranza regionale paradossalmente non piacerà del tutto al centrodestra (al di là delle parole di facciata), mentre dice all’elettorato moderato della Liguria che di certe forze si può fidare o può cominciare a farlo. Una buona mossa, inutile discutere

Il centrosinistra, però, ha un problema fino ad ora rivelatosi insormontabile: la designazione di un candidato che sappia avere e dimostrare doti di leadership. L’esito del sondaggio relativo alle elezioni europee chiarisce che sia per il Pd sia per i Cinque Stelle la base di partenza è buona. Ma, guardando alle regionali, bisogna passare dalla fase ideologica a quella amministrativa. Manca un nuovo Claudio Burlando e serve un nuovo Claudio Burlando. Gli elettori riceveranno questa possibilità di scelta?

Un anno fa, a pochi giorni dalla nomina di Angelo Gratarola ad assessore regionale alla sanità, scrivevo che dopo una pandemia che ha paralizzato la sanità per almeno due anni era giunto il momento di mettere le mani dentro a quella che è la voce più importante del bilancio regionale ma prima di tutto interessa ognuno di noi: la sanità.

La bacchetta magica non esiste e tanto più in sanità, i problemi che il Covid ha esacerbato sono ancora davanti a pazienti e sanitari ogni giorno e arrivano da molto lontano.

Il tema sanità solo in apparenza è semplice, in realtà è forse il più complesso da risolvere a ogni livello. Per questo la prima cosa è affrontare l’argomento senza sovrastrutture mentali. Non è riducendolo a una chiacchierata da bar o ripetendo all’infinito che è un problema complesso che si può risolvere.

Per arrivare a delle soluzioni bisogna tutti rimboccarsi le maniche dai medici, agli infermieri, passando per i politici e arrivando a ognuno di noi. Perché o la sanità la si aiuta tutti insieme oppure non potrà più esserci così come l’abbiamo conosciuta fino ad ora e su questo non c’è nessun dubbio. Bisogna collaborare senza sterili polemiche e questo non significa non segnalare quello che non funziona ma farlo in modo sempre più propositivo.

Si parte da una certezza: la sanità di oggi è in difficoltà e lo è per cause molto diverse tra loro ma è altrettanto vero che quando si vuole iniziare a sciogliere la matassa da qualche parte bisogna partire e spesso ci vuole tempo per arrivare in fondo.

Quando si parla di sanità è però difficile aspettare perché, nel momento in cui entriamo in un pronto soccorso o dobbiamo subire un intervento chirurgico, siamo fragili, spaventati per noi o per i nostri cari e le criticità e le mancanze sono difficili da digerire e fanno male.

L’altro punto fermo sono i soldi che mancano, vero, ma non può essere sufficiente pensare che la soluzione sia solo avere più fondi. Gli investimenti servono e sono necessari, certo, soprattutto per cercare di andare a colmare i buchi che si sono creati dopo anni di tagli alla sanità e parallelamente cercare di riavvicinarci il più possibile alla spesa sanitaria dei paesi europei più lungimiranti. Ma i soldi poi devono essere ben spesi evitando una volta per tutte che si perdano in tanti rigagnoli.

Sperando che il Governo non tagli ulteriormente i fondi serve, però, un modo nuovo di vedere la sanità e serve l’aiuto di tutti, lo ripeto perché questo è il nodo centrale. Bisogna trovare in primis soluzioni per i pazienti scontentando sicuramente alcune categorie sanitarie che in questi anni hanno conquistato uno status quo. Per questo serve molto coraggio.

Liste d'attesa, prevenzione e riorganizzazione, la sanità non del futuro ma del presente in Liguria passa da questi tre punti scrivevo un anno fa e ancora oggi è così.

