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Sono sempre molto affascinato dalla macchina che si mette in moto ogni volta che in Liguria viene decretata un'allerta meteorologica: e credo di essere nella particolare posizione di poterla apprezzare in modo speciale, visto che da direttore di Primocanale ho il compito di organizzare gli uomini e i mezzi della nostra azienda per seguire al meglio gli eventi per raccontarli alla popolazione.

Si parla spesso di 'casta politica' e si usa per essa un tono di profondo disprezzo: e se è certamente vero che alcuni ruoli elettivi dello Stato sono molto ben retribuiti a fronte di impegni e responsabilità minime, è vero anche che in Italia vi è un esercito di amministratori locali che ama profondamente il suo territorio e vi profonde ogni stilla della propria energia.

I piccoli comuni, in particolare, sono un vero esempio di abnegazione: Sindaci part time, comunemente costretti a occupazioni extra amministrative per mettere assieme pranzo e cena, che dimenticano ogni personalismo per gettarsi anima e corpo nel lavoro di protezione dei propri concittadini. Li chiami nel cuore della notte e poi di nuovo all'alba e a mezzogiorno e sono sempre li, sul pezzo. 

Vigili urbani e operai di municipi microscopici, in cui organizzare una turnazione è impossibile, visto l'esiguo numero di addetti.

E poi plotoni di volontari di protezione civile, spesso giovani ed entusiasti, che in cambio di un plauso, di una pacca sulle spalle o più intimamente della possibilità di sentirsi utili per la loro comunità, lavorano ore e ore senza sosta, correndo pericoli.

E' un Italia bellissima e generosa, così lontana dal cliché di Paese arruffone e furbetto. E' questa l'Italia che vigila con passione sul nostro fragile territorio, è questa l'Italia che dopo la prima allerta meteo della stagione sento il dovere di celebrare e ringraziare.

 

 Nelle ultime due tornate elettorali, Alberto Biancheri ha vinto le comunali di Sanremo anche per merito di liste nelle quali comparivano personaggi dichiaratamente del centrodestra. Il sindaco della città dei fiori, che per legge non può ricandidarsi perché sta esaurendo il secondo mandato, credo si possa definire il più civico dei civici, avendo sempre rivendicato la propria indipendenza dai partiti. Anche se i partiti sono stati nella sua maggioranza.

 

Biancheri è, almeno secondo la mia visione, la conferma della regola. A Sanremo almeno il 60 per cento degli elettori si professa di centrodestra, ma poi accade che il centrodestra non vinca. Il motivo? I voti li prendono i leader e i personaggi a supporto, che nominalmente fanno i portatori d’acqua ma che sanno ottenere il consenso dei cittadini. 

 

Lo dico perché in questi giorni si fa un gran parlare di civismo politico contrapposto ai partiti. A scatenare la bagarre, che peraltro covava sotto la cenere, è stato il governatore ligure Giovanni Toti, secondo il quale, appunto, bisognerebbe unire tutte le esperienze civiche che percorrono la regione e che sono riconducibili al centrodestra. Toti è scaltro: prova a mettersi a capo di un movimento molto forte e, allo stesso tempo, si propone di tenere insieme le forze di centrodestra, segnatamente Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Tutto con l’obiettivo possibile di tentare un terzo mandato da presidente della Regione.

 

La benedizione immediata di Claudio Scajola, sindaco di Imperia e peraltro non nuovo a considerazioni a favore di Toti, ha un suo valore intrinseco. Perché lui sul civismo ci ha costruito la schiacciante vittoria al primo turno alle elezioni di Imperia appena cento giorni fa. Tuttavia bisognerebbe mettersi d’accordo su che cosa si intende per civismo. Distanza dai partiti e mani libere da essi è il refrain più ricorrente.

 

Bene, benissimo. Però a cominciare da Scajola, per arrivare a tutte le altre esperienze simili in Liguria, di centrodestra ma anche di centrosinistra (vedi alla voce Savona), la verità è semplicemente questa: siamo di fronte a persone che per le più svariate ragioni non stanno in un partito, però sono politicamente riconoscibilissime e in un partito nella stragrande maggioranza ci sono stati.

 

Dunque, la vera differenza non la fa la non adesione a una parrocchia partitica. No, ciò che conta agli occhi dell’elettorato sono in primis il leader e poi le persone che costui sa mobilitare in una lista a proprio sostegno. Così si spiegano le doppie vittorie di Biancheri e Scajola, così si spiega il successo di Francesco Solinas a Sestri Levante (sostenuto dal consigliere regionale di Forza Italia Claudio Muzio), così può dire di aver vinto sul versante del centrosinistra Marco Russo a Savona. Sono tutti dei leader: qualcuno può negarlo?

