
GENOVA - Nel Regno Unito e negli Stati Uniti è conosciuto come "Genoa Cake", per gli scozzesi si chiama Selkirk Bannock. Per i genovesi è semplicemente il pandolce: alto o basso che sia va bene lo stesso. Farina, burro, uova e zucchero, arricchito con canditi, uvetta, pinoli e scorza di limone grattugiata: gli ingredienti principali sono tutti qui, qualche leggera variante tuttavia è sempre possibile. Si dice che la Regina Vittoria apprezzasse molto il gusto e la consistenza del pandolce.
Nel corso del tempo è diventato una tradizione del Natale dei genovesi e nelle tavole del cenone della vigilia o al pranzo di Natale non manca mai. Esiste un rituale consolidato che ormai in pochi seguono: A portarlo in tavola deve essere il più giovane della famiglia che vi appone al centro un ramoscello d’olivo o d’alloro in segno di devozione. A tagliarlo invece è il più anziano della famiglia. Da ciascun pandolce però vanno conservate due fette che non devono essere consumate dai commensali: una infatti si lascia tradizionalmente ai poveri di passaggio, l’altra va consumata il 3 febbraio per il giorno di San Biagio a protezione della gola.
Dall'Archivio storico di Primocanale: Ecco come si prepara il pandolce genovese - Guarda qui
L'origine del pandolce si trova in Persia, poi con gli scambi commerciali e attraverso il mare, e l'attivo porto di Genova, è giunto fino sotto la Lanterna. Figlio dunque della proverbiale dedizione al commercio del popolo genovese. Rispetto al panettone tradizionale, quello milanese per intenderci, varia per ingredienti, preparazione e consistenza finale: dunque dall'impasto fino al gusto. Alla fatidica domanda tra panettone e pandolce i genovesi rispondono senza fronzoli, nessuno dei due, meglio il pandolce.
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