L’assessore Angelo Gratarola arriva dal mondo dell’emergenza, è abituato per formazione a valutare situazioni complesse in pochi secondi e di conseguenza prendere decisioni e metterle in pratica in tempi rapidissimi. La politica e la burocrazia non sono così, anzi. Ma tra le tante associazioni e realtà che hanno incontrato Gratarola in questi mesi il pragmatismo è quello che ha colpito di più. I medici soprattutto si sentono compresi perché è “uno di noi”. E allora bisogna continuare a lavorare in questo solco sfruttandolo al massimo.

Il primo anno di assessorato è cominciato con i 100 euro ora per gli straordinari ai medici di pronto soccorso per cercare di rendere più appetibile il lavoro dell’emergenza, un segnale, partito dalla Liguria, che non è assolutamente sufficiente ma è un piccolo passo.

Un anno caratterizzato dal piano socio sanitario regionale che a giorni verrà votato in Consiglio regionale dopo l’ok del Ministero della salute. E’ il documento che ridisegna la sanità regionale dei prossimi anni e che riorganizza l’assistenza territoriale attraverso ospedali di comunità e case di comunità. Tra gli argomenti più caldi i punti nascita e l’accorpamento delle centrali 118. La Liguria avrà 9 punti nascita contro gli 8 richiesti da Roma in base al numero dei parti e tre centrali 118. Tra le novità anche le automediche infermierizzate e un numero il 116117 per le cure non urgenti.

La Liguria è poi tra le regioni italiane con il maggior numero di ospedali in costruzione: il Felettino della Spezia, l’ospedale di Taggia; l’ampliamento del santa Corona; a Genova il nuovo Galliera, il nuovo padiglione del San Martino; il nuovo monoblocco del Gaslini ed Erzelli.

Sul fronte nazionale la Liguria è riuscita a garantire per il 2023 70 milioni in più rispetto al 2022. Il pensiero ora e alla cifra che potrà arrivare.

Se questo è stato fatto o comunque impostato i punti su cui l’assessorato di Gratarola si gioca la faccia sono due: le liste d’attesa e la riabilitazione dei minori affetti da disturbi neuropsichiatrici.

L’argomento principale da aggredire continuano a essere le liste d’attesa: per volontà di Gratarola si è partiti da monte e cioè dal primo momento che è quello della prescrizione lavorando sull’appropriatezza prescrittiva. Al centro di un tavolo aperto con Alisa gli iperprescrittori: medici di famiglia o specialisti che prescrivono troppe prestazioni che non servono e per questo ingolfano la macchina penalizzando chi invece ha bisogno anche con urgenza di una ecografia o di una Tac. Gli addetti ai lavori la chiamano inappropriatezza prescrittiva che raggiungerebbe fino al 20% delle ricette, un fenomeno esploso anche a causa della medicina difensiva. Il tema delle liste d’attesa non può però essere ridotto solo a questo perché c’entra anche la mancanza di personale. E anche qui serve l’aiuto di tutti pazienti compresi perché per esempio circa il 20% degli esami prenotati non viene annullata.

L’altro tema è quello della presa in carico riabilitativa dei minori affetti da disturbi neuropsichiatrici. E’ stato aperto un tavolo con il pubblico e il privato accreditato, soprattutto per la Asl 3, ma serve una vera e propria task force per garantire la presa in carico.

Da un punto di vista burocratico, tecnico, organizzativo ci sono dei tempi da rispettare ma come si può far coincidere questi tempi con liste d’attesa lunghe, difficoltà ad avere risposte?

La sanità è un po’ come una vigna, è un investimento a lungo termine: la vite, infatti, richiede tempi molto lunghi per attecchire, crescere e produrre. Per questo un’attenta progettazione diventa essenziale per iniziare con il piede giusto: dalla lavorazione del terreno alla scelta delle piante, dalle tempistiche alla manutenzione. Fondamentale poi il coraggio di potare, di tagliare i rami secchi solo così ci potrà essere nuova vita.

I tempi della vigna-sanità sono lunghi e non coincidono con le necessità del presente che spesso sono di difficoltà, bisogna prenderne coscienza, affrontare il quotidiano insieme progettando parallelamente il futuro.