 

Del resto, come si spiegherebbe che con solo un paio di iniziative l’ex governatore ligure del Pd Claudio Burlando abbia subito fatto riparlare di sé, impegnando noi giornalisti, e non solo, a immaginare quale incarico potrebbe assumere a beve? Il problema è che dove Burlando, da leader vero e consumato (è stato pure ministro), riesce in un amen, gli altri faticano maledettamente. A cominciare da dentro il suo stesso partito, dove non c’è una questione legata alla concorrenza dei civici, ma semplicemente quella di non avere dei leader capaci di parlare agli elettori. E‘ questo che vale per tutti. Ed è così che nasce il civismo un po’ “peloso” di questa fase.

A Radrizzani e Manfredi possiamo e dobbiamo solo dire grazie, per aver liberato la Sampdoria da un incubo e aver aperto nuovi scenari (e non è un caso che l’avvocato di Ferrero non abbia opposto reclamo all’ordinanza che respingeva il ricorso al tribunale di Genova). A Legrottaglie, Mancini jr & C diciamo grazie per l’impegno. Ma è lecito nutrire dubbi, perplessità e preoccupazioni su quanto realizzato (o è stato possibile realizzare) fin qui in sede di mercato. Dubbi che non ho solo io, ma anche - sono convinto - buona parte dei 18mila e fischia che hanno dato fiducia alla nuova Sampdoria abbonandosi e di molti altri tifosi.

Il tutto, sia chiaro, con la premessa che la A quest’anno è il traguardo massimo e non l’obiettivo da centrare a tutti i costi. I tifosi, e il sottoscritto, sanno benissimo che sulla strada i nuovi dirigenti e operatori di mercato hanno trovato ostacoli, vincoli del piano di ristrutturazione, sanno cos’è il salary cap. Ma le domande continuano a ronzare.

La Samp aveva una base di partenza eccezionale per la B: due portieri in grado di fare la differenza. Ne ha perso uno in prestito e uno per poche - semplifichiamo - lire. Davvero non si poteva convincere Falcone a restare? Magari in cambio della promessa che, in caso di mancata promozione, sarebbe stato libero di cercarsi la soluzione più gradita fra 10 mesi. Non facile, magari, ma fattibile sì. Il tutto, ovviamente, senza gettare la croce su Stankovic 2, ma, nel ruolo l’esperienza conta, eccome. Gabbiadini, invece, è stato regalato. E Leris è andato via sottoprezzo, come appunto Falcone.
Le obiezioni le conosciamo: lacci, paletti e vincoli. E anche ambizioni personali, forse qualche bizza. Ma il tarlo rode: si poteva fare di meglio?
A oggi manca il telaio, il famoso asse portante portiere affidabile-difensore forte-centrocampista leader-attaccante centrale da 15 gol nel campionato di riferimento, nel caso la B. Forse di questo poker l’unica carta in mano è il centrocampista, cioè Ricci.

Mancano pochi giorni alla chiusura del mercato (con appendice per gli svincolati). Coda è entrato e uscito dai radar, Verdi, una risorsa di classe in B, finirà al Como, Di Francesco è stato accostato alla Samp ma sembra ormai in orbita Palermo. Il tempo stringe. La partita col Pisa non va interpretata come serata sfortunata ma come campanello d’allarme. Sinceri auguri di buon lavoro a Legrottaglie & C. Ne hanno bisogno.

Chiusa l’epica stagione delle celebrazioni colombiane e della più importante trasformazione della città ricostruita del dopoguerra, la nostra generazione di cittadini osservatori e narratori della quotidianità spese moltissime parole sulla “visione” di Genova, chiedendo a politici e amministratori di tutti i partiti di individuare e indicare quale poteva essere il ruolo della nuova città, quella degli anni Duemila.

Passati dalle macerie alla città del cemento, poi dell’acciaio, poi del petrolio, poi dopo la crisi dell’acciaio del porto e dopo la crisi del porto la città della tecnologia e dei super e iper mercati, oggi con la stagione del centrodestra, ma soprattutto con l’”era Bucci” (perché diciamo la verità, il centrodestra che governa è Bucci e stop, piaccia o no) una “visione” o meglio una “vision” c’è. E’ un’ idea che poggia su alcune forti realizzazioni, ma vedremo o vedranno i nostri figli e nipoti se davvero tutto il mega disegno bucciano potrà realizzarsi. E come il sindaco riuscirà a conciliare le grandi opere con l’indispensabile “politica del rammendo” lanciata da Renzo Piano per le periferie. Impresa tutt’altro che semplice.

Genova oggi è una grande città portuale e sempre di più una interessante città turistica. Lo dicono tutti i numeri.

