
Quando ho letto il commento del collega e amico Franco Manzitti (“Una città sempre i ritardo e noi poveri boomers in eterna attesa”) ho quasi avuto un mancamento. Eh sì, c’è da rimanere basiti a mettere in fila tutte le opere che si dovrebbero fare e non si fanno.
Tuttavia dissento. Meglio, mi spiego: il “cahier de doleance” è quanto mai motivato, però Genova non è l’unica a vivere tale condizione in questo disgraziato Paese. Basterebbe cambiare il nome della città e dei cantieri e il pezzo andrebbe benissimo a Milano, a Roma, a Napoli, a Reggio Calabria, a Torino, per stare alle grandi città.
Intendo dire che è il Paese tutto a soffrire di questo male. E noi poveri boomers siamo in eterna attesa in quanto italiani. Poi, certo, come genovesi, di nascita o di adozione, la questione ci brucia sulla pelle, soprattutto considerando le opere che ci riguardano da vicino. Però la cosa grave, gravissima, è che Genova non costituisce un’eccezione: è la regola!
Non è un caso se di fronte a una tragedia immane come il crollo del ponte Morandi, il capoluogo ligure è divenuto un caso nazionale perché la ricostruzione è avvenuta a tempo di record. Ma è un record, talché è nato il “modello Genova”, se guardiamo agli usi e ai costumi di noi italiani poveretti, mentre in quasi tutto il resto del mondo quella è l’abitudine (al netto dei Paesi dove si fa carne di porco dei diritti delle persone).
Noi, invece, riusciamo a trasformare in lacci e lacciuoli anche delle sacrosante norme di prevenzione (penso all’antimafia, ad esempio) e non ci facciamo mancare niente quando si rendono disponibili milioni come nel caso del Pnrr (orrendo acronimo che sta per Piano nazionale di ripresa e resilienza). Che cosa significhi “ripresa” credo che lo sappiano tutti. “Resilienza”, al contrario, è un termine meno comodo.
In buona sostanza, si tratta della capacità di superare un periodo di difficoltà, avendo tutta una serie di caratteristiche, quali “imparare dalle esperienze” e “sapersi adattare in tempi brevi”. Hai detto… A parte rarissime e lodevoli eccezioni, non me la sento di dire che i politici italiani, dai parlamentari agli amministratori dei piccoli Comuni, siano dei veri resilienti. Inoltre, sembra che sia stato smarrito il buon senso.
Guardiamo, appunto, il Pnrr. Uno: se un’opera palesemente non serve, viene comunque realizzata. Domanda: perché? La risposta è agghiacciante: “Ci sono i soldi”. E dai! Due: qualcuno spieghi per quale razza di motivo si riempiono di progetti inutili i singoli comparti del Pnrr, mentre ci mancano i denari per assumere medici, infermieri, operatrici sociosanitarie, e siamo senza soldi per dare stipendi più dignitosi ai lavoratori, per l’edilizia scolastica, per le disabilità e per tanto altro ancora.
In molti ambiti siamo con le pezze al culo, quando ci vuole ci vuole, e pur essendoci dei fondi a disposizione (in tutto il Pnrr prevede oltre 194 miliardi, fra stanziamenti a fondo perduto e prestiti da restituire) mica li usiamo per venir fuori da quei problemi. Macché, ci inventiamo, con la decisiva complicità dell’Ue, il modo di spendere a vuoto quei denari. E chi non ci riesce è ritenuto un incapace. Poi, se altri affermano di non voler partecipare allo scempio, allora sono scemi.
Non so se ciò possa risultare di consolazione, però mi iscrivo subito al movimento degli scemi. E pur in questa mia condizione, o forse proprio in ragione di ciò, mi sento di affermare che Genova non è affatto da sola nel suo ritardo. Peccato che mal comune non significhi mezzo gaudio.
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IL COMMENTO
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In ritardo l’Italia, non solo Genova. E smarrito il buon senso sul Pnrr