Cronaca

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A lanciare l'allarme sui social l'attivista Biancamaria Furci: "Diteci ancora che dobbiamo sentirci al sicuro a denunciare"
1 minuto e 49 secondi di lettura
di Aurora Bottino
Il gruppo Facebook

"Poliziotti. Militari. Medici. Dirigenti sanitari. Avvocati. Insegnanti. Docenti universitari". Ci sarebbero anche professionisti genovesi iscritti nel gruppo Facebook in cui si condivideva foto intime delle mogli senza il consenso. Il caso a livello nazionale è stato portato alla luce dall'organizzazione giovanile No justice no peace. E ora una denuncia social farebbe emergere l’aspetto locale: "Ho cercato gli uomini della mia città (Genova) iscritti al gruppo Facebook di scambio di foto e video nella stragrande maggioranza dei casi non consensuale di mogli e partner per ottenere un voto, un commento, per far eccitare altri uomini, per esporre in piazza la proprietà su queste donne" scrive sul suo profilo Instagram l'attivista Biancamaria Furci che con uno scrupoloso lavoro è riuscita a trovare i genovesi all'interno del gruppo.

"Diteci ancora che dobbiamo sentirci al sicuro a denunciare"

"Ho cercato solo quelli iscritti prima di ieri, visto che molte persone si stanno iscrivendo per poter commentare con indignazione. E chi ci ho trovato? Poliziotti. Militari. Medici. Dirigenti sanitari. Avvocati. Insegnanti. Docenti universitari. Diteci ancora che dobbiamo sentirci al sicuro a denunciare, a farci prendere in cura, a girare per strada, a studiare". Al testo allega gli screenshot dei lavori che le persone hanno selezionato compilando il profilo Facebook. C'è chi è stato impiegato al Ministero della Pubblica istruzione, c'è un ispettore capo di Polizia, c'è un altro poliziotto, un professore dell'Università e il direttore delle analisi di un noto ospedale cittadino. Al momento la polizia postale non ha ricevuto denunce o querele da Genova.

Gli utenti iscritti da prima che scoppiasse il caso

Dal momento della denuncia il gruppo Facebook, che si chiama 'Mia moglie', è stato riempito di commenti di persone indignate per la condivisione di foto intime. Ma queste persone risultano iscritti da prima del giorno in cui è scoppiato il caso. "Questa - scrive No justice no peace - è una palese forma di abuso, pornografia non consensuale e misoginia sistemica". L'invito è di segnalare "immediatamente il gruppo a Facebook. Chi partecipa a questo scempio - si legge nel post - è complice di un crimine".

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