"Pensavo fossimo arrivati al limite, invece scopriamo che oltre al peggio c'è sempre altro peggio, sembra di vivere un incubo. Qui ha rischiato l'Italia, hanno rishchiato migliaia di persone. Il fatto che vogliano dare la possibilità di continuare a lucrare dando la possibilità di costruire la gronda e di mantenere la concessione a queste persone, ancora. Mi chiedo qual è il limite che bisogna superare per arrivare a uno stop". Parole durissime, che fanno capire l'amarezza e il dolore di chi ha perso un caro nel crollo di ponte Morandi. Sono passato 32 mesi da quel giorno e Paola Vicini non smettere di lottare, il 14 agosto del 2018 ha perso il figlio Mirko travolto dalle tonnellate di cemento del viadotto Morandi sbriciolato. Le intercettazioni emerse fanno rabbrividire, uno scenario quello che si sta delineando che mette in evidenza tutto un quadro che sembra lasciare pochi dubbi sulle condizioni in cui era stato lasciato io viadotto sul Polcevera. "Il processo non è finito ma i capi di imputazione sono davvero tanti, con che coraggio si può affidare la possibilità di creare una infrastruttura (la gronda ndr) a coloro che sono indagati?, non capisco".
"Voi siete gli unici che ci state vicino, che fate emergere tante cose - spiega ancora Vicini -. In molti hanno paura dei tasti che si stanno toccando ora, molti vogliono sotterrare tante cose che prima o poi verranno fuori. Io ringrazio la procura, Cozzi nell'intervista che avete fatto ha parlato con il cuore, era una roulette russa".
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