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E fatemelo dire: una vera figura di merda! Mi scuso subito per la parolaccia, che non è ammessa. Ma come pensate che nella vita reale abbia reagito il corpo elettorale di Fratelli d'Italia, a Imperia, quando ha saputo che il candidato sindaco sul quale i dirigenti liguri avevano suonato la grancassa veniva bellamente scaricato, a un mese e qualche spicciolo di giorno dal voto di metà maggio? Con quella parola. O anche peggio.

Luciano Zarbano, che era il designato, di mestiere fa l'ufficiale dei carabinieri e siccome ha una faccia sola ha compiuto il passo indietro sul simbolo, ovviamente. Però ha deciso di andare avanti da solo e dunque si candida come "civico" puro. Se dovessi definirlo, mi pare evidente che sia una vittima di quanto accaduto.

Cara premier e leader di FdI, Giorgia Meloni, capisco che con tutti i problemi italiani di cui deve occuparsi è probabile che non abbia avuto tempo e modo di mettere la testa su Imperia, unico capoluogo ligure alle elezioni. Ci avrebbero dovuto pensare coloro che sono delegati alla bisogna, in primis il coordinatore regionale Matteo Rosso, poi il senatore sanremese della Repubblica Gianni Berrino, poi i maggiorenti locali del suo partito.

Ora, a meno di non voler fare violenza alla realtà non è che ci volesse un genio per immaginare che Fratelli d'Italia avesse una sola alternativa: appoggiare l'ex ministro e sindaco uscente Scajola oppure esibire un candidato talmente forte da vincere in casa sua. Detto con tutto il rispetto: secondo quale mente "illuminata" Zarbano poteva avere esattamente questa caratteristica?

Hanno pensato di speculare, i dirigenti liguri e locali di FdI, sul traino di Meloni e sul suo successo del settembre scorso. Ma le elezioni comunali sono un'altra cosa rispetto alle politiche e un dubbio se lo sarebbero dovuti far venire, alle latitudini della "fratellanza", se il governatore della Liguria Giovanni Toti si è affrettato a sostenere Claudio Scajola dopo anni nei quali i loro rapporti erano stati freddi. O alcuni "fratelli", approfittando della situazione, ragionavano pure contro Toti?

La Lega ci ha messo un attimo di più solo per tattica e avendo da risolvere la grana di Ventimiglia (altro Comune alle urne), poi chiusa al meglio. Invece FdI ha tirato dritto, per la serie: "Adesso gliela facciamo vedere noi!". Un peccato di valutazione e di arroganza che il partito nazionale alla fine ha corretto, forse con l'intervento del presidente del Senato, Ignazio La Russa, come si è detto da molti parti. O forse no. Ma questo non è importante.

Semplicemente, a Roma hanno ritenuto che l'unità della coalizione, simboli o non simboli in campo, fosse più importante di qualsiasi altra considerazione. Ufficialmente. Dietro le quinte, invece, è stato più prosaicamente compreso che forse non era il caso di esporre il partito a una "conta" nella quale i margini della sconfitta erano troppo ampi. E che sarebbe stata tanto più bruciante considerando che sarebbe maturata contro un uomo proprio del centrodestra, con cui Meloni ha sempre avuto buone relazioni.

Questo vuol dire che Scajola ha già vinto? I pronostici sono per lui, addirittura in molti casi con previsione di successo già al primo turno. Ma ovviamente non ci sta il centrosinistra e men che mai Ivan Bracco, il candidato del Pd e di tutta l'area. E dire che proprio il Pd aveva fatto di tutto per guadagnarsi la palma del miglior pasticcione politico. Ha puntato su Laura Amoretti, ma avendo contemporaneamente la candidatura di un proprio esponente quale Domenico Abbo, che aveva inizialmente convinto Bracco a fare un passo di lato. Dopo inenarrabili litigi, quando si è trattato di riprovare a mettere d'accordo la coalizione, e visti anche i sondaggi elettorali, nel centrosinistra c'è stata però una repentina macchina indietro. Con ritorno su Bracco, che così ha finito per prevalere.

Tuttavia, sembrava davvero il peggio la vicenda "piddina". Arricchita, come giustamente osserva il collega Mario Paternostro su questo stesso sito, dalle scelte della neo-leader Elly Schlein sulla segreteria nazionale, che ha tagliato fuori i liguri sebbene siano stati i primi dirigenti interni, e fra i pochi, a incoronarla.

