Cronaca

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Dodici anni dopo alla cerimonia a Molo Giano solo due delle nove famiglie delle vittime. Il padre di Davide Morella: "La Jolly Nero? Meglio non parlare", il fratello di Francesco Cetrola: "Si poteva fare di più""
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di Michele Varì

Antonio Morella, papà di Davide Morella, una delle vittime della Torre piloti di Genova, è arrivato a Molo Giano con la moglie e gli altri due figli maschi, lui accetta subito di parlare: "Dopo 12 anni il nostro dolore è intatto. Quando veniamo qua ricordiamo tutto l'evento...".

Il papà che rifiutò l'indennizzo degli armatori


Poi il genitore, mentre il molo di riempie di autorità e di militari in attesa della cerimonia fissata per le 23.05, in un silenzio irreale rotto solo dal rumore del mare e con alle spalle il buio del mare punteggiato di motovedette, inizia a parlare.
Racconta Antonio, questo papà ferito, parla senza neanche bisogno delle domande, come se leggesse nel pensiero al cronista che ha davanti, o forse solo per sfogare ancora una volta il suo dolore mai trattenuto e pure ancora enorme. Un padre che nei mesi seguenti alla tragedia era stato fra i primi a rifiutare i soldi di indennizzo dagli armatori della Jolly Nero. "Non accetto denaro da chi ha causato la morte di mio figlio" aveva detto.

"Venire qui non è un gioco"

E anche stanotte le parole del padre hanno la stessa grande dignità, e vanno indietro nel tempo, a dodici anni prima: "Noi dopo il crollo siamo stati dieci giorni a Genova. Non ci aspettavamo una notizia del genere. La mattina alle quattro ci ha telefonato il vicecomandante della Capitaneria. Ha preso la telefonata mia moglie e lui ci ha rassicurato che Davide non era morto, non era deceduto. Poi qualche istante dopo mio figlio ha ricevuto un'altra telefonata, sempre dallo stesso comandante e lui ha detto la verità. Che mio figlio era deceduto". "Però noi avevamo una speranza perché figlio era molto pratico di nuoto e potesse essere salvato. Abbiamo preso la notizia quando siamo arrivati in Capitaneria...".

Poi il papà chiarisce, con tono solenne: "Noi qui dobbiamo sempre venire, non è un gioco. Dobbiamo rispettare sempre la memoria di nostro figlio e delle altre otto vittime. E' toccata a noi. Io rispondo sempre signor sì, sia fatta la volontà di Dio", aggiunge tradendo la grande fede che evidentemente lo ha sempre sostenuto e ancora lo sostiene.

Davanti, a troneggiare nel molo in cui c'è la vecchia Torre Piloti dismessa quando era stata inaugurata quella crollata, c'è la grande statua della Madonna che sembra guardare tutti noi, anche questo papà ferito.

"Papà quando soffia il vento la torre si muove..."


"Mio figlio era addetto al controllo del traffico navale - racconta ancora Morella -. La torre era alta, ben 54 metri. Davide diceva sempre, papà, quando soffia il vento la torre si muove. Però non c'era alcun pericolo. Noi l'unico cosa che temevamo era qualche terroristico per fare crollare la torre".

Una grande fede, non solo nella religione, quella del genitore che anche dopo tanti anni accetta di tornare nel posto dove il figlio è stato ucciso da uno degli incidenti più assurdi, perché è assurdo morire lavorando nella torre in cui operavano i controllori del porto, un paradosso possibile per le colpe di chi è stato poi condannato dai giudici, coloro che conducevano quella nave, la Jolly Nero della compagnia Messina, che non avrebbe dovuto navigare.

"Quella tragedia si poteva benissimo evitare usando le opportune rimedi. È capitata a noi, non ci possiamo fare niente".

Non dovevano costruirla a filo della banchina


Alla domanda se è stata fatta giustizia la risposta di Antonio Morella è un nì: "Al primo processo (quello sul crollo che ha ucciso nove lavoratori ndr) sì. Al secondo processo (quello sulla costruzione della Torre a filo del mare in cui i giudici hanno prima condannato e poi assolto tutti gli imputati ndr), secondo me, invee, hanno capovolto tutto. Perché noi dicevamo che la torre sul lembo della banchina non doveva essere costruita e la commissione che approvò il progetto avrebbe dovuto riflettere, pensare. Si dovevano dire che la torre in quella situazione, in quel posto là, non poteva essere costruita. Se la torre fosse stata costruita 6-7 metri dentro la tragedia non succedeva".
Morella poi non risponde alla domanda delle domande, su quella nave, la Jolly Nero, che poi si è visto aveva molti problemi tecnici: "Io non posso parlare..." Conclude il papà, che poi viene consolato dal cappellano militare. E al religioso, nonostante la moglie gli stringesse l'avambraccio come a invitarlo a non parlare più, lui parla: "L'unico che ci è stato vicino in questi anni è lassù" dice alzando lo sguardo al cielo.

Le condanne del processo sul crollo

Il primo processo per il crollo si è concluso il 17 maggio 2017 quando il tribunale monocratico di Genova ha condannato a 10 anni il comandante della portacontainer Jolly Nero Paoloni, a otto anni e sette mesi il primo ufficiale della nave Lorenzo Repetto, a sette anni per il direttore di macchina Giammoro mentre al pilota Anfossi, grazie alle attenuanti generiche, venne condannato a quattro anni e due mesi. Olmetti, responsabile armamento per la compagnia Messina, vide invece cadere le accuse e condannato al pagamento di una sanzione amministrativa.


Il fratello di Cetrola: "Tanti ci ricordano che è fra noi" 

Dicevamo solo due famiglie si sono presentate a Molo Giano per le commemorazioni del dodicesimo anno dalla tragedia del 2013: la seconda famiglia è quella di Francesco Cetrola, 38 anni, di Santa Marina, in provincia di Salerno, rappresentata dal fratello Giuseppe, lì con una compagna, una coppia affranta come se la torre fosse crollata il giorno prima.

"E' sempre importante esserci - spiega a voce bassa Giuseppe a voce bassa -. Per noi e per rispetto per i colleghi che c'erano quando è avvenuta la tragedia e anche perché il ricordo va sempre perpetrato. Perché mancano tante famiglie delle vittime? Non so, ognuno avrà le sue ragioni. Da parte nostra ci sentiamo comunque seguiti dalla Capitaneria di Porto e dalle istituzioni locali. La cosa più bella che ci è rimasta di Francesco sono i ricordi nelle altre persone. Quando la gente ti parla di lui o ricorda momenti vissuti con lui. Ogni tanto mi capita che qualcuno mi viene a ricordare. A"h, con tuo fratello siamo stati là, abbiamo fatto questo". Quello secondo me è la cosa più bella che ci ha lasciato".

I giudici sono andati leggeri...

Sui due processi invece Giuseppe ha idee diverse: "Su primo riferito al crollo secondo me si poteva e si doveva fare di più. Il secondo processo sull'ubicazione della torre? No, quello no. Non credo che sia stata rilevante l'ubicazione. Ma sul primo processo sul crollo provocato dalla nave sono andati un po' leggeri e chi ha pagato magari non è quello più colpevole. La compagnia, i comandanti e chi prendeva le decisioni, certo le responsabilità non sono dell'ultimo macchinista che esegue un ordine".

 

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