GENOVA - "La questione è stata posta da più parti ed è un problema che esiste. Stiamo facendo un raffronto a livello europeo perché in un primo momento sembrava che l’Italia fosse l’unico paese ad aver attuato questa sentenza in modo adeguato, mentre altri paesi sembrava che facessero come prima. In questo modo si verificherebbe una penalizzazione dell’Italia, che al contrario ha dato un attuazione corretta della sentenza. Attualmente stiamo facendo accertamenti per vedere se è ancora così, perché se anche gli altri paesi si sono adeguati io credo che comunque il problema vada affrontato. E' già stato posto a livello europeo per chiedere l’uniformità di trattamento per tutti. Sono due le possibili strade: prima vedere chi si è adeguato, e fare un incontro fra i paesi che si sono adeguati. Abbiamo già fatto un incontro a marzo, ne faremo un altro per trovare soluzioni che non vadano nella direzione di creare disparità tra porti. Sarebbe un fatto inaccettabile".
Così il ministro degli Interni Luciana Lamorgese, arrivata a Genova per firmare un protocollo per la legalità riguardo ai lavori della nuova diga e del ribaltamento a mare di Fincantieri, in merito alla fuga dei mega yacht da Genova a causa di una interpretazione molto restrittiva dell’Italia di una sentenza della Corte di Giustizia europea che, a partire dall’agosto del 2020, considera i marittimi extracomunitari a bordo dei mega yacht come clandestini dopo 90 giorni, se arrivati a bordo via terra o in aereo.
Un danno per Genova e la provincia già quantificato in 46 milioni di euro da settembre del 2021 a novembre, con 800 posti di l’acoro a rischio, come affermato a Primocanale dal numero uno dei cantieri Amico, Alberto Amico. Altri paesi europei infatti non applicano questa sentenza quindi gli yacht vanno altrove a fare refitting.
Fuga mega yacht, Amico: "A rischio 800 posti di lavoro"-IL DANNO
La situazione è stata sollevata con forza dall'editore di Primocanale, Maurizio Rossi (LEGGI QUI).
IL COMMENTO
Grazie dei consigli, caro Principe
Il Pd ha i voti e i giovani forti, ma restano i “parrucconi”