GENOVA - Ore di trepida attesa in tribunale per la comunicazione ufficiale degli accertamenti svolti dal genetista di Roma Emiliano Giardina che potrebbe risolvere l'omicidio di Nada Cella, la segretaria uccisa il 6 maggio del 1996 nello studio di Chiavari dove lavorava. I risultati sono stati consegnati alla fine della scorsa settimana al magistrato titolare dell'indagine-bis aperta nel 2021, il sostituto procuratore Gabriella Dotto, che in mattina dopo avere letto l'esito incontrerà il procuratore Nicola Piacente.
Alcune indiscrezioni trapelate porterebbero a ipotizzare che la comparazione dell'esame del dna sui reperti rinvenuti sulla scena del delitto e dell'indagata Anna Lucia Cecere non risolverebbe in modo definitivo il giallo, o meglio ci sarebbero dei punti che condurrebbero alla sospettata, ma forse non tali da escludere un errore o comunque una contestazione "scientifica" da parte dei periti della difesa.
Insomma è probabile - salvo sorprese - neanche il dna risolverà questo "cold case" riaperto dopo quasi trent'anni dai poliziotti della squadra mobile grazie a un particolare rinvenuto dalla criminologa barese Antonelle Delfino Pesce capace di scovare fra migliaia di carte dell'inchiesta un particolare che era sfuggito all'allora magistrato di Chiavari titolare delle indagini Filippo Gebbia: i carabinieri dopo il delitto avevano sequestrato in casa di Cecere - nel '96 indagata e sbrigativamente archiviata dal pm - bottoni identici a quello rinvenuto sulla scena del delitto (l'ufficio del commercialista Marco Soracco), dai poliziotti della squadra mobile, che però appresero del particolare solo a distanza di 25 anni, proprio grazie alla criminologa Delfino Pesce.
Il pm però potrebbe lo stesso rinviare a giudizio per omicidio volontario l'imputata grazie a una serie di nuovi indizi, forse prove -rinvenuti dagli agenti della sezione reati contro la persona della squadra mobile.
L'esperto in Dna Giardina a cui è stata affidata la perizia genetica avrebbe dovuto chiudere le indagini un anno fa, ma di proroga in proroga è arrivato sino a quasi due anni di accertamenti.
Anna Lucia Cecere è oggi l'unica persona sospettata e iscritta sul registro degli indagati per la seconda volta per il delitto, una ex insegnante che abitava vicino allo studio di via Marsala teatro del delitto e che subito dopo il l'omicidio si è rifatta una vita lontano dal Tigullio, in Piemonte, a Boves (Cuneo): la donna, assistita dall'avvocato Giovanni Roffo, ai poliziotti che l'hanno convocata per il prelievo del Dna ha negato di avere ucciso la segretaria negando anche l'altra illazione che lei volesse prendere il posto di Nada nell'ufficio e nel cuore del commercialista titolare dello studio dove lavorava la vittima. Soracco ha sempre smentito le voci che dicevano che si era invaghito della segretaria.
Ad indicare una donna che il giorno del delitto si era allontanata sporca di sangue dal palazzo di via Marsala come possibile assassino di Nada erano state anche due telefonate anonime inviate in uno studio di un avvocato di Chiavari e a casa di Soracco, il primo a finire sul registro degli indagati per il delitto, anche lui poi archiviato e alla riapertura del caso di nuovo indagato, stavolta per favoreggiamento, perché a detta della squadra mobile avrebbe negato il suo rapporto stretto con Cecere. Due telefonate anonime inviate da due donne forse ormai decedute che non sono mai state identificate.
Appesa a questo stillicidio di notizie è Silvana Smaniotto, la mamma di Nada Cella, che nella sua casa di Chiavari ormai vedova (il marito fu stroncato da un infarto proprio davanti al cimitero dove è sepolta Nada) aspetta, con il conforto del suo legale Sabrina Franzone e della stessa criminologa Delfino Pesce, in questi due anni diventata una sua amica, di conoscere il nome di chi ha ucciso sua figlia.
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