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Dobbiamo domandarci se l’attività dei depositi chimici è compatibile, dal punto di vista ambientale, con la orografia della nostra regione e in particolare con Genova: essendo "schiacciati" tra mare e monte è ovvio che gli agglomerati urbani si concentrano sulla costa così come le attività produttive. Diventa quindi lecito pensare ad un’opzione zero o di completa riconversione delle attività, in modo da conciliare sviluppo e salute. Già in passato per gli stessi motivi vennero prese decisioni di questo tipo, basta pensare alla chiusura della Stoppani, alle chiusure Acna di Cengio e alla chiusura dell’alto forno a Cornigliano. Non dimentichiamoci della chiusura delle Centrali a Carbone, della Tirreno Power a Vado, dell’Enel a Genova e della prossima chiusura di quella della Spezia.

In tutti questi casi naturalmente si è tutelata la forza lavoro, basti pensare all’accordo di programma di Cornigliano, che dopo sedici anni, viene presa ancora in riferimenti dai sindacati come strumento di difesa del lavoro.
Lo stesso deve valere per i lavoratori di Superba e della Carmagnani, tanto più in un momento in cui molto imprese manifatturiere denunciano la difficoltà di trovare manodopera qualificata sul mercato del lavoro.

I 30 milioni di stanziamenti pubblici potrebbero essere così utilizzati per nuove attività produttive compatibili e per tutelare i dipendenti. Ogni decisione di questo tipo deve partire da un confronto con i cittadini genovesi, i municipi interessati, gli operatori economici portuali, le organizzazioni sindacali e le Istituzioni competenti, azione che mi pare non sia stata fatta, se non mettere un territorio contro l’altro.

Armando Sanna, vice presidente del Consiglio regionale della Liguria e consigliere del Partito Democratico

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