“Potete lasciarmi il mio posto? Sono sempre stato seduto qui”. Con la gentilezza che lo contraddistingue, Emmanuel Diaz chiede di assistere alla requisitoria dei pm dal solito posto, un banco in fondo alla tensostruttura da dove i giudici sembrano lontani. Lasciargli il posto è automatico così come chiedergli cosa rappresenti per lui quel tavolino di compensato con le gambe di ferro: “Rappresenta un’idea, quella che l’ingiustizia non tende mai a conquistare il mondo, rappresenta la mia idea di mostrare al collegio che io ci sono ma quello che non c’è è mio fratello che è presente nelle carte, ma non fisicamente”. Nel crollo del ponte Morandi ha perso il fratello Henry, 30 anni, precipitato dal viadotto a bordo della sua auto gialla.

Processo Morandi, ecco le richieste di pena degli altri indagati
Finora Diaz non ha saltato un’udienza: “Ci sono sempre stato perché mio fratello lo merita, nonostante la rabbia e il dolore, lui meritava che io facessi per lui qualcosa per ricordarlo”. E dopo la formulazione delle richieste di pena a Castellucci e agli altri imputati commenta: “É stato difficile reagire alle richieste di pena perché qualsiasi pena non sarebbe stata abbastanza, nonostante le tante carte questa è una tragedia che non si può quantificare, che mette in evidenza che all’interno della logica di Aspi valeva la pena essere dei criminali, forse devono cambiare le normative perché se si continua così sarà sempre difficile evitare tragedie”.
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IL COMMENTO
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