Ma siccome al peggio non c'è fine, i Fratelli d'Italia sono riusciti ad andare oltre. Gli unici intonsi? Seppur per ragioni diverse, e con percorsi non uguali, da una parte Scajola e dall'altra Bracco. Meno male che alla fine la partita se la giocheranno loro due. Se non altro si capisce di che cosa parlano e che cosa propongono.

 

La si potrà criticare per quello che dice e soprattutto non dice e per quello che annuncia, che appare spesso una fiera delle banalità, ma che cosa volete che faccia? Che annunci il programma di governo del Pd che non governa? Magari prima o poi ci si aspetta da lei un piano di opposizione concreto, più di fatti che di parole. Che è ciò che manca, per ora, in Italia e anche in Liguria e a Genova.

Però Elly Schlein ha fatto quello che i suoi illustri predecessori non sono riusciti a fare o non hanno voluto fare. Ha cambiato la nomenklatura del partito, cioè le teste pensanti, facendo fuori in un batter d’occhio la “vecchia guardia” del partito, governanti per anni in posti di comando e poltrone di potere, con chiunque o quasi, spesso al traino dei grillini allora veri padroni della politica italiana e locale.

Non lo si poteva chiedere a Letta, nobile intellettuale, un drastico rinnovamento, ma a quelli prima di lui sì. Non lo hanno fatto e sono stati cancellati. Elly invece lo ha fatto, demolendo anche il suo mite avversario Bonaccini, bravissimo amministratore locale, ma soprattutto mettendo a guidare (con lei) il suo Pd dei giovani sconosciuti ai più e , si spera per loro, con idee nuove, fresche, diverse da quelle stantie dei predecessori. Persone non personaggi che da oggi vengono messi alla prova in trincea col compito di costruire qualcosa di nuovo. Elly, ha lasciato a casa  tanti. Basta Franceschini che era il prezzemolo del partito qualunque minestrone gli si presentasse davanti, basta il professor Letta, basta Orlando onnipresente, basta De Micheli, Bonafé o Cuperlo, basta Guerini e Delrio, scomparsi i cattolici, addio Giovani “vecchi” Turchi, Basi democratiche. Tutto nuovo, a parte qualche infinitesimale concessione d’ apparenza, qua e là. Un po’ di Sereni, un filo di Misiani e stop!

Non c’è un ligure? Peggio per noi! Vuol dire che a giudizio della Elly non ci sono liguri adatti a ricoprire incarichi di vertice nel suo Pd, e che dalla regione che di più l’ha votata alle ultime primarie nessuno ha l’età richiesta come indispensabile chiave d’accesso nella stanza dei bottoni del nuovo Nazareno. D’altronde che cosa ci si poteva aspettare dalla più anziana regione (e città) d’Italia? Dicono i locali presi a schiaffi: “Ora ci metterà alla guida dei dipartimenti.”. Vabbé e mettiamone qualcuno, così non rompono le palle, penserà la Elly. Onestamente qualcuno dalla nostra terra sul tema dei trasporti/porti ci poteva anche stare a fare da contraltare al duo Salvini-Rixi. Se non altro perché qui da noi c’è il mare e qualche porto.

O forse si è resa conto proprio di questo, venendo in giro a Genova durante la campagna elettorale: che da queste parti manca un elemento essenziale alla politica. Che cosa, dite voi? L’opposizione. Viviamo in una città capoluogo e in una regione da anni governate dal centrodestra fortemente personalizzato di Bucci e Toti (è chiaro che vincono solo loro, non i partiti che li sostengono), candidati votati dalla maggioranza di liguri e genovesi e non si sa nemmeno chi sia il “capo” dell’opposizione. Un tempo era lo sconfitto numero uno. Come se oggi, almeno a Genova, il capo dell’opposizione fosse l’avvocato Dello Strologo, quello che ha perso la sfida diretta con Bucci. O il capogruppo (o il segretario regionale o cittadino) del primo partito sconfitto. Insomma c’era sempre un nome a cui fare riferimento. Lo sconfitto dichiarava pomposamente: “E ora vado a fare l’opposizione”. Come dice minacciosa la Schlein: “Saremo un problema per la Meloni”. Con l’arrivo, anni fa, dei Cinquestelle a fare l’opposizione non c’è stato più il Pd, ma si è formato un gruppetto nervoso e abbastanza ininfluente di pseudo-oppositori buoni solo a sparare una serie di “no” senza offrire proposte alternative concrete. Cioè senza spiegare dopo i “no” che cosa ci offrono come alternativa. Niente tunnel sotto il porto? Allora che cosa in cambio? Nessuna funivia per andare ai forti? E dunque ci andiamo a piedi? La diga così non va? E come la volete? Tutta l’opposizione è così ininfluente che anche l’informazione non segue più i lavori dei consigli comunali, che erano fonti continue di notizie.

