Cronaca

Il leader della tifoseria rossoblu in aula: "Mai violenze, solo contestazioni", e ricorda "mi rimane il rammarico del drone che volevo fare volare su Marassi per dire a Preziosi di andare via"
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GENOVA - "Io non sono capo di nessuno, Preziosi non mi piaceva ma non ho fatto estorsioni nei suoi confronti, né altre violenze".

L'ha detto in due ore di dichiarazioni spontanee Massimo Leopizzi storico leader degli ultrà del Genoa a processo con altri tifosi per presunte estorsioni alla società rossoblu dell'era Preziosi.

Il suo racconto è iniziato ribadendo che il suo ruolo nella tifoseria l'ha conquistato sul campo senza mai imporre niente, affermando che le decisioni le prendevamo insieme, in modo democratico nelle assemblee, per alzata di mano, le cose si decidono in maniera più democratica che a Montecitorio”.

Leopizzi ha parlato anche dei rapporti con le forze dell'ordine: "Grazie al nostro rapporto con i poliziotti siamo state figure di garanzia dentro lo stadio".

Per i magistrati Vona e Rombolà i dirigenti del Genoa sono stati costretti a pagare per evitare disordini e contestazioni
Le dichiarazioni di Leopizzi sono state interrotte più volte dal giudice Riccardo Crucioli che lo ha messo sull'avviso dicendogli che poteva dire quello che voleva ma che "noi giudici conosciamo le carte dell'indagine".

Leopizzi ha sottolineato che per telefono si dicono tante sciocchezze e parlato anche della “Sicurart", la società specializzata in sicurezza allo stadio, di cui lui sarebbe stato un socio occulto. Precisando: “Gli unici interessi che avevo erano legati all'amministratrice della società, mia compagna per 9 anni”.

L'ultrà ha sminuito l’episodio del 2016 quando i tifosi invasero il campo d'allenamento di Pegli pretendendo di parlare da soli con i giocatori senza la presenza di mister Gasperini, definito "un leader che non avrebbe accettato critiche".
"Ci fu solo una discussione. Se avessimo voluto saremmo arrivati con i volti coperti, le torce e sfasciato tutto”.

Leopizzi ha raccontato anche del suo drone sequestrato dalla polizia sul monte Fasce nel 2005 che voleva fare volare sullo stadio con uno striscione per invitare Preziosi ad andarsene, "sarebbe stata una figata pazzesca. E' stata la mia grande incompiuta. L’avevo pagato 600 euro e non me lo hanno più ridato".

Alludendo alle sue precarie condizioni fisiche l'ultrà ha concluso dicendo non avere motivi di mentire nè essere preoccupato per la sentenza: "Morirò prima della cassazione".

 

 

 

 

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