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Mattarella voleva fare altro, invece lo hanno inchiodato alla sedia di Presidente: i grandi elettori non volevano perdere le loro, di "careghe"
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Un vecchio adagio popolare recita: "Can che abbaia non morde". Ecco, i politici liguri mi sembrano, con tutto il rispetto, esattamente come quel cane. Nell'immediatezza del voto a favore di Sergio Mattarella per rinnovargli il mandato da Presidente della Repubblica, da Lega e Fratelli d'Italia è stato tutto un fiorire di dichiarazioni ostili al governatore Giovanni Toti, fino alla possibilità che la sua amministrazione regionale ligure venga messa pesantemente in discussione. Così come si ridiscute la candidatura del sindaco Peracchini a Spezia, mentre la Lega convoca i suoi vertici per dare battaglia al "traditore". Il quale, invece,  qualifica tutto come "parole pronunciate in trance agonistica". E, comunque, rifiuta l'etichetta di "congiurato" per non aver votato Alberta Casellati.

Ora, purtroppo ho perduto i capelli e i pochissimi rimasti sono bianchi. Voglio dire che ne ho viste tante e l'esperienza mi dice che in storie come questa alle parole di fuoco molto raramente seguono i fatti. Per carità, dispetti, ripicche, veti incrociati, in alcuni casi vere e proprie rese dei conti non mancheranno. Ma sarebbe la prima volta in cui degli assessori mollerebbero la poltrona per questioni di principio. Oltretutto in arrivo da Roma.

Infatti, diciamoci la verità: se il centrodestra genovese e ligure fosse dovuto implodere le occasioni le avrebbe avute ben prima del voto per il Colle. La Lega ne ha dette di cotte e di crude su Toti, Fratelli d'Italia ha fatto lo stesso, il governatore per contro non si è risparmiato, hanno litigato tutti con Marco Bucci, uomo forte in vista delle amministrative di primavera, e il sindaco di Genova a sua volta non si è fatto mancare il gusto di più stilettate. Ma una cosa è litigare, altro mettere a rischio le alleanze, gli assessorati, il potere che deriva dallo stare in maggioranza. Nel centrosinistra le cose sono analoghe: fra litigi, distinguo e prese di posizione, ancora non c'è il candidato per le comunali di Genova. Tutto dire.

Il quadro nazionale non fa differenza. Prima dell'elezione per il Quirinale, lo scenario era questo: Cinque Stelle divisi fra il "presunto" capo Giuseppe Conte e il capo "ombra" Luigi Di Maio; Pd separato fra più correnti, soprattutto gli uomini del segretario Enrico Letta contro quelli del ministro Dario Franceschini (più quelli del ligure Andrea Orlando); Lega in balia delle onde nella versione Matteo Salvini versus Giancarlo Giorgetti e viceversa; Fratelli d'Italia tenuti saldamente uniti da Giorgia Meloni, ma contro la Lega di Salvini; Forza Italia frazionata al suo interno e contro ogni alleato di centrodestra che ancora facesse ombra al "re" Silvio Berlusconi, compreso il Toti di Coraggio Italia, in cammino di avvicinamento verso Matteo Renzi e la sua Italia Viva, di cui fa parte la ligure Raffaella Paita.

Se adesso qualcuno vuole raccontarci che tutte queste divisioni sono state provocate dai giochi intorno al Colle è padrone di farlo, ma non può avere la pretesa di essere anche creduto. Al massimo, il voto per il Quirinale ha acuito i malesseri e ci saranno senza dubbio degli scossoni, sia sul governo sia sulle amministrazioni locali. Ci saranno anche delle rese di conti cruente all'interno delle coalizioni e dei partiti, ma nessuno rinuncerà nè a ministeri nè ad assessorati. Perché le campagne elettorali incombono: prima quelle per alcuni grandi Comuni, come Genova, poi le politiche del 2023. Voglio vederlo un partito che va alla guerra del voto senza ministri e/o assessori!

Difatti, Mattarella voleva fare altro, invece lo hanno inchiodato alla sedia di Presidente: i grandi elettori non volevano perdere le loro, di "careghe". Con relative retribuzioni e annessi contributi! Del resto, questo è il Paese del Gattopardo, dove tutto deve cambiare affinché nulla cambi. Stavolta, anzi, si è presa una scorciatoia: non è stata fatta neanche la fatica di cambiare qualcosa. C'è chi dice che, in realtà, il paradigma è stato rovesciato: non si è cambiato niente, ma tutto è cambiato. Sarebbe vero se vedessimo andare a casa ministri e/o assessori. Scommettiamo che non sarà così? Poi, però, nessuno si lamenti se alle amministrative e alle politiche il partito dell'astensione farà nuovi record.

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