Non è facile ma è l’unica cosa che può essere fatta, non per questa o quella parte politica ma per tutti noi.

 

La riga di cassonetti della spazzatura sistemati come una lunga metallica barriera davanti al Palazzo di piazza Fontane Marose dove passò anche Napoleone (credo?) nella sua festosa settimana genovese ha infiammato il sangue della Soprintendenza che non si era acceso nemmeno per il cementizio vespasiano di piazza Portello. “Si taglino in due o in tre – ha sentenziato – o si levino del tutto”. Aggiungiamo noi poco intendenti “lasciando che tale spazio venga occupato da furgoni in doppia e tripla fila” e magari la rumenta svolazzi libera e felice nella splendida piazza-autostrada.

A me non creano problemi così camuffati da antichi palazzi a schiera genovesi e effettivamente basterebbe non presentarli come la diga di Begato dei rifiuti a pochi metri dai “Palazzi dei Rolex” come rivela l’architetto Fera in un divertente articolo e spezzettarli tutto intorno, qua e là dove c’è lo spazio (dove?) lasciato dai furgoni che consegnano viveri e pacchi alla popolazione affamata e assetata.. Meglio l’assalto dei furgoni o quello dei cassonetti?

Il “trenino dei rifiuti” come è stato definito, speriamo che accenda i globuli rossi dei controllori istituzionali (con la Sovrintendenza in prima linea, s’intende!) anche su altre brutture cittadine, probabilmente più urticanti del cassonetti-maison. La più insopportabile per me è la pitturazione di muri e palazzi, scegliendo quelli che hanno appena usufruito dei superbonus 110, quasi volessero con questa novella “Genua picta”, punire in modo incancellabile questa iniziativa di governo cinquestelle che ha scatenato i cantieri anche a Genova e che ora viene indicata come la rovina del Paese e la causa del prossimo collasso definitivo anche della sanità pubblica, che questo governo ha abbandonato al suo destino, abbandonando anche gli italiani e i liguri che non possono spendere nelle strutture private.
La vita di Genova da tempo è riscritta sui muri. Alcuni graffiti devo ammettere che sono spiritosi, altri meno. E’ lo sporcare per sporcare che mi esaspera e che francamente non ho ritrovato in altre città italiane con le proporzioni che il fenomeno assume a Genova.

Sono un grande ammiratore dei murales di Certosa, davvero emozionanti. Non delle schifezze sui palazzi di via Balbi (dei Rolex anche questi….!), o del centro storico, o di via Assarotti o di Circonvallazione o, udite-udite! di Carignano. A questa offesa più forte e dannosa del “trenino dei rifiuti” aggiungo per restare in tema l’uso non dei cassonetti, ma dello spazio che sta intorno a loro. Che diventa il vero luogo di deposito della spazzatura. Di ogni fattezza: resti di cene abbondanti, vasta esposizione di birre estere, ma soprattutto scatoloni di cartone consegnati dai furgoni in doppia o tripla fila che vengono mollati sotto i cassonetti perché così grossi non passano dal buco. Il consumatore medio non ha capito che lo scatolone vuoto si dovrebbe frazionare facilmente, piegare e rendere gettabile anche dentro i porta-rumenta anche se fatti come i “palazzi dei Rolex” di cui sopra.

Eppure il servizio degli Ecovan (credo si chiamino così) funziona benissimo e è a disposizione gratuita della popolazione anche due volte la settimana in tutti i quartieri della città. La vecchia stampante invece che essere lasciata sotto al cassonetto di Ponte Caffaro può essere portata alla raccolta gratuita settimanale nei giardini di corso Firenze o all’Albergo dei Poveri, così come il lucido bidet che ho trovato sulla scalinata di San Bartolomeo degli Armeni in una giungla di rigogliose verdure può essere consegnato in piazza della Zerbino.