Gli industriali genovesi sono praticamente solo imprenditori portuali: armatori, crocieristici, riparatori navali, cantieristici, commerciali. Quindi è il porto che guida il disegno di Genova in ogni sua espressione: Genova deve pensare a come si muove, nel senso stretto della parola. Strade, autostrade, ferrovie. Argomento spesso tragico, in un’ area praticamente isolata dal resto del Paese soprattutto del Nord. Come si muove e muoverà anche al suo interno, pensando anche a chi si deve muovere a piedi. Alla fine del gioco è il porto che comanda Genova.

Poi viene il nuovo turismo. Questa bollente estate ha riempito Genova di turisti di ogni genere, nazionali, confinanti e anche giunti da molto lontano. Che a Genova cercano mare, luoghi, storia, arte e cultura. Ma anche una moderna accoglienza fatta di alberghi, ristoranti, musei, eventi, divertimento, negozi, cibo e tradizioni. La “vision” di Bucci è Porto e Turismo. Maxi-diga, tunnel, spostamento a mare, funivia porto-forti, ma anche porto antico e Waterfront di levante. Con un occhio attento alla tecnologia grazie all’Iit.

Chi sono i protagonisti di questa idea di città? Il sindaco e qualche suo vicinissimo collaboratore come il vicesindaco e pluri-assessore Picciocchi (indicato come probabile successore dell’attuale doge di Tursi). Con i soli industriali del porto, in senso lato. Infine, la Camera di Commercio che è stata sempre storicamente protagonista indispensabile nella costruzione delle prospettive.

Mi è venuta in mente la divertente e colta provocazione che fece una quarantina di anni fa uno dei più intelligenti assessori della allora sinistra, il comunista Franco Monteverde, quando scrisse un pamphlet su “Genova città-stato” sul modello tedesco, con una sua autonomia tutta particolare, dovuta proprio al fatto di essere una città-porto o un porto-città, a seconda dei punti di vista.

Individuata dunque la “città di Bucci” resta da vedere quale sarà la “città degli altri”, cioè di chi non è d’accordo con il sindaco, dei suoi avversari politici, cioè dell’opposizione, cioè della sinistra che galleggia tra Pd e Cinquestelle.

Fino a oggi questa “vision” non l’ha vista nessuno, fatta eccezione per frammentarie occasioni. Ora qualcosa forse si sta muovendo dopo la scelta del nuovo segretario regionale. E molto ci si attende anche dalla tournéé delle feste dell’Unità locali che sono sempre servite al partito e ai suoi dirigenti per raccogliere le idee del popolo della sinistra. Almeno era così, quando in conclusione a settembre si presentava il segretario del Pci in piazza della Vittoria (Palmiro Togliatti, Luigi Longo) e poi in piazzale Kennedy (Berlinguer, Natta, Occhetto) che disegnava la “visione” del Paese, quindi passava la parola al sindaco o presidente della Regione o al segretario locale che indicava anche la “visione” della città.

Così ora aspettiamo la “città del Pd” da confrontare con la “città di Bucci” per scegliere quale ci convince di più. Se la città-porto coniugata con quella turistica o un’altra “cosa”. La sinistra è stata storicamente esperta di “cose” alcune anche riuscite. Dunque restano pochi mesi considerando che, per farle queste “cose” in una Genova diversa, ci vogliono uomini o donne capaci, nuovi, popolari quanto serve, da candidare a Palazzo Tursi. Non domani. Ma oggi.

GENOVA - Ma civismo è una parolaccia o è oramai il termine con cui ragionare per parlare di politica e senza il quale di che stiamo preoccupandoci?

Quando si legge che anche il più esperto uomo politico pubblico, ancora in attività in Liguria, Claudio Scajola, sindaco quater di Imperia, presidente della Provincia, quattro volte ministro berlusconiano, esperto da cinquantacinque anni di ogni partito e forza politica, approva l'idea di mettere insieme ( attenzione non "federare") tutte le liste civiche dei sindaci e non solo in Liguria, allora mi viene qualche dubbio e qualche timore.

Se il civismo trionfa non solo nelle singole liste per le elezioni comunali allora vuol dire che la politica, per come l'abbiamo conosciuta dalla caduta del fascismo a oggi, è oramai alla canna del gas. Ce ne vuole un'altra che nessuno è in grado di costruire perché mancano i valori fondanti.

Per andare avanti, per governare, dal Comune di Roccacannuccia alle grandi capitali, alle Regioni, al Paese intero, oramai sono essenziali le liste civiche, federate, assemblate, attaccate con la colla o con il protagonismo di qualcuno.

Vuol dire che i partiti stanno tutti male, anzi malissimo, salvo l'eccezione meloniana. E allora si spiega perché la proposta Toti di "fare il gruppone civico" sia stata avversata fortemente dai partiti e da quel che resta di loro.

