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L’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico ha scosso la politica italiana perché nessuno dei politici professionisti si aspettava che lei vincesse. Tutti, a cominciare da militanti e iscritti, ma anche quelli dell’altra parte, erano sicuri della vittoria di Stefano Bonaccini, collaudato governatore dell’Emilia Romagna, invece il popolo dei votanti ha detto Elly. E i poveri iscritti, quelli che nelle sezioni (pardon, nei circoli), sono rimasti con la falce nel cassetto e il martello in mano per martellarsi dove ritengono meglio. I fuoriusciti dalle catacombe della politica, per anni silenti e nascosti, hanno fatto qualche cosa di nuovo, ma veramente nuovo. Mai visto prima in Italia a parte il recentissimo exploit di Giorgia Meloni. Hanno scelto una ragazza, una che, a parole, vuole cambiare molto.

Ora, però, all’elencazione di titoli la neo-segretaria dovrà fare seguire dei programmi, uno per ogni argomento. E sono argomenti tutti più che giusti, finalmente adatti a un partito che diceva di essere di sinistra, magari riformista, quando nel 2007 nacque dall’incontro fra comunisti e cattolici. Cioè pur essendo all’opposizione e quindi libera di spararle anche grosse intanto a governare c’è un’altra, la Schlein dovrà spiegare come intende agire su alcuni temi dimenticati o peggio dalla sinistra. Primo fra tutti la sanità pubblica ormai sepolta da scelte che penalizzano medici e infermieri del servizio sanitario nazionali, da una disorganizzazione che produce liste d’attesa di mesi, dal rischio fortissimo di una accresciuta disuguaglianza fra servizi a seconda delle regioni dove si risiede. Le classifiche internazionali sulla qualità degli ospedali (il primo italiano è il Gemelli di Roma al 38esimo posto) offrono per l’Italia risultati abbastanza sconfortanti. Lo stesso per la scuola, dimenticata da decenni con migliaia di insegnanti al seguito e per il salario minimo che dovrebbe diventare, stando ai titoli della Schlein, un elemento distintivo del suo partito. Cribbio, siamo nel 2023 e non c’è ancora!

Ci dica dove prenderà i soldi per fare queste cose!”. Gridano dalla destra, indicando la neo-segretaria come una che ci riempirà (se riuscirà a vincere le elezioni) di tasse su tasse, secondo un antico schema elettorale della sinistra.
Questa la fotografia. Ma a Genova è successa qualcosa di diverso, di originale. Perché in questa città che un tempo era rossa, la Schlein ha fatto un miracolo: è riuscita a far rinascere i vecchi comunisti, quei dirigenti allora trentenni, degli anni Ottanta e Novanta, dalla crisi del Pci alla Bolognina fino alla nascita del Pds e poi dei Ds, che erano lentamente scomparsi dal panorama politico locale, lasciando il posto ai nuovi che spesso sono apparsi nelle loro azioni politiche stravecchi come il cognac che creava un’atmosfera. Questa generazione che ha sbagliato tutto, ma proprio tutto e che ancora oggi “cerca disperatamente un rapporto nuovo con i territori.” Territori che negli anni d’oro si chiamavo quartieri, periferie, fabbriche e che costruivano i programmi dei partiti di sinistra.

Lo stupore mio è avere incontrato molti miei coetanei, quindi settantenni e oltre, ex dirigenti del Pci e eredi, che immaginavo silenziosamente schierati con il prudente Bonaccini, tutti tesi alla vittoria della ragazza di Lugano, al grido di: “Così finalmente si cambia tutto!”. Il vecchio Pci che aveva governato per dieci anni e poi per altri anni con altro nome e con i sindaci Pericu, Vincenzi, Doria, è rispuntato più vivo che mai, pronto alla battaglia e, soprattutto, prontissimo a rottamare quelli che hanno governato il nuovo partito “di mezzo”, conducendolo a questa rovina con scelte, alleanze e soprattutto nomi tutti sbagliati. E che, incredibile, sono ancora lì, cioè là, a Roma a fare i vecchi saggi o a Genova a muovere le pedine consumate della politichetta. Meglio che ritornino i resuscitati del Pci che non avevano bisogno che qualcuno spiegasse loro che cosa doveva fare la sinistra, che magari era sotto la tutela dei camalli del porto e dei metalmeccanici di Cornigliano e che vivevano più nelle sezioni che a cercare contatti col territorio di Albaro o Castelletto.

Vedremo. Ieri un importante dirigente del partito ha dichiarato al “Secolo XIX” che era necessario fare largo a una nuova generazione. Appunto. Se la Schlein farà o riuscirà a fare davvero questo lavoro, forse sarà la volta che riuscirà a cambiare qualcosa laggiù dove c’era la sinistra. Altrimenti resterà prigioniera dei suoi titoli, gridati, ma vuoti.