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Il 12 giugno 2014 non è finita soltanto una certa idea di Sampdoria, peraltro accantonata molto prima. Quel giorno, viene meno anche un aspetto fondamentale del rapporto storico tra Genova e il calcio. Da quella data, con i blucerchiati finiti nelle mani di un romano, entrambe le squadre della nostra città hanno proprietari non solo “foresti”, ma che hanno nel Genoa o nella Sampdoria il solo legame con Genova. L’ultimo presidente rossoblù radicato in città è Gianni Scerni, un gentiluomo uscito di scena ventitré anni fa a vantaggio prima del veneziano Dalla Costa, poi dell’irpino Preziosi, ora di un fondo statunitense basato in Florida.

Nessuno, a Genova, tra chi potrebbe, sembra più volersi occupare di calcio in un modo economicamente più impegnativo di andare allo stadio pagando il biglietto. Eppure a Genova la passione per il calcio non manca: se vivete in un palazzo con cinquanta abitanti, cinque vostri condomini sono abbonati allo stadio. Eppure a Genova i soldi non mancano: lo confermano gli indicatori statistici economici e la storia stessa delle dinastie del capitalismo familiare, più numerose qui che altrove ma refrattarie a entrare (o restare) nel calcio.

Paura del pubblico? Sì e no. La gioia dell’esaltazione nei momenti belli può dare assuefazione, compensando le contumelie degli inevitabili rovesci propri dell'umana avventura. Proprio in queste ore a Napoli contestano de Laurentiis, che prese la squadra in C una quindicina di anni fa e oggi ha stravinto lo scudetto ancor prima di Natale.

Paura di rovinarsi? L’unico che si è rovinato per il calcio, nella Genova calcistica moderna, è stato proprio uno che qui non ci era nato, venendoci solo per comprare e gestire una squadra, di fatto a buttare inutilmente i soldi fatti da imprenditore. Era il già citato Dalla Costa.

Sembra scomparsa la voglia di osare, forse quella di restituire qualcosa alla comunità di appartenenza dove si è fatta fortuna. Eppure il calcio può essere anche redditizio, altrove come anche a Genova.

Se parliamo di Preziosi e di Ferrero, non parliamo certo di filantropi e nemmeno di autolesionisti. Alla luce di come e quanto a lungo il Joker abbia difeso e il Viperetta difenda la posizione, difficile così pensare che codesti arrocchi siano dovuti a una insana voglia di buttare il denaro dalla finestra. Se davvero nel calcio ci si rimette, perché ostinarsi a continuare a perderci, anziché liberarsi dell’onere a vantaggio del primo che passa? Qualcuno, coerentemente, peraltro lo ha fatto davvero.

Se guardiamo Genova, non c’è all’orizzonte un Mantovani o uno Spinelli: ovvero un “prima generazione” che su intraprendenza e talento costruisce una fortuna economica. C’è semmai un panorama di storie dinastiche ormai di lungo corso, quasi tutte nella direzione che dalla logica del rischio d’impresa conduce nel tempo e nelle generazioni a quella della comoda rendita di posizione.

Si arriva così al paradosso della città italiana che più di tutte, lo dicono i numeri, ama il calcio e che però non trova al proprio interno, e probabilmente non troverà per molto tempo ancora, personaggi desiderosi, e in grado di farlo, di mettersi alla guida di una comunità particolare, quale quella che si raccoglie attorno a una bandiera sportiva.

Sul Genoa che compie 130 anni sventola così il vessillo a stelle e strisce. Sulla Sampdoria, i nomi dei possibili successori a una situazione oscura e disastrosa arrivano - ancora - da Roma, sia pure stavolta dal mondo della finanza di rito londinese o papalino, o dal Triveneto. Oppure da ancor più lontano, nello stesso contesto di concretezza delle Mille e Una Notte, nel senso del tempo di vana quanto messianica attesa. In una sarabanda di commercialisti veneti, avvocati e giudici delegati romani, dirigenti d’azienda orvietani con fama di “tagliatori di teste”, magistrati inquirenti calabresi, fino all’apoteosi di una persona giuridica basata sull’Isola di Jersey, uno scoglio di 113 kmq nel Canale della Manica nei pressi della Normandia ma soggetto alla Corona britannica, e regolata in parte dalla legge della Repubblica di San Marino. Desola chiedersi che cosa c’entri tutto questo con Genova, i genovesi, la stessa Sampdoria.