Che cosa poteva fare, allora, la povera Elly? Arriva a Genova e in Liguria e non sa chi saranno gli oppositori che magari fra pochi anni (bisogna prepararsi prima, molto molto prima della data se si vuole provare a vincere!) dovranno contendere il potere di Toti e di Bucci che a tutt’oggi appare su scala locale come quello della Meloni su scala nazionale: senza grossi problemi di opposizione. Direte: pensare già adesso alle prossime elezioni? Perché no. Provarci almeno, verificare se esiste qualche candidabile, qualche possibile chance, nei consigli, nei municipi, tra i sindaci e gli assessori. Uno di partito, con idee sue e di partito, programmi suoi e di partito. Identificabile bene. Basta con quelli dell’ultima ora pescati fuori dopo suppliche varie e che fanno sempre fiasco e non per colpa loro, ma perché le candidature vanno costruite con cura e pazienza.

Per ora non ci sono né programmi veri, né ahimè per il ricambio democratico,  nomi e cognomi. Così Elly la temeraria (se sbaglia è fregata a vita) decide da sola, anche se chiamare un ligure alla sua corte o lasciarli tutti fuori.

Prima di iniziare a leggere rispondete a questa semplice domanda (senza usare Google!): in quale anno si è verificata la strage di via Rasella? Se avete risposto correttamente potete anche chiudere questo articolo ma se, com’è del tutto probabile, non ne avete idea vi consiglio di continuare.

Il fatto è tornato da poco al centro dell’attenzione per le parole di Ignazio La Russa: il presidente del Senato, chiacchierando con il direttore di Libero Pietro Senaldi, si è lasciato scappare alcune affermazioni su questo evento storico. “Quelli che vennero uccisi riporto parola per parola non erano biechi nazisti delle SS ma erano una banda musicale di semi pensionati alto atesini”. La Russa elabora poi un concetto più generale, imbeccato da Senaldi: quell’attentato fu un errore, è lo sostanza, perché non colpì un vero reggimento militare e di fatto scatenò la rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine. Questo secondo punto è stato più volte oggetto di dibattito nel Paese: i detrattori dell’attentato hanno speso sostenuto, infatti, che l’esecuzione di dieci italiani per ogni tedesco ucciso fosse una pratica standardizzata delle SS e che quindi l'attentato si sarebbe dovuto evitare proprio per non incorrere nella barbara ritorsione.

Costretti a riavvolgere il nastro della storia dobbiamo tornare, tanto ormai la risposta l’avete data, al 23 marzo del 1944. Siamo nella ‘Roma città aperta’ descritta da Roberto Rossellini: la capitale non è dotata di mezzi difensivi od offensivi così da farle risparmiare i bombardamenti alleati; i tedeschi occupano la città incuranti del suo status e le tensioni con i partigiani italiani sono all’ordine del giorno. In questo contesto un gruppo di giovani che aderiscono a un Gap, cioè a un gruppo di azione patriottica di ispirazione comunista, ordiscono diversi attentati, tra cui quello celeberrimo, per alcuni famigerato, di via Rasella.

Questo non è un saggio storico, quindi vi risparmio i dettagli dell’azione partigiana: vorrei solo brevemente confutare le affermazioni del presidente La Russa che, semplicemente, non corrispondono al vero.

  • Quelli che vennero uccisi non erano biechi nazisti”: il Polizei Regiment Bozen (tradotto, reggimento di polizia Bolzano) era un reparto di polizia militare, in seguito inserito nei ranghi delle SS, composto da coscritti altoatesini e comandati da ufficiali tedeschi.
  • Erano una banda musicale”: non lo erano affatto. Erano, appunto, un reggimento di polizia armato fino ai denti, al punto che il giorno dell’attentato di via Rasella le bombe a mano inserite nei loro cinturoni contribuirono ad aggravarne il bilancio. L’idea che fossero una banda nasce dal fatto che, per ordine del loro comando, mentre marciavano in formazione per le vie di Roma intonavano canzoni naziste.
  • Erano semi pensionati”: il più anziano aveva 43 anni. 
  • Via Rasella fu un errore perché si sapeva che i tedeschi avrebbero messo in atto una rappresaglia”: questa è un’accusa infondata poiché nella sola città di Roma furono molti gli attentati a soldati nazisti e fascisti messi in atto da partigiani italiani e mai fu ordita una rappresaglia per vendicarli. Nel dicembre del 1943, a tre mesi dall’attentato di via Rasella, la sola formazione gappista formata da Carla Capponi, il suo fidanzato Rosario Bentivegna, il futuro matematico Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini aveva ucciso almeno 16 soldati tedeschi in tre distinti attentati. Mai era stata organizzata alcuna vendetta nazista.