Perché siamo così sporchi e così spesso incivili? Forse ci meritiamo dei “Frecciarossa di cassonetti” piazzati a barriera lungo i marciapiedi della nostra città, con buona pace dei sovrintendenti, a ricordarci che Genova è casa nostra e siamo noi per primi a doverla tenere in ordine.

Questa sera alle 21 scatteremo la fotografia ai partiti liguri che si preparano alla tornata elettorale europea del prossimo giugno: un'elezione, quella del parlamento europeo, che in Italia abbiamo spesso derubricato a consultazione di medio termine, buona esclusivamente per valutare il gradimento della politica nazionale e ragionare sulle implicazioni di questi risultati sulla tenuta dei governi in carica.

E, almeno ultimamente, queste votazioni sempre non troppo distanti da quelle del parlamento nazionale hanno rappresentato il trionfo del leader sulla cresta dell'onda: è capitato al Pd di Renzi nel 2014, con uno storico 40,81% dei consensi; risultato imitato dalla Lega di Salvini nel 2019, con il 34,26%, il più alto nella storia del partito. In attesa di conoscere i dati liguri elaborati per Primocanale da Tecnè, non è difficile ipotizzare un ottimo risultato per i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

Ma vista la centralità delle decisioni assunte da Bruxelles e Strasburgo nella vita civile ed economica dei Paesi membri, sarebbe il caso di rivalutare la contesa continentale e osservarla alla luce della sua indiscutibile importanza. Un tempo le Europee erano la partita dei 'trombati' dalla politica italiana e l'emiciclo di Strasburgo somigliava troppo da vicino a un cimitero degli elefanti in cui accatastare gli sgraditi e gli amici degli amici. La speranza è che, una volta e per sempre, questo atteggiamento cambi.

In Europa si affrontano le tematiche più pregnanti anche per l'Italia: a ogni crisi, di fronte a tutte le difficoltà, politica e pubblica opinione si stringono attorno al concetto di Unione. “Ce lo chiede l'Europa”, dicono i nostri politici quando devono servire al popolo qualche polpetta avvelenata, “intervenga l'Europa”, strillano a destra e a manca quando un problema ci sembra troppo difficile da risolvere.

E in Europa ci sono i nostri rappresentanti. Che devono essere capaci, ben introdotti e devono conoscere molto bene almeno una lingua straniera (ma sarebbe meglio dominarne decentemente due). Si troveranno a lavorare in un contesto difficile, da cui ogni Stato sovrano cerca di trarre il meglio per sé e lo stesso devono riuscire a fare loro.

Un esempio tipico che mi viene in mente di scarsa qualità della politica italiana in Europa è la famosa direttiva Bolkestein: qualunque cosa si pensi sulla messa a gara delle concessioni demaniali (e io penso che sia giusto procedere, anche se con gli appropriati correttivi) resta chiaro il fatto che nessuno dei parlamentari che l'hanno votata si fosse davvero reso conto delle implicazioni che quel provvedimento avrebbe avuto sul sistema italiano, fisiologicamente molto diverso da quello di altri Paesi.

Visto che le candidature alle Europee devono essere ancora definite nella maggior parte dei casi, quindi, faccio appello ai partiti di scegliere per questa competizione non i più fedeli, non gli indesiderabili da spedire al confino e neppure i 'trombati' da risarcire con 10 mila Euro al mese in cinque anni di vacanza premio: in Europa devono andare i migliori, qualunque sia il loro colore politico.

Oramai fioccano film, documentari, approfondimenti scientifici e sociali di ogni provenienza. Se non siamo connessi siamo morti. Il telefonino è il più grande cambiamento nelle nostre vite degli ultimi decenni. Nessuno può fare a meno di averlo, carico e sopratutto connesso. Se no, è la fine. Dimenticarlo o perderlo è la sciagura peggiore perché per tot ore sei “fuori”, escluso, peggio che nudo. Ti cercheranno e risponderà la segreteria che è come un muro invalicabile.

