Cosa aspetta Genova a decidere una volta per tutte il destino delle aree di Cornigliano non più necessario al futuro dell’acciaieria?
Questa non è solo una questione in bilico tra il futuro sempre incerto di Acciaierie d’Italia e della siderurgia italiana nel terzo Millennio, ma anche “la questione” di Genova.
Tra grandi progetti, grandi idee, grandi prospettive la città si trascina la questione Cornigliano oramai da decenni, da quando le proporzioni necessarie all’acciaieria sono incominciate a cambiare, all’inizio degli anni duemila.
Il destino industriale di Genova, deciso da Cavour nell’ Ottocento, perseguito dopo a cavallo del Novecento e decisamente svoltato nel cosidetto “secolo breve” (che poi è stato lunghissimo) con la costruzione dell’acciaieria negli anni Trenta, diventata nei Cinquanta la prima in Europa a ciclo continuo, si è giocato lì.
Al prezzo e ai vantaggi che ben conosciamo per la Superba. Centinaia di migliaia di posti di lavoro, una immigrazione forte sopratutto dal Sud Italia, un primato industriale che ha marchiato Genova anche in senso sociale e culturale.
Ma dall’altra la compromissione di un quartiere e forse più di uno, la sua subordinazione alla grande “fabbrica”, al suo colossale impianto a caldo e a freddo, il riempimento del mare, la distruzione della qualità della vita, le spiagge, le ville, i giardini cancellati. Perfino i castelli.
E’ un storia che abbiamo vissuto tra grandi lotte, grandi profitti, grandi tensioni, mai sopite, là dove si è disegnato anche il destino politico non solo genovese. E non solo industriale.
Partiva tutto da quello storico accordo tra due giganti del Novecento, Angelo Costa, il presidente di Confindustria, genovese doc, uno degli uomini della Ricostruzione italiana e Giuseppe Di Vittorio, il padre di tutti i sindacalisti, che firmarono l’ “autonomia funzionale”, la clausola che consentiva di usare le banchine dell’acciaieria per caricare e scaricare la materia prima e poi quella finita, che i grandi impianti inghiottivano e producevano. Una firma senza discussioni, se non quelle fisiologiche di una partita tanto delicata, una decisione epocale in un grande porto allora totalmente pubblico con l’esclusiva della riserva ai “camalli”.
Cornigliano, il suo “mostro”, che sputava fuoco e fumi insieme all’acciaio della industrializzazione italiana, la sua subordinazione ambientale, partono così e riguardano poi il più complessivo destino dell’intero Ponente genovese, quello dove, come mi diceva sempre il mitico sindacalista Franco Sartori, oggi finalmente ricordato come merita, “Genova imbelina i problemi che ha”. La produzione di acciaio, quella delle navi, il porto petroli, l’aeroporto……..
Ma ora tutto è cambiato e non solo dall’ accordo del 2005 che ridisegnò la presenza della fabbrica dell’acciaio, che aveva cambiato tanti padroni e tanti altri ne avrebbe cambiato, da Riva a Acelor Mittal e al destino di oggi, così condizionato da Taranto e dalla sua anche drammatica storia ambientale e giudiziaria.
Gli spazi di Cornigliano si sono aperti, e non solo dopo lo smontaggio delle cokerie e del forno a caldo e delle altre pertinenze impiantistiche del colosso siderurgico.
Quello resta l’Eldorado di Genova, l’ orizzonte che si apre per tante attività che hanno bisogno di una regia nuova e forte e decisa.
All’inizio degli anni Duemila ci aveva provato l’allora presidente della Regione Sandro Biasotti a aprire un futuro diverso, riunendo forze sociali e imprese da collocare in quell’area sacra dell’ acciaio. Si armarono contro gli industriali, i Riva, padroni di allora dell’Ilva, e il progetto non passò. Forse era troppo presto.
Ma poi la crisi siderurgica, la caduta dei Riva, il terremoto di Taranto, hanno riaperto tutto. E oggi la spinta manageriale della nuova amministrazione di Genova con Marco Bucci potrebbe avere in quell’area una prospettiva, una vision come piace al sindaco, finalmente nuova. A incominciare dall’impianto di desanilizzazione che Bucci ha appena lanciato, collocandolo proprio in quelle aree.
A patto che se ne discuta veramente, non trattando quelle aree come le praterie del West, con a ognuno il suo ranch, ma in un grande disegno che riparta dalla centralità ombelicale di quel territorio. Sul quale è passata la nostra storia recente. Non senza i suoi eroi, le sue vittime, gli errori , le scommesse perdute e anche i risultati raggiunti.
IL COMMENTO
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