Cultura e spettacolo

Il film di Paolo Virzì presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia
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A Roma non piove da tre anni e la siccità è diventata una questione politica, con i commentatori televisivi che mettono sul piatto le teorie più strampalate puntando il dito a destra e a manca. Il divario sociale è in aumento, con i ricchi che trovano un modo per aggirare la carenza d'acqua mentre altri muoiono di sete. Gli ospedali sono sovraccarichi di pazienti, molti dei quali soffrono di una letargia apparentemente legata alla marea di scarafaggi che ha invaso la città. In questo contesto apocalittico Paolo Virzì incrocia le vite di così tanti personaggi cui perfino Robert Altman faticherebbe a tenere testa.

C'è un detenuto che ha ucciso la moglie che si ritrova casualmente catapultato fuori prigione e decide di rintracciare la figlia che non vede da anni; un tassista che assume dosi massicce di cocaina per tenersi sveglio e parla alternativamente con i genitori morti e con un ex leader della sinistra che si è tolto la vita immaginando siano nella macchina insieme a lui; una dottoressa che scopriamo strada facendo essere l'ex del tassista e attuale moglie di un avvocato che non la ama e flirta con una vecchia compagna di scuola, a sua volta sposata con un attore teatrale disoccupato diventato video-blogger virale; un ex sarto di successo la cui carriera è finita in disgrazia; un esperto di idrologia che diventa star televisiva (qualcosa di simile a quanto accaduto ai virologi durante la pandemia); una star del cinema che incurante di tutto organizza feste a base di champagne nella sua casa esclusiva e altri ancora, molti dei quali sembrano avere tendenze psicopatiche. I destini di tutti questi personaggi si sovrappongono con effetti devastanti.

Dopo l'estate torrida che abbiamo vissuto 'Siccità' ha quasi la dimensione di un instant-movie, un melodramma che unisce ecologia e satira sociale i cui temi vanno dall'ambiente al modo in cui le persone affrontano una pandemia – dunque Covid e crisi climatica - proponendosi con tutta l'urgenza di un campanello d'allarme e di un inquietante avvertimento. Virzì non è estraneo a questo tipo di struttura cinematografica, basti pensare a 'Il capitale umano' dove intrecciava i destini di due famiglie. Qui i personaggi rappresentano diversi stati sociali consentendogli di affrontare ancora una volta temi come il capitalismo, il potere di un governo ipocrita ed elitario e una classe operaia costretta ad adattarsi a un mondo sempre più tecnologico.

Il limite è che mette troppa carne al fuoco - colpa, inganno, avidità, sopravvivenza e perdono - in una narrativa complessa ed eterogenea che finisce per richiedere molto tempo per essere risolta, inaridendosi proprio come la situazione che mostra. Rimangono insomma più domande di quelle poste all'inizio e le risposte non sono particolarmente chiare o soddisfacenti, vedi ad esempio una storia che si chiude con un atto di violenza grottesco, assurdo e del tutto illogico. Certo, è un film cui non manca la fantasia, con una vena cinica riconoscibile, ben messo in scena, un cast all star (Bellucci, Mastrandrea, Orlando, Tortora, Pandolfi), che fotografa una società disperatamente malata, aggravata da emergenze umanitarie e geopoliche e schiava di un malessere che attraversa allo stesso modo generazioni e gruppi sociali.