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di Franco Manzitti

Fa un viaggio anche rischioso in Cisgiordania con una delegazione del Pd e ne riferisce con precisione e acutezza politica. Rimbalza a Genova dove è ingaggiata in consiglio regionale la battaglia contro la riforma sanitaria di Marco Bucci. Ed è ovviamente lui il leader della protesta, dell’attacco frontale a quella che in aula definisce letteralmente “uno schifo di riforma”, organizzata solo per favorire i privati. Porta lui sull’Aventino i consiglieri regionali di opposizione. Nella sera stessa della rivolta eccolo su “Realpolitik”, il programma di Mediaset condotto da Tomaso Labate, uno dei più concreti della rete tv, a duellare contro Mario Sechi, il direttore di “Libero”, scudiero della Meloni e con Bignami alter ego della stessa leader.

Duello sui grandi e drammatici temi della guerra e di quale dovrebbe essere la politica italiana in questo frangente tra l’infatuazione trumpiana della presidente del Consiglio, gli squagliamenti europei e il putinismo della Lega.

E ancora, se viaggiate un po’ sul web, ecco che rispunta continuamente, efficace, spesso lapidario come nel resoconto del suo intervento a Montepulciano, convegno Pd, dove pronuncia un discorso perfetto da grande leader, tra guerre, politiche europee e la sinistra in Italia, distesa tra campo largo e sottili distinzioni.

Ecco a voi l’edizione fine 2025 di Andrea Orlando, ex parlamentare per sei legislature, ex ministro dell’Ambiente e della Giustizia e del Lavoro, ex leader di corrente Pd, vicesegretario del partito e, nel 2017, secondo dietro Renzi e davanti a Michele Emiliano, nelle Primarie per conquistare la segreteria, uscito dal Parlamento nel 2024 per correre e perdere nelle ultime elezioni regionali liguri, sconfitto per pochi voti da Marco Bucci.

Poteva essere una marginalizzazione di un personaggio dalla grande caratura politica e istituzionale, con un servizio per la Repubblica non indifferente. E da questo attivismo, corroborato da incarichi importanti che Elly Schlein gli ha affidato come quello della politica industriale e come le missioni estere, spunta un Orlando non dico furioso, ma come spinto da una nuova carica, meno istituzionale, più battagliera.

Spezzino, che ha quasi sempre vissuto a Roma, nei corridoi dei suoi partiti, dopo una esperienza giovanile di assessore comunale nella prima giunta di Giorgio Pagano, come “protetto” da un establishment, che gli riconosceva non comuni doti, Andrea Orlando si era ricavato una immagine di “uomo delle istituzioni”, capace di affrontare dossier importanti, come la riforma della giustizia, di cui tanto di parla oggi e le grane nel mondo del lavoro nel governo Draghi.

Ma sempre moderato, riflessivo, trattativista e diciamolo apertamente anche un po’ lontano dalla sua Liguria, non solo da Spezia, ma anche da Genova, da una regione che avrebbe visto la conquista di Giovanni Toti e la caduta in serie di tutte le roccheforti “rosse”, compresa la “sua” Spezia.
Gli avevano affidato la remontada, dopo lo scandalo che aveva travolto Toti e compagni, e sembrava quasi una missione per scavargli un ruolo laterale dopo che aveva rifiutato una candidatura al Parlamento Europeo, che gli avrebbe dato insieme un po’ di luce, ma anche la lontananza dai gangli del potere romano, in un Pd sempre in discussione al suo interno e proiettato verso un difficile 2027 elettorale.

Ed era andata male, anche se quel risultato aveva in qualche modo preparato il terreno alla vittoria eclatante di Silvia Salis nelle Comunali successive, provocate dall’addio a Tursi di Marco Bucci.
Dove era finito Andrea Orlando dopo la sconfitta?

Appariva e spariva dai banchi dell’opposizione in Regione, luogo lontano dalle sue politiche di tanti anni. Partiva per viaggi giustificati dagli incarichi romani. Sembrava destinato non certo a un pensionamento, ma comunque a un ridimensionamento rispetto alle sue antiche leadership.
Invece eccolo, caricato a molla, come mai era apparso, forse sgessato dagli alti incarichi ministeriali e dalle manovre romane a Largo del Nazareno, muoversi in un altro modo, molto più aggressivo. Ma con quali obiettivi, giunto oramai alla piena maturità politica, con un bagaglio di esperienze così variegato?

Non gli basta certo la già indiscutibile leadership in Liguria, non scalfita dalla sconfitta regionale. Orlando interviene su tanti argomenti brucianti di questi tempi esplosivi, la sua macchina comunicativa non è mai stata così in forma, invadendo il web delle sue performance, quelle pubbliche e ben visibili e quelle studiate a tavolino.

Siamo in una fase di grande effervescenza ai vertici del Pd, dove l’avvistamento delle elezioni politiche del 2027 e relative manovre è già da tempo esploso con una linea di partenza un po’ scontata e già molte volte ripetuta di leader in corsa per sfidare Giorgia Meloni, Elly Shlein, Giseppe Conte e in subordine Silvia Salis, la sindaca di Genova, che nega, ma che non manca occasione per intervenire sul grandi tempi non certo solo genovesi e liguri.

E allora perché non immaginare che tra gli sfidanti non ci possa essere anche Orlando: nei suoi precedenti ci sono sfide di vertice nel partito e nella coalizione? In fondo a 55 anni un uomo politico è nella pienezza della sia esperienza, non è un grande vecchio alla Bersani, non è un giovane che cerca spazio.
E allora occhio a l’Orlando, furioso o quasi…….

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