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di Michele Varì

Martedì scorso, 29 luglio, attraversando in auto quasi l'intera Italia, da Battipaglia, in provincia di Salerno, a Genova, percorrendo oltre 800 km di Autostrada, dal profondo sud al nord, mi sono trovato più volte bloccato in coda, per il gran traffico (nei pressi di Firenze), per incidenti (a Roma e a Pisa), ma solo una volta sono stato stoppato a causa di lavori in corso in piena estate. Ovviamente è successo in Liguria, fra Sestri Levante e Lavagna, sulla dannata A12.

Una coda che fa infuriare: perché i rallentamenti per l'elevato numero di veicoli in viaggio si possono mettere in conto, come le code a causa di un incidente. Ma rimanere bloccato nel traffico per colpa di lavori aperti nei mesi da bollino rosso come luglio e agosto fa davvero molta rabbia.

Se poi succede in Liguria, è normale che la rabbia sia al quadrato, perché tutti noi sappiamo che i mille cantieri sul nodo autostradale di Genova sono stati aperti dopo la tragedia di Ponte Morandi del 14 agosto 2018, ben sette anni fa, costata la vita a 43 persone.
Lavori obbligati per mettere in sicurezza strade, gallerie e ponti per decenni dimenticati a causa delle logiche contestate dai magistrati alla gestione di Autostrade per l'Italia con la complicità del Ministero delle Infrastrutture e di altri enti che avrebbero omesso i controlli.

Questo è emerso dal processo per la tragedia del Morandi che vede alla sbarra 57 imputati (nel frattempo un indagato è deceduto): in aula nell'aprile del 2024 il colonnello della Finanza Ivan Bixio, che coordinò le indagini e a cui la Procura di Genova aveva delegato una relazione sui flussi dei dividendi distribuiti e sull’analisi dei costi per la manutenzione, rispondendo alle domande del pm Marco Airoldi, mostrò i grafici. Quello sui dividendi, disse il colonnello, oggi comandante della Finanza di Reggio Emilia, salì dai 516 milioni di euro del 2010 fino al picco del 2017, con oltre 2,5 miliardi. In totale nei sette anni presi in considerazione, esemplificò il detective, i dividendi ammontavano in totale a 7 miliardi e mezzo di euro.

Una montagna di denaro in parte derivata dai pedaggi che doveva essere investita per mettere in sicurezza viadotti e gallerie e che invece se la dividevano i soci di Aspi e di Atlantia, la holding dei Benetton. Tanto che dalla minuziosa ricostruzione della guardia di finanza e dei magistrati titolari delle indagini sul crollo del viadotto Polcevera i principali imputati in aula vennero tratteggiati come manager interessati solo a spartirsi i loro bilanci milionari, per garantire dividendi da nababbi ai Benetton e relegando in secondo piano la manutenzione delle strade.

E lì che nasce la beffa di ritrovarsi fermi in coda sulla A12 in un caldissimo giorno di esodo estivo di fine luglio ben sette anni dopo la tragedia del Polcevera.

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