Cronaca

Il gip valuterà la posizione di Anna Lucia Cecere, indagata per il delitto, e del datore di lavoro di Nada e la madre dello stesso, accusati di favoreggiamento. Fra le parti civili mamma, sorella e forse i due nipoti della vittima. Mistero su supertestimone
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GENOVA - Si svolgerà alle 9.30 di oggi, 15 febbraio, nell'aula del gip Angela Nutini al decimo piano del tribunale di Genova, l'udienza preliminare per l'omicidio di Nada Cella, la segretaria di 24 anni uccisa ben 28 anni fa, il 6 maggio del 1996 a Chiavari, nello studio dove lavorava. Un cold case riaperto clamorosamente nel 2021 grazie all'intuizione della criminologa barese Antonella Delfino Pesce.

A rischiare di finire sul banco degli imputati su richiesta del pm Gabriela Dotto sono l'ex insegnante Anna Lucia Cecere, accusata di omicidio aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi, il commercialista Marco Soracco, datore di lavoro della vittima, e la mamma dello stesso, la novantaduenne Marisa Bacchioni, invece indagati per favoreggiamento, accusati di avere protetto per tutti questi anni Cecere e non avere mai riferito, a detta dell'accusa, persino di averla vista nello studio di via Marsala all'ora del delitto.

Cecere, Soracco e Bacchioni, è trapelato ieri, come è nel loro diritto, non saranno in tribunale.

Cecere era stata indagata già nel 1996 per 5 bottoni rinvenuti dai carabinieri nel sua abitazione identici a quello sporco di sangue trovato nello studio teatro del delitto, ma poi era stata subito archiviata perché il magistrato di allora Filippo Gebbia non lo aveva comunicato alla polizia titolare della indagini. Il pm, contrariamente a tutti i dirigenti delle forze di polizia di allora, non è stato mai chiamato a spiegare il perché di quelle scelte apparse quanto mai premature e sbrigative. Scelte che hanno fatto vivere 28 anni di angoscia alla famiglia della vittima che ha atteso tutto questo tempo per avere notizie sulla possibile dinamica dell'omicidio e il nome di chi l'ha commesso. Inutile dire che condannare l'imputata, se il processo sarà svolto, a distanza di così tanti anni sarà molto complicato. Per ora l'accusa ha tanti indizi, ma nessuna prova schiacciante contro l'indagata.

Si è sperato a lungo di risolvere il giallo con il dna, il codice genetico: ma gli approfonditi esami svolti dopo il 2021 sui reperti dal super esperto romano Emiliano Giardina, genetista dell'Università di Tor Vergata, l'uomo che ha risolto il caso di Yara Gambirasio, non hanno permesso di trovare la prova regina utile ad incastrare l'assassino. 

Nei giorni scorsi si era sparsa la voce che fosse stata identificata la super testimone di cui si parla da tempo, la donna che fece la telefonata anonima giunta in casa Soracco il 9 maggio del 1996, tre giorni dopo il delitto,  che diceva di avere visto Anna Lucia Cecere la mattina della tragedia allontanarsi frettolosamente dal palazzo di via Marsala in scooter: sarebbe stata la prova che potrebbe incastrare l'indagata.  La verità, se esiste questa carta a sorpresa, si saprà solo stamane visto il riserbo degli inquirenti.

Nei giorni scorsi la cugina di Nada, Silvia Cella, ha lanciato l'ennesimo appello su Fb affinché chi sa qualcosa su quella telefonata parli, si rivolga alla polizia. Qualcuno avrebbe risposto all'appello.


Il particolare dei bottoni rinvenuti in casa di Cecere è stato scoperto tre anni fa dalla criminologa Delfino Pesce ed è stato determinante per riaprire il caso: Cecere, assistita dall'avvocato Gianni Roffo di Chiavari, sarebbe stata vista da più testimoni la mattina del delitto davanti al palazzo di via Marsala (dove si è consumata la tragedia), e indicata come l'assassina anche da alcune telefonate anonime, fra cui una a Marisa Bacchioni, la mamma di Soracco, che, però come il figlio, a dire degli inquirenti avrebbe sempre protetto Cecere. Il commercialista, difeso dall'avvocato Andrea Vernazza, però ha sempre negato, affermando di conoscere solo superficialmente Cecere. La madre inoltre, dicono i poliziotti della squadra mobile, avrebbe riferito dei suoi sospetti nel confessionale a un frate di Chiavari ma non ai poliziotti.

Parti civili al processo saranno, assistite dall'avvocato Sabrina Franzone, la mamma della vittima, Silvana Smaniotto, e la sorella maggiore di Nada, Daniela Cella, quest'ultima - residente  a Milano - nei giorni scorsi ha riferito a Primocanale che fra le parti civili potrebbero esserci, anche se nati dopo il delitto, anche i due sue figli, due ventenni che l'assassino/a ha privato della zia.

Daniela Cella ha ammesso anche vorrebbe vedere in viso gli inquirenti che nel 1996 commisero errori così gravi, e il pensiero non può che andare fra gli altri al pm che archiviò e fece uscire dalle indagini la potenziale assassina dopo soli pochi giorni di indagini e senza prima approfondire gli accertamenti sul suo conto. A Cecere non venne chiesto neppure dove si trovasse all'ora del delitto. Una domanda posta solo dopo la seconda inscrizione sul registro degli indagati, dopo il 2021. L'indagata, che ora abita con il marito a Boves, in provincia di Cuneo, ma allora viveva a Chiavari, in corso Dante, a pochi metri da via Marsala dove avvenne il delitto, avrebbe detto che quel lunedì 6 maggio del 1996 si trovava a lavorare nell'abitazione di un dentista di Sestri Levante dove svolgeva le pulizie, fornendo anche il contratto di lavoro, che lei ha sempre conservato. Alibi però a così tanto tempo di distanza non facile da verificare: il medico non ricorda se la donna il 6 maggio del 1996 fosse andata a lavorare, per gli agenti però la donna avrebbe avuto il tempo di uccidere Nada e poi raggiungere il luogo di lavoro in scooter.
 
Daniele Cella ha ipotizzato che "se si fosse trovato l'assassino nel 1996 forse mio papà non sarebbe morto di crepacuore".  Bruno Cella, il padre delle due sorelle, un falegname in pensione, alcuni anni dopo il delitto, fu stato stroncato da un malore in auto mentre transitava in auto davanti all'ingresso del cimitero di Rezzoaglio, paesino della Val d'Aveto dove è seppellita Nada. L'uomo per chiedere giustizia per mesi dopo il delitto ogni mattina si recava nel tribunale di Chiavari e si sedeva restando in silenzio davanti all'ufficio del pm Gebbia.

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