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3 minuti e 57 secondi di lettura
di Franco Manzitti

Dove dovrebbero andarsi a conficcare, prima la spada e poi la lancia di San Giorgio, oggi in pieno terzo Millennio, quasi mille anni dopo la consacrazione di questo santo, che è il protettore di Genova, ma anche il suo simbolo che sventola nel mondo insieme alla bandiera bianca con la croce rossa che anche gli inglesi hanno sfruttato per sconfiggere il nemico?
Me lo sono chiesto ascoltando i discorsi che hanno inaugurato a Palazzo Reale la bellissima mostra dedicata a questo grande simbolo di Genova, che riguarda le sue viscere di città, ma anche il mondo, rimbalzando da un continente all’altro, da un paese all’altro.
Come questa mostra spiega, avendo importato cimeli e opere e reliquie e simboli da ben 32 paesi. Sempre quel Santo- Guerriero, nato prima delle crociate, consacrato e “codificato” dal vescovo Iacopo da Varagine, a cavallo del suo destriero con il drago ai suoi piedi, conficcato dalla spada, appunto, o dalla lancia e le tante raffigurazioni di una scena plastica nei secoli: la lotta tra il bene-san Giorgio e il male- il drago.

E una risposta l’ho trovata nel discorso molto preciso, illuminante, che alla presentazione della mostra ha fatto l’assessore alla Cultura Giacomo Montanari, che ha parlato dei tre sguardi di San Giorgio. Anche la direttrice del Palazzo Reale, Alessandra Guerrini e il presidente della Regione, Marco Bucci hanno ben disegnato il senso di san Giorgio e della mostra genovese, che lo onora, ragionando sul piano storico e anche su quello più civile e perfino politico.
La riflessione su san Giorgio di Montanari, partendo dalla mostra “rarefatta”, piena di spazi dove osservare e approfondire, mi è servita proprio per andare “oltre”.
Tre sguardi ci vogliono per capire bene questa grande figura e il nostro rapporto con il simbolo forse più forte della nostra identità nel tempo dei secoli vissuti, non solo genovese: uno interno, uno esterno e l’altro verso la diversità.

Sembra una definizione del destino di Genova sotto il segno di san Giorgio, il suo protettore atavico, tanto esportato da dare il nome a nazioni come la Georgia nella grande madre Russia e a uno stato americano. San Giorgio è “dentro” Genova e lo trovi ovunque, camminando nei caruggi, nelle sue strade, entrando nelle chiese, cercandolo e magari non trovandolo in tanti segni che restano nell’anima genovese, nel suo profondo, a partire dalle sue pietre e da questa memoria che rimane scolpita per sempre.
Sarà questa un’indicazione forte per andarlo a trovare e, scoprendolo, raggiungere un risultato che può avere molti significati, non certo solo quello topografico. E in questa ricerca c’è anche lo svelamento della inacessibilità a volte di san Giorgio, come a Levanto dove si scopre addirittura arrampicandosi su una scala per coglierne la bellezza nel dipinto del celebre Pierangelo Sacchi, artista immenso. Che è oggi è esposto nelle luci soffuse della mostra.

“Fuori” san Giorgio è il mondo che Genova, se non ha conquistato, ha “segnato” tante volte nella sua lunga storia, incominciata ben prima che il Santo fosse “codificato”.
Questa grandezza della sua figura che campeggia in tanti angoli lontani dal nostro epicentro rimbalza in casa nostra e ci fa riconoscere di più di una patente di qualsiasi peso: è san Giorgio, è quella bandiera che dice Genova.
Poi la diversità, la differenza di tanta variazione geografica, ma anche stilistica della sua rappresentazione, che lancia un messaggio preciso: affrontare nel modo giusto, accettare le differenze, farle diventare uno strumento positivo, una cassetta degli attrezzi per comprendere il mondo.

Come tradurre questi tre sguardi nella individuazione degli obbiettivi che San Giorgio ci può indicare oggi, in un tempo nel quale i draghi sono tanti e mostruosi e le lance e le spade meno acuminate della sua?
Abbiamo tante difficoltà “interne” da superare nella nostra città per le quali uno sguardo superiore servirebbe indicando una soluzione meno “combattuta”. Abbiamo, come mai nel tempo recente, la esigenza di aprirci all’esterno, superando l’isolamento e non solo quello infrastrutturale, ma anche quello di una città che rischia di diventare un lago chiuso, secco, dove si inaridisce non solo la demografia . E le differenze sono quelle che la geopolitica rivoluzionata, le immigrazioni che non sappiamo come affrontare, ci mettono sotto il naso in ogni forma.
E’ un volo troppo alto questo che i tre sguardi tradotti nel tempo corrente ci impongono? Forse si, ma san Giorgio, come ha detto poi bene Bucci in quella presentazione, è un segno di appartenenza, è come quella bandiera bianca con la croce che bisogna saper sventolare . Qualche volta un po’ di orgoglio che passi anche sopra le differenze non guasta. Per San Giorgio e per Genova.

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