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Puntualmente come avviene da quando Nilla Pizzi, con “Grazie dei fior” di Panzeri e Testoni vinse il primo Festival di Sanremo, il giorno prima della chiusura della manifestazione canora, spunta la minaccia (o la speranza, dipende dai punti di vista) che la auto-celebrazione della Raitivvù di Stato sia spostata da Sanremo ad altra destinazione da individuarsi in Italia, a seconda delle offerte economiche che vengono fatte.

Francamente non capisco come funzioni finanziariamente il complesso meccanismo del Festival della Canzone italiana perché non mi interessa minimamente. Il Festival lo seguicchio leggendo e alzando gli occhi quando qualcosa mi interessa: sia il pregnante comizio politico di un rapper di Valmontone, come l’elegante distruzione di un giardino fiorito di rose di riviera da parte di uno vestito come l’Arcangelo Gabriele (e mi scusi l’arcangelo), o la lettura da parte di Amadeus dell’appello di un leader europeo con molti drammatici problemi, o il testo di una canzone che si capisce e soprattutto, quando c’è, la musica. Credo che sia una operazione molto importante per l’Italia se è vero che per una settimana e oltre conquista la prima pagina di tutti i quotidiani italiani, soffiando colonne alle bombe mortali sul Donbas e alle macerie che hanno cancellato popoli interi della Turchia e della Siria. Per fortuna, questo sì, toglie colonne al dibattito all’interno del povero Pd e alle uscite, quelle sì davvero esilaranti, dei consiglieri della Giorgia, meschinetta…, che di pomeriggio è alle prese con le bizze di “grandeur” appassita del collega Macron e la mattina deve difendersi dalle “belinate” dei suoi uomini con il gusto del “travestì” nazista.  Queste sì, davvero pericolose per la Giorgia che per davvero si fa il mazzo.

Per farla breve, ieri hanno scritto che qualcuno vorrebbe traslocare il Festival di Sanremo a Milano: più soldi, più interessi pubblicitari, più tutto, perché Milan l’è un gran Milan. Niente di nuovo sotto il sole.
Non allarmatevi Toti e colleghi! Lasciate pure che i lombardi sfoghino i loro sacrosanti desideri. Pensate a che festival sarebbe col trasloco dal mare alla piana: intanto non gli lascerei sfruttare il nome del santo, perché Remo è nostro, ligure fino al midollo (Remo da Roemu, in realtà, Romolo… leggo), oppure “trattasi di asta sagomata resistente e leggera”, o appunto del fratello di Romolo quello più noto di Roma. Là in Padania diventerebbe Festival di Santambrogio, al posto dei fiori delle serre rivierasche guarnirebbero il palco con squisiti fagioli di Gambolò o prelibati asparagi di Ciravegna, che presi a calci da chicchessia non rendono televisivamente quanto le “corbeilles”, ma soprattutto sarebbero romanticamente avvolti in una confortante nebbia, più annebbiante anche della cannabis argomento di testi canori come ai bei tempi lo era l’amor. Per il collegamento marittimo, nell’edizione di quest’anno con la nave Costa Smeralda, risolverebbero con un palcoscenico su un barcone galleggiante sul Naviglio della Martesana con possibilità di tuffo a suo (del tuffante) rischio e pericolo.

Ahimé amici, Sanremo è Sanremo, la canzone (che bello quando esisteva la canzonetta al posto di questi proclami socio-politici) è cresciuta all’Ariston, magari un po’ angusto, ma glorioso. Lasciatecelo il Festivallo (come lo chiamerebbe Lastrico), magari un filo più corto per avere qualche ora di sonno in più. Semmai amici di Milano e dintorni, preoccupatevi di come arrivarci da Milano a Sanremo, evitando le autostrade liguri. Magari via mare o facendovi scaricare da un pallone spia sovietico che, lui, il pallone, non corre il rischio di code e cambi di corsia.

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