Dagli oggi vincenti, appunto, "Fratelli d'Italia", alla Lega in discesa, ma non come si pensava, a Forza Italia "vedova" inconsolabile del Cavaliere e aggrappata all'ipotesi PierSilvio (????), al Pd avvoltolato nella sua crisi nazionale, locale, alla sinistra in generale, di cui si fatica a trovare un contorno, al fantomatico Centro, diviso per due o per tre, ma di fatto inconcludente.

Ci penserà il "Ressemblement Republicain" di cui parla con un vezzo di francesismo buono, Claudio Scajola ,a sistemare questa crisi sistemica?

Non credo: sarebbe comunque l'esaltazione del civismo. E il civismo dove esiste, dove si è affermato? In quale paese del mondo, che ancora pratica un principio democratico e non sta scivolando verso l'abisso oligarchico o peggio, nelle dittature più o meno mascherate?

Di civismo parliamo solo in Italia, che è stata la culla dei partiti, della loro proliferazione dal 1945, fino al 1992 di Tangentopoli e della distruzione della Dc, del Psi, del Psdi, del Pri, del Pli, con la sola resistenza, mutante accidenti se mutante del Pci-Psd-Ds-Pd, poi con la ruota di scorta della Margherita e degli ex Popolari e della sinistra-sinistra della Rifondazione bertinottiana, capace, però, di far crollare un governo Prodi.

Il sistema italiano è diventato di fatto Bipolare, con la discesa in campo del Cavaliere. E da allora l'agonia dei partiti è diventata una lenta, inesorabile, inguaribile malattia.

Sono cambiate le leggi elettorali e dai relativi e continui parti, spesso molto dolorosi e mai cesarei ( una legge elettorale è stata perfino autodefinita “Porcellum”) è uscita, da una parte, l'elezione diretta dei sindaci. Che hanno prodotto il “partito dei sindaci”, che ha infine e un po' ovunque generato le liste civiche.......
E dall'altra parte è uscito il mostro delle altre leggi elettorali, per le quali oggi noi non votiamo più chi vogliamo scegliere, ma quello che vogliono i partiti e il sinedrio dei loro leader. Ovviamente alla Camera e al Senato, tra l'altro inutilmente e stupidamente "tagliati" nel numero dei seggi.

In questo alveo cosa si è esaltato? Da una parte il centralismo decisionale nelle liste elettorali e dall'altra il protagonismo personale che ha provocato la nascita delle esplosive leadership, poi abbastanza rapidamente tramontate.

Miti innalzati dentro i vecchi e i nuovi partiti e soprattutto nei nuovi movimenti come i 5 Stelle di Grillo.
Ecco allora Matteo Renzi, dall'apogeo del quasi 40 per cento europeo al 2,5 per cento di Italia Viva, ecco, appunto, il fenomeno Grillo e dei 5 Stelle, la politica dei vaffa fino e oltre al 30 per cento, Salvini della Lega diventata nazionale e non più solo padana, che chiede i pieni poteri a Ferragosto, fino a Conte, creato dal nulla da Di Maio e Company, che poi scompaiono...

Grandi salite e grandi discese, per non dire precipizi.

La politica dopo le sbornie del leaderismo oggi è così, costretta ad aggrapparsi al civismo, che è la morte dei partiti, perché grazie a questa formula, non si costruisce se non mediaticamente e sporadicamente, si recuperano figure in grado di correre a governare, si pesca in parte nella società civile, che è sempre più avara nell'offrire candidature tanto forti da stagliarsi nell'orizzonte confuso delle non scelte.

Non si costruisce più nulla, si "lancia" il supercandidato, l'ultimo che arriva e azzecca una mossa mediatica. Vedasi questo generale Vannacci e il suo autolibro, che a me ricorda tanto il camerata Catenacci di "Alto Gradimento", la trasmissione cult di Arbore Boncompagni.

Il crac dei partiti da una parte, il marasma delle non scelte con l'astensionismo galoppante, che certifica come il timbro di un ufficiale giudiziario, il risultato di quel distacco, sempre più netto, sempre più sopportato dai residui di un sistema.

Si restringe la base elettorale ed ecco allora la possibilità di affermarsi, sempre di più per i meno attrezzati, i mediocri, gli ambiziosi, privi di formazione politica, carichi di esibizionismo, egocentrismo.
E chi potrebbe fornire una formazione politica, una scuola di partito o anche di movimento? Una piattaforma sul web, un corso on line?

Con il civismo tutto questo si supera, ma cosa resta della politica che conoscevamo e di quella che in qualche modo, modificandosi, deve esistere per mantenerci vivi in un mondo di guerre, sconvolgimenti, capovolgimenti geopolitici tanto forti che non riusciamo a seguirli?

Ma no, quella politica è finita da tempo e siamo noi che non ci rassegniamo.