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Toti ha ragione: senza liste civiche non si vince più. Ha ragione anche il vicepresidente del Consiglio regionale, Armando Sanna, esponente del Pd, quando aggiunge che certo, i partiti tradizionali non bastano più, avvertendo i suoi che entro un anno si dovrà trovare l’anti-Toti, cioè chi guiderà la sfida al governatore dall’opposizione di centrosinistra. Finalmente hanno capito che i programmi vanno bene e devono essere chiari e innovativi, ma soprattutto per vincere, oggi come ieri, ci vuole un leader. Un volto giusto. Una buona dose di carisma. Impresa difficile, ma non impossibile.

Il centrodestra sta vincendo con questo sistema: nomi azzeccati, che sono in grado di raccogliere consenso, nel caso del voto locale, anche popolari, personaggi “del fare” più che “del dire”. Argomento che il centrosinistra-sinistra sembrava non avere capito, anteponendo vaghi programmi e tavoli vuoti, nebbiosi obbiettivi, o soltanto freddi “no”, al nome del candidato, sull’onda di quel penoso ritornello: “Prima i programmi! Poi i nomi!” Strategie, per usare una parola grossa, tutte o quasi fallite da anni.

Le ultime elezioni amministrative lo hanno confermato. C’è la necessità di spingere sulle liste civiche che obbliga anche il Pd a decidere presto e bene. Soprattutto bene, senza perdere tempo. Entro un anno come sollecita giustamente Sanna che, forte dell’esperienza da sindaco di Sant’Olcese, conosce sul campo la forza del rapporto diretto con la gente a cui si chiede il voto.

Questa ipotesi di lavoro obbliga il Pd in primo luogo come partito trainante a rivoltare la tovaglia dei dirigenti attuali che hanno sbagliato quasi tutto e perseverano nell’errore, pur avendo inanellato un rosario di sconfitte e di brutte figure. Sia i capi locali, sia, primi fra tutti, i liguri presenti nei gangli nazionali del partito.

In questi giorni ho ascoltato gli interventi dei sindaci romagnoli e emiliani travolti dalla catastrofe: poche parole forti, idee chiare, richieste di buon senso. Poi a spalare con i ragazzi, a dare una mano a tirar fuori dalle case anziani e bambini con l’acqua alla vita. Eccola la nuova classe dirigente dei partiti! Ci sono in Emilia come ci sono in Liguria. Basta dare loro spazio e dopo essersi fatti da parte con modestia e ragionevolezza.

Tutto questo non vuol dire che con le liste civiche non ci sia più bisogno di politica. Anzi, semmai il contrario. Vanno riempite di politica nel senso giusto del termine, perché davvero abbiamo toccato il fondo.

Fa bene alla salute oggi, leggere il  libro che ha scritto Massimo D’Alema (che sarà a Savona martedì per inaugurare i Giardini Berlinguer) , raccontando il viaggio a Mosca (“A Mosca l’ultima volta” Solferino editore) che fece con Enrico Berlinguer, ai funerali di Andropov, nel 1984. L’ultimo viaggio del grande leader comunista, prima del malore sul palco di Padova che lo ucciderà. Un D’Alema dirigente trentacinquenne viene scelto per accompagnare il grande capo insieme al “vecchio” Paolo Bufalini. D’Alema tenne in quei giorni gelidi, il singolare diario privato di questa trasferta in Urss, raccontando un Berlinguer inatteso, confidenziale, acutissimo, moderno come pochi, ironico. “Non triste” come si preoccupa di sottolineare lo stesso segretario. Da queste righe, dalle lunghe riflessioni mentre sono in albergo attendendo di sfilare al Cremlino, con un Berlinguer insofferente, che rifiuta di indossare il colbacco, preferendo sfidare il gelo russo un curioso cappellino tirolese, esce la voglia di una nuova strategia politica del capo comunista che non riuscirà, però, a realizzare.

Siamo a metà degli anni Ottanta in piena crisi ideologica, col craxismo che avanza, la Milano da bere e una maggioranza che è stufa forse anche di votare, certamente della vecchia politica. Berlinguer ragiona e si macera su una idea, che mette i comunisti di allora, partitone dei grandi numeri, a spietato confronto con la modernità di una società in velocissimo cambiamento. E un disinteresse verso la politica così come era declinata. “Ciò che di più angustia Berlinguer – scrive D’Alema – non è la deriva del costume (gli scandali si moltiplicano), ma il destino del sistema politico”. Perché ne riconosce lo stallo. “Ma l’iniziativa nella società e il contatto con i movimenti non  dovevano contrapporsi all’iniziativa politica, cioè alla ricerca di un confronto e di una convergenza con i partiti”.

Siamo di fronte certamente alla caduta dei partiti storici e Berlinguer pensa a una loro rigenerazione. Insomma, dei grandi partiti non si può fare a meno, ma vanno ridisegnati. Questo non vuol dire che la sorte della politica sia solo in mano a questi partiti. Di allora e di oggi.  Ecco, dunque, la necessità di rigenerarsi anche oggi, cominciando col trovare i nomi giusti da proporre. Quello che nel passato facevano le scuole di partito, sia cattoliche che marxiste.

Tornando a prima: per esempio ha dato spesso buoni risultati puntare sui sindaci. Utilizzare il loro “saper parlare con la gente” per costruire nuovi scenari, ma soprattutto l’uso di un linguaggio diverso.

Bene. L’esperienza in sede locale delle liste civiche con il nome del “comandante” in copertina ha funzionato. Vediamo che cosa è successo a Genova con il ripetuto successo di Marco Bucci, una volta, certamente, sull’onda lunga della ricostruzione sprint del ponte crollato, ma ormai non più solo per quella ragione. Un nome giusto, popolare, coinvolgente, può provare a raccogliere le idee di un programma attrattivo, diventando motore della rigenerazione.

Non bastano i dati anagrafici. Non è sufficiente “essere giovani” per vincere. O famosi magari in una professione. Lo dimostra il risultato di Imperia dove ha stravinto un politico di lunghissimo corso come Scajola. Che evidentemente a Imperia ha fatto e quello che ha fatto è piaciuto a più del 60 per cento dei votanti. O Mauro Fantoni ultraottantenne nella sua Montoggio. Non basta più, soprattutto, un partito che sta dietro.

La materia non è facile e risolvibile in pochi mesi. E’ per questo che il Pd ligure e genovese deve non perdere tempo e fare quello che auspica Sanna, evitando di arrivare sempre all’ultimo quando si  è costretti a scegliere il meno peggio. Con i modesti risultati della sinistra che sono davanti agli occhi di tutti.