Non ho altro aggiungere. Devo però ancora giustificare l’incipit di questo articolo che contiene la domanda da maestrino sulla data dell’attentato di via Rasella: ho scelto di cominciare così perché sono convinto che a pochissimi di voi interessino davvero questi fatti. Ai politici di oggi, ricordo che siamo nel 2023, chiediamo pensioni più generose, una sanità che funzioni, bollette meno care. Ci piacerebbe anche muoverci liberamente sulle autostrade senza volare giù dai ponti e pagare meno la benzina dello champagne. A loro non chiediamo di arrampicarsi a ritroso nella storia per riscriverla, vogliamo solo che facciano il loro lavoro.

Ogni tempo ha i suoi problemi, i suoi fatti e i suoi simboli. Guelfi e ghibellini, con buona pace di fiorentini e senesi, non esistono più. In Francia non ci sono più gli ugonotti e in Persia non ci sono più Ciro, né Dario, né Serse. Anzi, non c’è più nemmeno la Persia. I fascisti non esistono più e i comunisti nemmeno (anche l’avvocato Lombardi della Spezia, che pure dice di esserlo, in realtà non lo è): ci sono i comunisti in Cina forse, quelli che fanno i miliardi a pacchi, e a Cuba, ma Hasta siempre comandante è ormai solo una canzone che profuma di sigari e rum.

Lasciate perdere le belinate e tornate a lavorare: ho pagato 500 Euro di luce il mese scorso!

Tutti contenti. L'ondata dei turisti pasquali invade la Liguria e conferma le ottimistiche previsioni. Centotrentamila all'Acquario nella giornata clou, sold out in molti alberghi delle nostre sempre più attrattive Riviere, molte spiagge già pronte ad accogliere, malgrado le malefiche previsioni meteo. Insomma la Liguria spalanca le porte alla stagione turistica, che tradizionalmente incomincia con Pasqua e oramai, tra ponti e festività intermedie, arriva a comprendere l'estate e oltre, in un processo  avviato di destagionalizzazione, foriero di sviluppi importanti per il lavoro, l'occupazione in tempi così difficili.

Ma la Liguria è in grado di reggere bene questo urto, al di là della sua vocazione, delle sue capacità ricettive, delle giuste aspettative di un settore che ha patito negli ultimi tre anni la pandemia lunga turisticamente almeno due anni, poi le ricadute della guerra, la crisi energetica, l'inflazione, tutte emergenze che picchiano ovviamente anche sul nostro beneamato arcobaleno turistico?

Le autostrade hanno ridotto per quanto possibile, e bontà loro, i cantieri che le hanno trasformate in un calvario inenarrabile, ma sono sempre gimkane intollerabili. E soprattutto si capisce bene che anche quando il calvario finirà, e non si sa quando, esse saranno quelle di prima. Largamente insufficienti, soprattutto di fronte a movimenti turistici che sono in innegabile crescita per tutto il Belpaese e anche per la Liguria. La ferrovia avrà qualche treno in più, ma non riesce a risolvere il problema del trasporto turistico perché i tempi di percorrenza sono sempre quelli, inesorabili di sempre, con servizi a bordo che rispetto a qualche decennio fa sono spesso più adatti a carri bestiame che a viaggi del terzo millennio.

Altro che Frecce Rosse, se per andare a Milano o Torino da Genova, ma anche e di più da Imperia, San Remo, Spezia, Chiavari si impiegano ore e ore. Spesso il tempo di uno dei tanti Milano-Roma quotidiani.

Gli alberghi fanno del loro meglio, ma quante strutture moderne, dotate di tutti i servizi moderni ci sono, beauty farm, posteggi, piscine e altro esistono nella nostra regione? E quale è la qualità del servizio di accoglienza nella terra che era ridicolizzata con gli slogan della torta di riso finita e delle alternative scurrili?

Poi ci sono i servizi pubblici offerti a chi arriva, come i posteggi che sono un problema cronico in molte città e paesi della nostra meravigliosa costa. Nessuno ci pensa, ma spesso questi luoghi incantati diventano irraggiungibili proprio perché non sai dove posteggiare e se ci riesci sei a chilometri di distanza dalla tua spiaggia.

