GENOVA -"Al Cep ci si sente abbandonati, qui la gente si chiude e fatica a unirsi, perché manca tutto".
A parlare è don Giorgio Rusca, parroco della chiesa Maria Madre del Buon Consiglio di via Cravasco. Una strada a due passi dal lungomare, assai più vicina al resto del mondo e vivibile rispetto a via Novella, via delle Benedicta e via Due Dicembre, gli alveari della collina del Cep.
Don Giorgio, che non accetta di essere definito un prete di frontiere, "meglio dire dire il prete di una comunità in difficoltà", poi aggiunge: "Qui non c'è un medico di base e neanche un supermercato, ci sono solo una farmacia, un panificio e un ufficio postale aperto ogni tanto".
Originario di Voltri, per don Giorgio dopo un'esperienza in un altro quartiere difficile come Certosa tornare nel ponente è stato come tornare a casa. E dopo otto anni in via Cravasco può già stilare il primo bilancio: "Qui ci si rende e ci sente utili, ci arrivano tante richieste di aiuto, ogni mese consegniamo 120 pacchi alle famiglie in difficoltà che non sono aumentate solo perchè sono sempre state molte".
Ma per il prete in tanto buio c'è anche una luce di speranza, "la speranza sono le attività dell'area della Pianacci, per i ragazzi e per gli anziani, la possibilità di fare attività sportiva, e poi la biblioteca".
Aldilà delle carenze sociali e i problemi legati dall'urbanistica fatta di alloggi popolari per don Giorgio ad acuire i disagi, soprattutto per i più giovani, è anche l'abuso di tecnologie, l'uso dei social e del telefonino: "Che contribuiscono a isolare le persone che quando camminano invece di guardare le altre persone stanno con la testa in giù, così diventa tutto più difficile".
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