Nulla di fatto anche per il secondo scrutinio per l'elezione del Capo dello Stato. Le schede bianche sono state, 527 ma con 39 preferenze il più votato è risultato l'attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ieri aveva ottenuto 16 consensi, insieme a Paolo Maddalena che ne guadagna 3 rispetto alla prima votazione. Al terzo posto Renzo Tondo (18), seguito dal deputato genovese Roberto Cassinelli (17), Ettore Rosato (14), Umberto Bossi (12) Giancarlo Giorgetti, Luigi Manconi e Marta Cartabia (8), Silvio Berlusconi e Giuseppe Moles (7) e Nicola Gratteri e Pierluigi Bersani (6). L'ex dc Generoso Serafino prende 5 voti come Pianasso. Fra gli altri poi, 4 voti vanno a Mario Draghi e a Marco Cappato ma anche al cantante Enrico Ruggeri. Sono tre le schede per Alberto Angela, Elisabetta Belloni e Maria Elisabetta Alberti Casellati così come per Francesco Rutelli. Due voti sono per lo scrittore Fulvio Abbate, animatore di "TeleDurruti" antesignana delle web-tv, e per Massimo Giletti come per Giuliano Amato, Antonio Razzi e Giulio Tremonti. Sono 38 le schede nulle, 125 i voti dispersi corrispondenti a moltissimi "illustri sconosciuti" che hanno rallentato l'operazione di conteggio dei voti: per ciascuno di essi, infatti, è stato necessario che gli uffici della Camera verificassero la sussistenza dei requisiti per l'elezione, ovvero più di 50 anni di età e la cittadinanza italiana e il pieno godimento dei diritti politici e civili. Tra i nomi votati ma non letti da Fico, secondo indiscrezioni ci sarebbero stati quelli di Rocco Siffredi e di Giovanni Rana.
UNA VITA DA MEDIANO - Sale quindi nelle preferenze Cassinelli, ieri 7 voti e oggi 17. "Si vede - scherza nell'immediato dopovoto - che gli amici crescono, è indubbiamente una bella soddisfazione ma io, per dirla con Ligabue, ho sempre fatto e continuerò a fare una... vita da mediano. E da mediano interista filo-genoano, due squadre accomunate da tante sofferenze sia pure a livelli diversi". Escludendo che la lunga marcia di Cassinelli segua la progressione dei numeri di Fibonacci, oppure della leggenda sull'origine del gioco degli scacchi e dei chicchi di grano chiesti dall'inventore al suo re, lo stesso deputato genovese di Forza Italia analizza la terna di nomi (Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio) proposti ufficialmente dal centrodestra. "Si tratta di tre personalità diverse tra loro ma tutte degne del ruolo per cui vengono indicate, ora tocca esprimersi al centrosinistra che non può soltanto porre veti su nomi non di sua appartenenza".
DALLA TERNA AL CONCLAVE - Nel pomeriggio, i capi del centrodestra avevano candidato ufficialmente una terna di nomi, proponendoli al centrosinistra: Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio. Ma dal fronte opposto è arrivata un secco stop: "Prendiamo atto della terna formulata dal centrodestra, che appare un passo avanti utile al dialogo. Pur rispettando le legittime scelte del centrodestra - recita la nota congiunta di PD, M5S e LEU - non riteniamo che su questi nomi possa svilupparsi quella larga condivisione in questo momento necessaria". Quindi Enrico Letta propone un conclave, che si spera non risulti rasentare l'esito di quello leggendario di Viterbo, durato 1006 giorni dal 1268 al 1271 per l'elezione di Gregorio X, quando la leggenda dice che il popolo esasperato aveva scoperchiato il tetto del palazzo dei cardinali per indurre i votanti a spicciarsi. "La proposta che facciamo - dice Letta - è quella di chiuderci dentro una stanza e buttiamo via le chiavi, pane e acqua, fino a quando arriviamo a una soluzione, domani è il giorno chiave".
LA SOLUZIONE DI TOTI - Giovanni Toti, cofondatore di Coraggio Italia e presidente della Regione Liguria, commenta: "Abbiamo proposto tre nomi, tutti e tre di centrodestra. Perché tre e non solo uno? Se ne avessimo presentato uno si poteva pensare di andare contro un muro. Direi che abbiamo presentato delle persone di spessore. Contiamo di arrivare alla quarta votazione di giovedì quando si abbasserà il quorum con una soluzione".
