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GENOVA - Spinto via dalle prime pagine e dal centro dell'attenzione dal cavalcare inesorabile dei terribili fatti di questi anni - la pandemia, la prima guerra, la seconda guerra, la crisi ambientale - il processo Morandi sembra sempre più lontano.
Ma ora l'urlo paradossale del silenzio degli imputati eccellenti, meglio dell'imputato eccellente numero uno, ce lo riporta con forza davanti agli occhi.

Giovanni Castellucci, l'ex ad di Aspi, Atlantia, l'uomo di fiducia dei Benetton, il responsabile dei responsabile, quello che sapeva tutto della immane tragedia “allontanata” dal tempo e dall'inesorabile sequenza dei fatti dal 2018 a oggi, ha compiuto il suo clamoroso voltafaccia.

Aveva sempre annunciato che avrebbe risposto alle domande dei giudici e degli avvocati nell'udienza attesa per la sua deposizione di imputato eccellente “per contribuire a costruire la verità”.

E con uno sfrontato voltafaccia che bene si attaglia al suo atteggiamento in tutta la vicenda ha cambiato linea.
Lunedì non deporrà al processo che finalmente incomincia a intravvedere la sua conclusione. Ascolteremo in quell'aula del nostro palazzo di Giustizia, costruita apposta per arrivare alla verità dei 43 morti, della più grande tragedia del dopoguerra in una città nord occidentale, urbanizzata, nel suo cuore stesso, il responsabile delle manutenzioni Don Ferri Mitelli, ma non lui.

La scelta di questo supermanager, uscito dallo staff Benetton con 13 milioni di liquidazione anni dopo la sciagura ( e altri milioni furono cancellati), un dirigente dal curriculum super famoso, dal carattere duro, ma capace di una applicazione nel lavoro, capace di portare sulle autostrade amministrate perfino i dirigenti in pulman per mostrare i punti importanti dei tragitti da “curare, quindi colui che, appunto, sapeva tutto anche di quel ponte maledetto, capovolge il ritmo del processo stesso.

Era con quest'uomo, oramai piegato anche lui nella inflessibilità della sua figura, che saremmo arrivati al clou di un processo che è un po' come quel ponte sospeso e poi spezzato dall'incuria degli uomini. Siamo in attesa da anni di una verità che può solo lenire un dolore incalcolabile di chi ha perso i suoi cari, ma anche di una città che lì' si era spezzata, non solo fisicamente sotto gli stralli acrobatici di un'opera che ci doveva portare nella modernità, quando fu pensata e realizzata e ci ha precipitato, invece, in quella tragedia biblica del vuoto che inghiottiva le vite, separava la città stessa al suo interno, allontanava gli uni dagli altri, paralizzava i flussi di un traffico diventato internazionale, grazie anche a quel ponte.

Quel giorno abbiamo incominciato a scoprire la nostra fragilità infrastrutturale, che oggi paghiamo giorno per giorno, chilometro per chilometro, coda per coda.

Avremmo voluto che il signor Castellucci venisse a spiegarci come questo è successo, qual è la sua versione di capo dei capi su quel crollo “annunciato”, ma nascosto per anni e anni, sottovalutato nella sua eventualità, irriso perfino in certe incredibili intercettazioni dei dialoghi dei suoi sottoposti.

Come è potuto accadere tutto questo?

Il processo monumentale cui stiamo assistendo con quella attenzione, che si ridimensiona necessariamente per il tempo che trascorre, come in tutti i grandi processi italiani, è stato ed è ancora un grande sforzo, in cui la Giustizia con la maiuscola sta facendo in pieno il suo dovere.

Lo ha dimostrato l'inchiesta diretta dall'ex procuratore Francesco Cozzi. Lo provano ogni giorno i giudici in aula e i Pm che con una passione vera per la ricerca di quella verità non mollano la presa, giorno per giorno, udienza per udienza.

Ma quel silenzio un po' tanto pesante, come molte vicende nella storia tragica, incominciata il 14 agosto del 2018 ore 11,37, assomiglia a tanti passaggi della storia del ponte Morandi, la concessione che non è stata subito revocata, il prezzo enorme pagato ai concessionari finalmente espropriati, questo minuetto sulla verità che sguscia sotto le macerie di quei 250 metri crollati dentro al Polvecera con quelle 43 vite innocenti colpevoli solo di avere imboccato quel ponte in quel giorno, a quell'ora, in quel punto.

Castellucci lo conoscemmo quel giorno che entrò in Regione con in mano il modellino del ponte che Autostrade era già pronto a ricostruire a pochi giorni dal crak. Inciampò mentre stava presentando quel “risarcimento” e il modellino si ruppe davanti agli occhi del sindaco, del presidente della Regione, degli altri, compreso Renzo Piano, che erano lì ad aspettare un segno di ricostruzione dopo la sciagura. Fu come un segnale di tutto che sarebbe successo dopo.

Oggi, con questo silenzio-voltafaccia, Castelucci continua a inciampare. Con il il ponte in mano.