Mentre parte un'altra stagione nulla è cambiato nell'assistenza sanitaria, doverosa ancora di più quando la popolazione in certi casi decuplica addirittura. A Ponente, ma anche a Levante, in piena estate raggiungere un pronto soccorso è un'impresa epica, tra autostrade collassate e strade statali che corrono in mezzo a centri intasati di traffico. Si rischia la pelle.

I Comuni fanno il possibile per trovare soluzioni a questo problema ma se ti senti male ad Alassio a Ferragosto,  quanto tempo ci impiegherai per arrivare al Santa Corona o a Imperia?

La Liguria è invasa, meno male perchè così la ruota gira e i benefici, superati tutti gli ostacoli, arriveranno per un settore chiave. Ma l'invasione ha altri aspetti, che sono non solo il problema emblematico delle Cinque Terre, che sta accendendo un utile dibattito sul possibile numero chiuso per uno degli angoli più ambiti non certo solo della Liguria e dell'Italia. Ci vogliono politiche e strategie di largo raggio che rendano l'invasione un vantaggio e non un moltiplicatore di problemi.

C'è l'abbacchio a scottadito della cucina romana, c'è l'agnello al forno pugliese, oppure di quello con piselli e uova della tradizione napoletana. E poi ancora le costolette d'agnello impanate al forno oppure fritte e l'agnello con i carciofi. A Genova e in tutta la Liguria ecco la coratella "bianco e nero" (giànco e néigro in dialetto): le frattaglie di agnello.
Regione che vai usanza che trovi anche per quanto riguarda uno dei piatti di Pasqua per eccellenza.
E anche quest'anno, puntuali ecco gli inviti degli animalisti: "Separati dalla madre a pochi giorni di vita, stipati in camion in condizioni terribili, gli agnelli affrontano lunghi viaggi della morte per arrivare ai macelli dove, terrorizzati dall'odore del sangue e dalle urla dei compagni, vengono immobilizzati e legati, appesi per le zampe anteriori e pesati, storditi con una scarica di corrente elettrica e sgozzati". 

Benché il dato sia in calo, sono ancora tanti gli ovini che ogni anno vengono macellati in prossimità della Pasqua: la cifra è superiore ai 2 milioni di individui secondo i dati Istat. 

Aldilà quindi della scelta strettamente personale di mangiare o meno carne animale, la questione della mattanza degli animali ci dovrebbe in qualche modo toccare. 

Il dibattito agnello si o agnello no prosegue da anni e anni. Ma chissà se continuerà in futuro considerato che ora si dibatte sulla carne sintetica, coltivata o artificiale che dir si voglia, un alimento creato grazie alla coltivazione in vitro di cellule staminali. È carne a tutti gli effetti ma non prevede l'allevamento di un intero animale e nemmeno di un processo di macellazione quindi risulta essere cruelty free, cioè ottenuta senza sofferenza animale. Da poche cellule e in poche settimane si puo' ottenere la stessa quantità di carne che altrimenti impiegherebbe almeno un anno e mezzo.

Il Governo proprio pochi giorni fa ha approvato in via definitiva  un disegno di legge che vieta la produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici: per ora è così, più avanti si vedrà.

Il consumo di carne, ormai è assodato, ha un impatto negativo sul clima e sul Pianeta che non possiamo ignorare. L’allevamento di animali destinati all’alimentazione fa crescere l’accumulo di gas serra nell’atmosfera e la crescente domanda di carne proveniente dai Paesi in via di sviluppo rischia di aumentare esponenzialmente questo fenomeno.
L'introduzione della carne sintetica potrebbe portare benefici in questo senso.
Ma attenzione: è altrettanto utile e necessario sostenere anche la sopravvivenza di migliaia di pastori. Già oggi è a rischio un mestiere ricco di tradizione molto duro che garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità e che si prende cura di circa 6 milioni di pecore da Nord a Sud della Penisola. 
Il settore delle carni genera in Italia un valore economico dell’ordine dei 30 miliardi di euro all’anno, rispetto ai circa 180 dell’intero settore alimentare e ai 1.500 del PIL nazionale. Facile immaginare cosa potrebbe accadere se dovesse fallire.

E allora come la mettiamo? Agnello sì o agnello no? E poi ancora carne sintetica si oppure no? Dubbi, perplessità e dibattiti infiniti ci accompagneranno ancora per tanti anni. Buona Pasqua intanto...