CARTA COPERTA - Nella rosa del centrodestra non comparivano esplicitamente i nomi di Maria Elisabetta Casellati e Antonio Tajani, come aveva specificato Matteo Salvini apertamente in conferenza stampa, per "tutelarli". Molti osservatori credono, o temono, che sia la Casellati la vera carta coperta del centrodestra. Ma Letta ha posto il veto anche sulla presidente del Senato e sull'ex presidente del Parlamento europeo. Tuttavia la Casellati potrebbe trovare consensi anche nel M5S, che nel 2018 era stato decisivo per eleggerla alla guida di Palazzo Madama nel 2018. Proporre il suo nome potrebbe essere considerato dal centrosinistra un segnale della volontà del centrodestra di imporre un suo nome. Come spiega Ignazio La Russa, veterano di FdI,"Noi del centrodestra non potevamo fare di più. Abbiamo presentato una terna di altissimo profilo. Abbiamo voluto anche allargare il campo proponendo Nordio, una personalità non inquadrabile in nessuna casella politica. Abbiamo messo sul tavolo pure l'ipotesi della Casellati, un alto profilo istituzionale come la seconda carica dello Stato. E alla sinistra non va bene nulla: perde il pelo ma non il vizio. Se hanno come obiettivo di continuare come se fosse ancora lei a decidere, non sappiamo cosa farci. A questo punto è la sinistra che mette in panne il percorso per eleggere il nuovo presidente della Repubblica: se non tocca a loro fare i nomi, vogliono farli lo stesso, o perlomeno non vogliono che siano gli altri a farlo. Insomma, da un lato bocciano i nostri nomi autorevolissimi e neanche prendono in considerazione l'ipotesi di un profilo istituzionale come la Casellati, dall'altro non sono in grado di formulare nessuna proposta comune come, invece, nel pomeriggio avevano pensato di fare".
(RI)SALE MATTARELLA - La coalizione guidata da Salvini deve infatti ora decidere se vuole portare avanti la linea del dialogo, praticabile però solo su Draghi, perché Mattarella è pur sempre un uomo prima della sinistra DC e poi dell'ala cattolica del PD e comunque da politico militante tra i più ostili al centrodestra e al suo leader storico. Sette anni fa infatti venne eletto al quarto scrutinio e con la seconda maggioranza più risicata di sempre, dopo una forzatura che ora il centrodestra potrebbe provare a replicare, cercando di portare a casa l'elezione di un proprio candidato, come Casellati, a maggioranza assoluta, alla quarta votazione, rompendo con il centrosinistra dopo aver intercettato voti presso Italia viva e parte dei 5 stelle. Voci incontrollate raccolte nel pomeriggio riferivano di una pressante campagna di reclutamento di esponenti leghisti verso i pesci piccoli pentastellati. Il PD teme questa svolta e per votare la Casellati porrebbe come condizione che il suo nome arrivi da un accordo complessivo firmato da tutti. Ma questo accordo è al momento impraticabile e la quarta votazione, come le probabili successive, sarà una tonnara.
PEONES IN SUBBUGLIO - Sia Salvini che Conte, infatti, su sponde opposte rassicurano i loro Grandi Elettori che Draghi verrà lasciato a Palazzo Chigi, ipotesi che scongiurerebbe crisi di governo e scioglimento che, dai peones a rischio pensione, sono visti come l'aglio dai vampiri. I grillini, infatti, sono quelli che hanno la delegazione parlamentare più a rischio riconferma in caso di voto e quindi sono i maggiori indiziati della crescita di consensi ( 16 alla prima chiama e ora 39) per Mattarella, una cui riconferma sarebbe sinonimo di stabilità e quindi di prosecuzione della legislatura fino al termine naturale. "Molti di quei voti sono nostri - assicura previo anonimato un esponente pentastellato - e al terzo scrutinio saranno molti di più". Ma la permanenza di un esponente PD non piace al centrodestra, che non ha certo in sé la maggioranza assoluta ma negli ultimi trent'anni non è mai stato così vicino alla possibilità di eleggere un esponente d'area.
RITMO STABILE - Mercoledì 26 la votazione inizierà alle 11: in molti peraltro chiedono una doppia votazione in giornata, da Matteo Renzi a Maurizio Lupi, sottolineando la necessità di dover chiudere al più presto, entro la settimana. In merito, la conferenza dei capigruppo dello scorso 13 gennaio aveva stabilito di norma una sola votazione al giorno, anche se non si era esclusa la possibilità di svolgerne una seconda, con uno spazio di almeno un'ora e mezza per sanificazione e ricambio d'aria tra uno scrutinio e un altro. Al momento, però, si conferma la linea di una sola votazione al giorno. Al seggio speciale, allestito nel parcheggio della Camera per i grandi elettori quarantenati, al secondo scrutinio hanno votato in 9, mentre alla prima chiama erano stati 11.
(in aggiornamento)
IL COMMENTO
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