Tutti hanno il telefono anche chi non ha nulla, neppure una casa, un tetto, un vestito. Perfino i disperati di questo tempo infame, gli immigrati, che arrivano se riescono a arrivare e non morire, devono avere in pugno il telefonino, se no come comunicano con chi li aspetta in fondo alle rotte delle disperazione ,se c’è per loro un fondo oltre le frontiere, i deserti, i respingimenti, i soldi che gli rubano in cambio di un trasporto spesso mortale?

Il panorama urbano è cambiato dal telefonino. Provate a contare per la strada chi non lo impugna, chi non ci parla, magari stendendolo davanti alla bocca o di lato all’orecchio, guardando lo schermo o ascoltando, rapito concentrato. mentre attraversa la strada magari davanti alla vostra macchina.

Viaggiate su un treno e dovete subire spesso telefonate monstre di chi vi sta davanti, informandovi impunemente anche dei dettagli più intimi del vostro sconosciuto dirimpettaio.

C’è chi cammina come se tenesse una conferenza perché sta spiegando al suo interfaccia chissà quale problemi di lavoro o di vita. Si assiste in diretta a drammi, commedie, rotture amorose, duelli professionali. Molti non hanno alcun pudore, lo smartphone diventa uno strumento diabolico per dimenarsi, trasformare perfino la propria personalità.

Ci si può divertire sul versante femminile a scoprire chi di quel sesso non ci sia morbosamente attaccata in ogni strada, piazza, urbana, campagnola e montana. Tutte, o quasi, inesorabilmente coinvolte o esaltate, o tristi o compassate, comunque impegnate. Le donne, si sa hanno sempre avuto più bisogno di comunicare, ma ora è spesso un delirio. Si contano sulle dita di una mano quelle sprovviste. Sono come dei panda che camminano sperdute nella giungla, tanto poche se ne contano.

“Dov’è il telefonino” è la domanda più angosciosa e ricorrente che si rivolge a se stessi e ai propri contigui, nel terrore dello smarrimento, della perdita di contatto che spalanca ansie incommensurabili.

Ma la cosa che colpisce di più la mia generazione è come questo attrezzo, così rapidamente diventato essenziale e onnicomprensivo nelle sue dilaganti funzioni di tante attività (ti racconta la tua salute, il meteo, il percorso che devi fare, le calorie che hai consumato e attraverso le app, crasi malefica, arrivi ovunque) è che ha capovolto le relazioni umane.

Se c’è lui il resto non esiste o solo episodicamente. Quante coppie avete scoperto in tete a tete un volta romantici e ora concentrati sui telefonini, uno di fronte all’altro, fissano gli schermi, altro che fissarsi voluttuosamente occhi negli occhi!

In qualsiasi riunione, vertice, adunata, consesso, largo o stretto, lui sbuca inesorabilmente fuori, se trilla magari con un po’ di sussiego, se ti stai annoiando con mosse furbe che oramai qualsiasi galateo permette ovunque.

Gli ambienti che lo escludevano oramai stanno crollando, uno a uno. Non se ne può fare a meno anche se stai per incontrare il papa, lo tieni in tasca, silenzioso, ma vibra e se vibra non c’è santo che tenga. Ogni precedenza viene scavalcata: comanda lui.

Non so come finiranno le relazioni umane di questo passo. Viene da augurarsi, se non fossimo convinti democratici, che arrivi un dittatore pronto a limitarne l’uso anche pesantemente. Ma è impossibile. Basta osservare i più piccoli, anche piccolissimi come lo sfiorano, come lo digitano quasi fossero nati insieme a lui.

Aspettiamo solo il prossimo modello che vada oltre le ultime funzioni. Saremo sempre più connessi, dipendenti, ma inevitabilmente sempre più soli.

C’è da preoccuparsi molto per le nuove generazioni, per la loro capacità di concentrazione, senza il “diabolico” tra le mani. Chi ha il coraggio di obbligarne il disuso durante le lezioni e quindi chiede agli alunni di “disarmarsi”, assisterà poi a vere crisi di astinenza.
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