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3 minuti e 8 secondi di lettura
di Giovanna Sissa*

La rivoluzione delle Ai Overviews di Google non mi piace e vi spiego perché. Lanciate a maggio 2024, le sintesi di Google stanno rivoluzionando l’approccio in cui gli utenti accedono alle informazioni online. Basata su Gemini, l’IntelligenzaArtificiale di Google, questa funzionalità integrata nel motore di ricerca offre riassunti sintetici in cima ai risultati di ricerca, riducendo spesso la necessità di visitare i siti originali.

E fin qui, a parte i grattacapi che questa dilagante e irrefrenabile tendenza a usare la IA per farsi fare i compiti produce - e non parlo solo
di ragazzini, anche gli studenti universitari la usano sistematicamente - può sembrare solo una nuova opportunità, una comodità.

Ma uno studio del Pew Research Center, condotto a marzo 2025 su 900 adulti statunitensi, rivela che il 26% degli utenti interrompe la ricerca dopo aver letto il riassunto AI, contro il 16% nelle ricerche tradizionali, diminuendo dunque in modo significativo il traffico verso le fonti primarie con la loro consultazione.

A prima vista può sembrare un dettaglio, ma solo a prima vista. I link su cui eravamo abituati a cliccare sono rimandi ai siti, ordinati secondo la pertinenza, che sono dedicati o preposti a fornire le informazioni richieste. Se ho a disposizione molte opzioni e sto cercando una informazione su quando si concludono le vacanze scolastiche mi viene naturale connettermi con il ministero dell’Istruzione, se voglio sapere entro quando va pagata la TARI clicco su un sito del Comune di riferimento. E se voglio prendere un treno cerco i suoi orari sul sito di Trenitalia (o di Italo o di Trenord). Quando però, a seguito di una ricerca sul web, mi viene fornita una sintesi è piuttosto facile che io me ne stia di tale risposta, senza approfondire e, soprattutto, senza cercare quale sia la fonte più autorevole a fornirmela, consentendomi anche di verificare quanto sia attendibile.

Se Google riassume contenuti diminuisce negli utenti la spinta a consultarli direttamente, come avveniva con le ricerche a cui siamo abituati.
Questo cambiamento trasforma Google da motore di ricerca a punto di arrivo dell’informazione, bypassando siti autorevoli come portali governativi o siti di informazione ufficiali. O come produttori di contenuti digitali, quali editori, o produttori di informazione, come giornalisti e così via. La testata The Register ha definito questa dinamica un “seppellimento del web vivo”, mentre altri parlano di “espropriazione digitale”, poiché i contenuti vengono riassunti senza generare visite ai creatori.

Con oltre un miliardo di utenti che utilizzano le AI Overviews, questo modello rischia di creare un appiattimento nella distribuzione delle informazioni, riducendo, di fatto, pluralità di punti di vista, diversità negli approcci e anche visibilità (e introiti) per gli editori digitali.
I riassunti AI proponendo una sintesi iniziale diminuiscono, di fatto, la propensione dell’utente di farsi un’idea propria mediante l’accesso diretto alle fonti primarie, con la possibilità di valutare l’autorevolezza e la qualità delle informazioni.

Aspetto cruciale per argomenti critici, controversi, nuovi. Pensiamo a un libro, a un articolo, a un intervento culturale o a una scoperta scientifica che introduce un punto di vista originale o controverso. Il bello della ricerca su web è sempre stato andare a consultare la fonte primaria e magari anche il dibattito relativo. Analoga considerazione si può fare in relazione a temi presenti nelle scelte amministrative o alla cronaca locale. I tempi in cui Google era un motore di ricerca, per molti versi, sono forse finiti. Alcuni paventano il rischio che il termine corretto per definire il servizio web più usato al mondo diventi “macchina delle risposte”. E non è una buona notizia.

*Giovanna Sissa è professore a contratto di Sostenibilità ambientale dell'ICT - PhD STIET, Università di Genova

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