Politica

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Il 24 gennaio, convocati dal presidente della Camera Roberto Fico, i 1009 grandi elettori si riuniranno a Montecitorio, pandemia permettendo, per eleggere il nuovo capo dello Stato. Nei primi tre scrutini serve la maggioranza dei due terzi, dal quarto basta la maggioranza assoluta.

Al voto del Parlamento in seduta comune partecipano deputati, senatori elettivi e a vita e tre delegati da ogni Regione: per prassi, i presidenti di Giunta e Consiglio e un esponente dell'opposizione. In Liguria sicuri i posti per Toti e Medusei, non pacifica l'attribuzione del posto costituzionalmente spettante alla minoranza: il capo dell'opposizione è l'ex candidato presidente Ferruccio Sansa, il capogruppo della più consistente forza di minoranza è Luca Garibaldi del Pd e sempre al Pd appartiene il vicepresidente del consiglio regionale Armando Sanna. Servirà una tempestiva votazione specifica dell'assemblea legislativa ligure.

Mai come stavolta i giochi sembrano aperti a ogni soluzione, per via della frammentazione estrema di un Parlamento in cui il M5S, la forza più consistente uscita dalle urne nel 2018, di fatto è una costellazione incontrollabile dai suoi stessi capi designati. Neppure giova a chiarezza la particolare situazione politica, con un governo mai così ampio e guidato da Draghi che però, se andasse come molti suggeriscono al Quirinale, potrebbe provocare fibrillazioni fatali sia per maggioranza che per legislatura. Mattarella si autoesclude ma lo fa - sembrerebbe - con troppo clamore, tanto più che una sua rielezione sarebbe il male minore per quasi tutti, specie per il Pd che dopo trent'anni non ha numeri tali da potersi autoattribuire il ruolo del mazziere. In scena è tornato Berlusconi, provocando l'inevitabile controspinta degli storici antipatizzanti, mentre non sembra casuale il riavvicinamento al PD di D'Alema che nel 2006 era stato bocciato dagli "amici" ancor prima che dai "nemici", un classico delle presidenziali fatale nel tempo già a Sforza, Merzagora, Fanfani, Andreotti, Forlani, Marini e Prodi con la famigerata "carica dei 101".

Cossiga nel 1985 e Ciampi nel 1992 vennero eletti al primo scrutinio, mentre nel 1972 erano servite 23 votazioni per designare Leone con il 51% dei suffragi. Il più votato fu invece il ligure Pertini nel 1978, con l'82% dei consensi. Nelle ultime due occasioni, rielezione di Napolitano a parte, il presidente è arrivato al quarto scrutinio su indicazione del centrosinistra a trazione PD: sul filo quella del Napolitano I, con 543 voti, non di molto più ampia la nomina di Mattarella con 665 suffragi.

Tra i protagonisti, non possono giocare in proprio - perché non ancora cinquantenni, come prescrive la Costituzione - Di Maio, Salvini, la Meloni e Renzi. Quest'ultimo, arrivato in Parlamento alla fine e non all'inizio della carriera dopo essere stato sindaco di un'ex capitale, segretario del partito di maggioranza e unico presidente del Consiglio più giovane di Mussolini, nel 2015 da palazzo Chigi aveva imposto Mattarella al prezzo di rompere con Berlusconi sul nome di Amato, oggi però tornato tra i candidati potenzialmente trasversali e anch'egli giudice costituzionale (dopo una vita politica e universitaria di altissimo livello) come l'attuale presidente.

L'impressione è che il capo di Italia Viva, che controlla alcune decine di parlamentari di un partito nato in Parlamento prima di proporsi agli elettori, costante storica della cosiddetta Seconda Repubblica mentre nella Prima si era registrato il solo esempio della scissione missina a metà degli anni Settanta, voglia e possa ritagliarsi un ruolo di regista anche stavolta. Di certo i voti di sua rispondenza, atti a formare proprio con quelli di Toti un pacchetto di mischia consistente in chiave moderata, saranno se compatti decisivi. Sette anni fa era circolato, con fondata insistenza, il nome di Roberta Pinotti, già assessore di SuperMarta a Palazzo Spinola finita a fare il ministro della Difesa e in tale veste apprezzatissima anche oltre Atlantico. Sarebbe stata la prima donna e il primo genovese, ma qualcuno ne riparla anche oggi. Tra il nome riemerso della Pinotti e il ruolo di Toti in asse con Renzi, insomma, la Liguria e Genova non faranno da spettatrici.

Destra e sinistra in aula partono come due minoranze, nessun presidente sarà eletto senza passare al centro. A meno di sorprese sempre possibili quando si vota per il Colle: trent'anni fa, a sbloccare drammaticamente lo stallo, era stato un uomo d'onore premendo un telecomando. Stavolta si vota sotto il segno del virus e le premesse non sono meno nebulose, tra manifestazioni di piazza pro e contro il Cav e la solita petizione per una donna, a più di mezzo secolo dal mandato di Golda Meir a Gerusalemme. Eugenio Fascetti diceva che le sue squadre praticavano il caos organizzato: i suoi giocatori non ci capivano niente e gli altri si adeguavano. Ma quando si gioca per il Colle è davvero un mondo adulto: e si sbaglia da professionisti.