Porto e trasporti

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Falteri (Federlogistica): "Serve una cabina di regia interassociativa sulla logistica, che coinvolga le principali rappresentanze dell’autotrasporto, della logistica integrata, dello shipping, della Blue Economy, del commercio e dell’industria"
4 minuti e 35 secondi di lettura
di Andrea Popolano

In base al peso proporzionale dell’export ligure sul dato nazionale, che si aggira intorno al 3%, i danni diretti per il sistema ligure potrebbero ammontare a circa 450 milioni di euro riguardo l'export, a cui vanno sommati gli effetti indiretti sulla portualità e sulla logistica terrestre. Questa la fotografia della situazione scattata da Federlogistica dopo l'annuncio da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di mettere dazi al 30% per i prodotti in arrivo dall'Unione Europea a partire dal primo agosto. Situazione che rischia di mettere in crisi diversi settori produttivi europei, con conseguenze anche in Italia e Liguria.

Dazi che andranno a ricadere anche sul sistema portuale ligure: i porti liguri infatti oggi movimentano oltre il 50% del traffico containerizzato del Nord Italia. Le imprese della meccanica e dell’agroalimentare ligure come quelle legate florovivaismo del Ponente, le tecnologie meccaniche del Levante, le industria farmaceutiche sono fra quelle potenzialmente più esposte.

Le ripercussioni in Italia

Secondo le analisi, i dazi al 30% avrebbero ripercussioni a livello nazionale sulla catena logistica e produttiva. In Italia si stima una perdita di 15 miliardi di euro riguardo l'export, 10 miliardi di euro sul PIL e 178 mila posti di lavoro. Tra i settori più a rischio ci sono l’agroalimentare, la meccanica e la farmaceutica: sono i nostri settori d’eccellenza a pagare il prezzo più alto. I settori maggiormente interessati a livello nazionale comprendono il farmaceutico con circa il 18% dell’export italiano di medicinali e preparazioni è diretto negli Usa (pari a 13,7 miliardi di dollari su 75 miliardi di dollari totali di settore), la meccanica generale con il 6,8% del valore del comparto, l'automotive con il 5,5% dell’export nazionale e il 14,7% dell’export globale del settore, le macchine industriali con un'esposizione tra il 5,0% e il 6,8%, il vino e bevande con un 4,4% dell’export italiano pari al 22,7% dell’export mondiale di settore, la moda e la pelletteria con il 3,2% dell’export nazionale e il 9,1% di quello globale, i mobili e l'arredamento pari al 2,5% dell’export italiano e al 14% di quello globale, i metalli e l'acciaio con una quota di export verso Usa prossima al 7%, l'elettronica medicale con il 2,6% delle esportazioni mondiali di settore.

I lavoratori liguri a rischio

In Liguria, secondo i dati di una ricerca Istat, le aziende vulnerabili sull’export riguardano circa 5.800 addetti, pari a circa l’1,3% degli addetti totali della regione. Per quanto riguarda le aziende relative all'export sono 468 quelle liguri 'vulnerabili' agli effetti dei dazi decisi dal presidente degli Stati Uniti Trump. L'export vulnerabile ligure ammonta al 18,8% dell'export totale della Regione rispetto alla media nazionale del 16,4% e l'1,2% del fatturato totale regionale.   

Falteri (Federlogistica): "Serve una cabina di regia"

"Di fronte a questo scenario – spiega il presidente di Federlogistica, Davide Falteri – serve con urgenza una cabina di regia interassociativa sulla logistica a livello europeo, che coinvolga le principali rappresentanze dell’autotrasporto, della logistica integrata, dello shipping, della Blue Economy, del commercio, dell’industria e gli enti pubblici preposti come Dogane, Ministeri ed Enti di controllo. Dobbiamo affrontare in modo strutturato e strategico gli effetti delle tensioni commerciali globali e impedire che le imprese italiane diventino vittime di uno scacchiere geopolitico guidato da interessi speculativi".

Per il presidente di Federlogistica, la cabina dovrà avere due compiti fondamentali: da un lato monitorare gli effetti dell’aumento dei dazi su porti, noli, prezzi ed export, per attivare contromisure a difesa della filiera logistica nazionale; dall’altro, trasformare l’eliminazione dei costi extra – burocrazia in primis – in un obiettivo prioritario. "Non possiamo più permettere che siano le nostre inefficienze a fare da zavorra mentre il mondo corre. Il messaggio è chiaro: l’Italia deve smettere di inseguire le crisi. Serve consapevolezza, visione e un’azione unitaria. Perché il prossimo crollo, questa volta, potrebbe essere reale" spiega Falteri.

Il presidente di Federlogistica spiega che per l'operatività portuale serve integrare e ottimizzare i tempi con le tecnologie a disposizione in modo da evitare ritardi e rendere il sistema più efficiente in modo da evitare ritardi e non far perdere competitività. "Penso ad esempio alla dematerializzazione dei documenti. Per quanto riguarda il porto di Genova dobbiamo dire che è già quello più avanti in Italia. Se ci fosse un sistema nazionale uniforme si potrebbe arrivare a rendere operativo il porto di Genova 24ore su 24 per quanto riguarda la parte logistica relativa ai container". Ma questa situazione può essere un'opportunità? Per Falteri sì ma solo a patto di creare una cabina di regia che permetta di guardare oltre agli Stati Uniti e di poter programmare con tempo e logica la gestione dei mercati.

L'ex ministro Orlando: "Dobbiamo far crescere la domanda interna"

Sul tema degli effetti dei dazi Usa interviene anche l'ex ministro del Lavoro e oggi consigliere d'opposizione in Liguria, Andrea Orlando: "In questa situazione di tensione che si è determinata con gli Stati Uniti, con i quali giustamente non vogliamo rompere perché sono un importantissimo partner commerciale, bisogna costruire anche altri strumenti che diano un'altra forza contrattuale. Intanto cominciare a far capire, come Europa e come Italia, che ci sono altri mercati che possono essere utilizzati. Poi c'è un tema fondamentale che tutti rimuovono, ovvero che abbiamo un enorme problema di domanda interna che non cresce da molto tempo. Se possiamo esportare di meno – conclude Orlando – dobbiamo far crescere la domanda interna e se le persone non hanno soldi non comprano. Dobbiamo costruire strategie alternative e bisogna cominciare a ragionare su come si costruisce una politica industriale comune".

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