Cultura e spettacolo

Intervista a Sergio Luzzatto, genovese, storico, autore di "Dolore e furore"
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Oltre settecento pagine quelle che ha scritto lo storico genovese Sergio Luzzatto, professore nell’Università del Connecticut, per raccontare la storia delle Brigate rosse (“Dolore e furore, una storia della Brigate rosse” Einaudi) , partendo da Genova, dalla “colonna genovese” “Io l’ho chiamata la colonnina perché in realtà i genovesi non erano tanti” spiega Luzzatto nell’intervista esclusiva a Primocanale. Un libro importante che mette insieme tutti i tasselli complicati che negli anni ’70 e inizio ’80 costruirono quel decennio chiamato poi “Anni di piombo” fatto di attentati gambizzazioni, sequestri, omicidi. E avviato alla fine quando i brigatisti uccisero un compagno comunista, l’operaio e sindacalista Guido Rossa che aveva denunciato un collega postino delle Br.

“Nella notte tra il 27 e il 28 marzo del 1980 – racconta Luzzatto – gli uomini del generale Dalla Chiesa fecero irruzione in un appartamento di via Fracchia e uccisero quattro brigatisti. Una vicenda mai chiarita del tutto. Tre più o meno conosciuti un quarto di cui non si sapeva nulla. Fu un compagno del morto, militante di Lotta continua a riconoscerlo e dopo alcuni giorni venne il capo delle Br Mario Moretti a Genova a preparare insieme ai terroristi locali il comunicato che dava un nome al cadavere riverso a terra. L’ucciso si chiamava Riccardo Dura”.

Luzzatto in questi cinque anni ha raccolto testimonianze, interviste, documenti e ha ricostruito la vita di questo “brigatista ignoto” che si scoprì essere il capo della colonna genovese.

“Ora sarebbe impossibile fotografare un cadavere gonfio coricato su un tavolo dell’obitorio. Immagine terribile. Ma un dirigente di Lotta continua che aveva reclutato lo riconosce e praticamente fa sapere che se le Br non rendono pubblica la sua identità lo avrebbe fatto lui”

Così le Br in un secondo comunica gli danno un nome e un cognome.
“Lo definirono anche un operaio marittimo, per la verità più marittimo che operaio”.

Incredibile che in cinque anni di attività brigatista non si sia saputo niente di lui.
“Sì, io scrivo che un terrorista così perfetto dal punto di vista dell’ operare nella clandestinità più assoluta non sia stato mai identificato”.
Luzzatto racconta la vita del giovane siciliano, un padre che non c’è mai stato, una madre possessiva e ossessiva che lo manda addirittura in manicomio, ma lui sta bene lo dicono i medici, e poi lo chiude nella nave scuola Garaventa, un riformatorio, uno spauracchio, un ghetto. Ma non per questo Riccardo diventa brigatista, assolutamente. Poi la stessa madre lo manderà a fare il 'mozzo'.

E quando si politicizza?
“Nel 1972-73, quando entra nel movimento. I ragazzi si aggrappano a un credo religioso o politico. Dopo uno o due anni accanto agli operai Dura entra in fretta nelle Br dopo essere passato nel mondo di via Balbi, non da universitario. Ma frequentando questi ambienti. I Br stanno aprendo la colonna genovese, lui entra fra il 1974 e ’75 lo fa entrare il professore Faina che trova in lui la forza adatta alla necessità. Sono pochi i membri della colonna e si diventa così presto dirigenti. ”
“Dura non fu un carceriere spietato, me lo raccontò proprio in questo grattacielo l’ingegner Piero Costa che era stato rapito dalle Br e tenuto prigioniero in via Pomposa.”. Con Dura di guardia.

Dura dà il colpo di grazia a Guido Rossa che era stato ferito. Lui si avvicina all’auto e lo uccide.“Non è probabilmente l’unico omicidio di Dura. Un comunista che spara a un comunista. Significava ormai che le Brigate rosse sapevano di avere perso”.

Genova fu davvero capitale BR o no è una esagerazione?

“Si può dire di sì. Genova era la città delle grandi industrie pubbliche e quindi per le Br importantissima perché qui c’era una classe operaia particolare. Genova per l’efficienza che aveva diventa la capitale”

Antonio Tabucchi nel “Filo dell’orizzonte” parla di una Genova sfinita. Da che cosa?
“Si vede bene anche nel documentario di Giorgio Bergami Genova alla finestra. Sfinita perché subì la ristrutturazione industriale in anticipo rispetto ad altre città. Processi che fanno di Genova una città che cominciava ad accusare i grandi mali che sarebbero esplosi dopo, dalla crisi del manifatturiero, all’invecchiamento e al calo della popolazione. Inoltre questa specie di guerra civile interna alla sinistra lasciò segni. Il Pci vinse ma ne uscì anche lui sfinito.”

“Personalmente non condivido quasi nulla di quella prospettiva, ma quelli non sono stati solo di piombo. Queste manifestazioni estremistiche uscirono da un movimento collettivo molto generoso, molto ampio e intrinsecamente riformatore. Ricordiamoci poi che erano gli anni della strategia della tensione di destra, dei golpe neri. Le Br erano una risposta anche a quello"

Professore c’è ancora da raccontare qualcosa su quegli anni?
“Resta sempre da raccontare qualcosa. Mi piacerebbe che questo tentativo di storia locale che poi si allarga fino a diventare nazionale e internazionale possa inaugurare un filone di storia e di storie in cui questa esperienza degli anni ’70 possa essere colta nella varietà delle sua sfaccettature”.

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