Cronaca

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Sale e arriva a quello apicale il livello degli imputati: oggi udienza interamente dedicata al difensore dell'ingegnere che avviò progetto mai realizzato di retrofittin: rischia una pena di 4 e 6 mesi
2 minuti e 47 secondi di lettura
di Michele Varì

Dopo gli imputati degli uffici periferici di Genova di Aspi e del Ministero sale il livello degli imputati che si difenderanno nella fase dedicata alle difese del processo per la tragedia del crollo del ponte Morandi: oggi parlerà il legale di Mario Bergamo, direttore centrale del settore Maintenance e Investimenti esercizio Aspi fra il 2015 e il 2016, il predecessore di Michele Donferri Mitelli. Bergamo rischia "solo" 4 anni e 6 mesi, il suo successore invece 15 anni e 6 mesi. Una differenza che dice tanto e renderà non impossibile il ruolo del suo avvocato difensore.

Bergamo ha sempre collaborato con gli inquirenti: in aula nel novembre di due anni fa raccontò come il crollo del Morandi ha rappresentato "il fallimento" dell'intera azienda, nel senso di Autostrade per l'Italia, ovvero il concessionario di tremila chilometri di rete italiana tra cui l'A10.

Fu proprio Bergamo ad avviare il retrofitting, il rinforzo delle pile 9 e 10. "Di Taddeo (un altro imputato, ndr) mi diede rassicurazioni in termini di sicurezza. Mi disse che in base alle riflettometriche emergeva un lento trend di degrado dei cavi ma il coefficiente di sicurezza era più che doppio rispetto a quello previsto dalla norma. Mi disse che il ponte aveva una riserva di sicurezza talmente elevata che non c'era nessuna preoccupazione o allarme. E lo confermò anche davanti a Castellucci".

In qualità di ex direttore centrale del settore Maintenance e Investimenti esercizio di Autostrade per soli due anni, Bergamo sulla base dei risultati dei monitoraggi condotti sul ponte nel 2015 si attivò per primo per segnalare la necessità urgente di consolidare il ponte e a dare impulso iniziale al progetto di retrofitting, il rinforzo strutturale delle pile 9 e 10. L'ingegnere lasciò Autostrade per l'Italia nell'aprile 2016 e dopo il crollo ha dichiarato ai pubblici ministeri di non sapere perché il progetto di rinforzo si fosse bloccato dopo la sua partenza.


Bergamo, che era stato chiamato a guidare il suo ufficio da Castellucci all’inizio del 2015, ha spiegato agli inquirenti anche degli attriti che ci furono con Paolo Berti (ex numero due di Aspi e anche lui imputato) che all’improvviso, dopo 4 mesi, venne messo sempre da Castellucci in una posizione intermedia sopra la sua, ponendolo tra lui e l’amministratore delegato. “Non abbiamo mai interagito in modo positivo perché avevamo due modi di operare diversi. Io facevo riunioni, esaminavo i problemi, lui mandava mail. Era un modo incompatibile con il mio percorso manageriale. È rimasto un mistero per me il motivo per cui venne scelto lui“.

Ci fu anche una discussione animata dopo una valutazione scarsa che Berti fece sull’operato di Bergamo, valutazione che incideva sui premi annuali agli stessi dirigenti. “Ci fu una riunione con lui, Castellucci e Giacardi e fu la terza volta in tutta la mia carriera in Aspi che Alzai la voce. Era una valutazione mortificante e irritante, per uno come me che aveva lavorato per tutto l’anno 12-13 ore al giorno”. Non era una questione di soldi, ha detto in aula l’imputato: “Per me era importante lavorare bene, non le remunerazioni. Io sono sempre stato con la schiena dritta in Aspi. Quando mi sono imposto ho ottenuto quello che serviva. Non ho mai dovuto accettare compromessi di nessun tipo”. Berti? “Era un ingegnere gestionale, veniva dalla direzione acquisti. A lui interessava risparmiare, anche se sul Polcevera non ha mai interferito sulle mi scelte di coinvolgere consulenti esterni”.

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