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Capisco le ragioni formale per le quali il giudice dell’udienza preliminare del processo Morandi ha escluso dal risarcimento danni il Ministero dei Trasporti (che poi ha cambiato nome) e ANAS.

Quelle due parti del processo non avevano assistito come vuole la procedura agli incidenti probatori decisivi per ricostruire gli eventi tragici e quindi avevano saltatouna fase nella quale potevano difendersi. Ma capisco perfettamente anche lo sconcerto e la preoccupazione dei parenti delle vittime e dei danneggiati più in generale che vedono uscire da un importante ruolo di responsabilità, quella del risarcimento civile, parti così importanti nello svolgimento dei fatti.

Non si può certo cambiare la procedura e imporre soluzioni diverse sulla base di altri elementi che non siano le regole ferree della legge. La preoccupazione riguarda un po’ più in generale il clima che circonda questo grande processo, sicuramente il più importante mai celebrato nel Dopoguerra a Genova e probabilmente in Italia. Se devo fare dei paragoni mi vengono in mentre solo i maxi processi per mafia e quelli, subito svuotati di interesse e tensione, per il terrorismo, davanti alla legge sui pentiti, in un caso e, nell’altro, nella eterna impossibilità di arrivare alla verità.

Si pensi, per esempio, al processo per la strage di Piazza Fontana nel 1969 e alla sua imprendibili verità e giustizia. Ma qui siamo a tre anni e mezzo dai fatti e quei 43 morti gridano ancora vendetta come ogni 14 del mese i parenti delle vittime ricordano , raccogliendosi in quel punto di sofferenza per gettare almeno un fiore nel Polcevera. E quei fatti, al di là della morte non risarcita e dei danni ancora pesanti, continuano a produrre conseguenze incalcolabili sul nostro territorio genovese e ligure in termine di disagi, danni a tutti i comparti economici e, inevitabilmente, ancora vittime, dolori, incidenti.

Perché la tragedia del 14 agosto 2018 ha fatto aprire un libro incredibile di negligenze, insufficienze, superficialità, violazioni di leggi e norme italiane e europee, che lasciano stupefatti e perfino increduli. Mentre siamo, tre anni e mezzo dopo - lo ripeto -  in coda, mentre leggiamo ogni giorno il bollettino infinito di quei disagi, che dureranno ancora anni e anni e anni. Insomma il processo Morandi non è un processo come gli altri. E questo non vuol dire che deve procedere con leggi eccezionali e violazioni procedurali. Ci mancherebbe altro.

Il problema è che l’impressione è che questo grande atto di giustizia incominci a diventare, invece, come gli altri. Che si possa temere una vicenda processuale simile a quelle che ho appena elencato: grandi, tanto grandi e complesse da ritardare in modo intollerabile la giustizia. La prescrizione, gli incidenti probatori incompleti, le eccezioni, il numero gigantesco delle parti civili...

Il processo ha preso la sua strada. I magistrati che ci lavorano hanno sempre dato tutte le garanzie e continuano a darle sulla efficienza e rapidità, sulla competenze e capacità. Ma questo processo è come una montagna da scalare. Pagheranno solo Autostrade e Spea i danni civili, non il Ministero e non l’Anas. I tempi sono dilatati. Aspettiamo con ansia nella prossima udienza le requisitorie dei Pm. Il processo Morandi non è un processo come gli altri.

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